Quello che io e Gianmario vi vogliamo raccontare è la nostra esperienza come scultori della neve in Norvegia.Siamo partiti da Sondrio il 23 gennaio 2009 con destinazione Norvegia. L’aeroporto è sempre quello che usiamo per il nord… Orio al Serio con Ryanair, economica e affidabile, due ore di viaggio ed eccoci a Torp, aeroporto periferico a circa 100 km da Oslo.
Il primo approccio con i norvegesi non può essere migliore, un signore in attesa della figlia si presta ad accompagnarci con la macchina alla stazione dei bus a 5 km di distanza.
La figlia è sveglia e simpatica e si interessa subito al motivo della nostra scampagnata fuori porta.
Dopo circa due ore di viaggio al buio, al secondo piano di un bus per lunghi tragitti, siamo a Risør dove l’organizzatore dell’evento, al quale intendiamo partecipare, ci viene a prendere alla stazione e... meraviglia delle meraviglie, un personaggio da raccontare!
Si chiama Ole Morten ha i capelli crespi che sparano dappertutto, la bellezza non è proprio il suo forte ma ha un aspetto franco e sincero e un fare da artista meraviglioso.
Ci ospita una notte a casa sua con la moglie e il bambino e non faticano a farci sentire come a casa nostra.
Al mattino via verso Hovden, dove il nostro cubo di neve pressata ci aspetta per essere trasformato in quello che la nostra fantasia ha pensato.
C’è neve, tanta tanta neve, Ole guida come uno per cui la neve non esiste, la fortuna ci assiste, per la guida di Ole e per l’avvistamento di un bellissimo alce che ha il buon cuore di attraversare la strada a poche centinaia di metri da noi e di farsi vedere per un lungo attimo.
Dopo 5 ore di macchina la cittadina di Hovden si presenta ai nostri occhi, è piccola, su un lago (naturalmente ghiacciato) e non presenta altri colori che le tonalità di grigio.
Il gelo fa da padrone indiscusso e la temperatura scenderà attorno ai -25 durante la nostra permanenza. Il paese conta 450 anime che diventano 5 volte tanto durante i periodi di vacanza estivi ed invernali. Per favorire il rilancio dell’arte nel sud della Norvegia c’è un centro che ospita sul piazzale le sculture di neve di 7 gruppi di artisti, la nostra no, è dislocata a circa 300 metri di distanza, davanti all’albergo più importante del paese.
L’accoglienza è buona, l’alloggio decisamente spartano, nella stanza non c’è nulla tranne un letto per dormire e un bellissimo pavimento di legno, passeremo tutta la settimana ad appoggiare i vestiti per terra, ma è tutto nuovo, pulito e il letto decisamente comodo.
Il giorno dopo possiamo dedicarci alla scoperta del luogo, per la verità non c’è molto, anzi quasi niente. Un negozio di articoli sportivi, un paio di piccoli supermarket, una stazione di servizio, un bar e qualche altro negozietto che vende prodotti non ben identificati.
In effetti gli abbinamenti sono abbastanza inusuali per noi, ad esempio abbiamo trovato un bar che vende contemporaneamente gelati italiani, qualche prodotto da bar e lana per fare maglioni.
Sembra incredibile ma alcune donne si ritrovano li, fanno la maglia mentre si gustano un buon gelato e fanno quattro chiacchiere tra amiche.
L’inverno è lungo, molto lungo, le case isolate tra gli alberi e l’occasione per stare in compagnia non si presenta così spesso. Ecco perché nel nord le case sono così accoglienti, mancano completamente le persiane e al loro posto belle finestre con spesso all’interno una luce rivolta verso l’esterno, quasi per far sentire il solitario viandante meno abbandonato e infreddolito.
E finalmente siamo pronti per iniziare la nostra scultura. Il tempo è coperto e di conseguenza la temperatura mite, attorno ai 10 gradi sotto zero. Si lavora volentieri, con la fatica il freddo non si sente. Procediamo ad una prima sgrossatura della nostra opera. Per ora ci troviamo a giocare con un cubo di neve pressata e ghiacciata alto 4 metri, largo 3 e profondo 3. Non nego che, spesso, all’inizio si prova un certo sconforto al pensiero di quanto lavoro separa dal risultato.
Gianmario, con la motosega inizia a sgrossare le parti maggiori e io mi dedico alla realizzazione della testa di quello che diventerà il nostro rapace di neve.
Il progetto rappresenterà un’aquila con le ali arrotondate davanti al corpo in una sorta di abbraccio, sull’ala di sinistra è prevista una scala e su quella di destra uno scivolo, sotto la testa ci sarà una piccola galleria di comunicazione tra le due. Speriamo che i bambini possano divertirsi.
Finita la giornata la testa è fatta, domani si può iniziare a scendere verso la parte bassa della scultura. Al mattino ci attende, però, una triste sorpresa: nottetempo un gruppo di ragazzini si sono divertiti a colpire la testa dell’uccello con palle di neve ghiacciata e una di queste ha maldestramente rotto il becco del quale andavo piuttosto orgogliosa. Ci sono volute più di due ore per porre rimedio. Non è così facile riattaccare un pezzo di neve ghiacciata, bisogna usare acqua come collante e sperare che la temperatura rigida faccia la sua parte. Per sicurezza abbiamo infilato un pezzo di legno all’interno per sorreggere meglio il peso. Il clima ci ha aiutato e con meno 25 gradi l’operazione è riuscita.
Lavorava con noi Camilla, assegnataci dall’organizzazione come aiutante e allieva nel gioco delle sculture di neve, volenterosa e sveglia ma incinta di 6 mesi. Abbiamo dovuto usare alcune cautele, non era il caso di stare 10 ore a quelle temperature e nemmeno di arrampicarsi su una scala gelata a 4 metri da terra.
Le giornate passavano veloci, interrotte da un pranzo veloce accompagnato, volta per volta, dal racconto delle esperienze artistiche di ognuno di noi.
Alla fine della settimana il nostro volatile era li, imponente e accogliente con le sue belle ali in attesa dei bambini da far divertire.
Le altre sculture erano pronte e non mancarono le piacevoli sorprese, una conchiglia chiusa con la parete di neve e con all’interno una forte luce gialla dà bella mostra di se, l’artista ha saputo cogliere la bellezza della trasparenza della neve giocando con gli spessori, grandi animali marini con denti di ghiaccio e fotografie abilmente incastonate nelle lastre ghiacciate.
Le soddisfazioni non sono mancate e nemmeno gli apprezzamenti delle persone che passavano, nel nord è facile essere apprezzati e ringraziati se si cerca di fare qualche cosa per la collettività. Un signore, ormai nostro amico che lavora per una TV locale danese, passava mezz’ora al giorno con la telecamera a riprendere l’avanzamento dei lavori. Aspettiamo con ansia che ci invii il risultato.
È l’ultimo giorno di riposo prima della partenza e ci concediamo una salita con la seggiovia in cima ad una montagna di 1200 metri una tra le più alte della zona. Il freddo è pungente, c’è aria, è quasi insopportabile, gli occhi lacrimano e le ciglia tendono ad attaccarsi tra di loro per il ghiaccio che si forma ma la vista ripaga ampiamente. Tutto è bianco, ghiacciato, irreale e solo da lassù ci rendiamo conto che il paese è molto vasto e che c’è una grande distesa di casette nascoste tra gli alberi e la neve, impossibile capirlo dal basso.
Il viaggio di ritorno verso casa è ormai iniziato, dopo un caloroso saluto al nostro amico di neve ce ne andiamo un po’ tristi, ci portiamo sulla costa per un saluto all’oceano e poi di nuovo a casa di Ole per l’ultima notte norvegese.
Non è però un addio ma un arrivederci perché tutti contano sulla nostra presenza anche l’anno prossimo e, nonostante il desiderio di viaggiare e scoprire posti nuovi, forse ci saremo ancora.
Paola Arminio e Gianmario Bonfadini
www.snowmade.it