«Questo (…) non è un libro politico» annota l’autore, ma nato dalla «volontà di narrare un’esperienza, prendere in mano il groviglio senza pretendere di dipanarlo». Sergio Dal Farra, figlio di un Bellunese emigrato in Patagonia, è vissuto fino a 27 anni in Argentina, finché non è dovuto fuggire agli squadroni della morte con un volo di DC 10, furtivamente, come si vede nei film d’azione. Solo che il film – convulso, vitalissimo – è tutto vero, raccontato al registratore e quindi rimontato in una storia condotta sul doppio binario della narrazione in terza persona, condotta magistralmente da Lentini, e delle inserzioni in corsivo, cioè le zone di parlato del protagonista, con le sue inflessioni dialettizzanti ed espressive. Ne risulta un dettato che ora si estende in descrizioni icastiche o intensamente liriche – Lentini, oltre che narratore, è poeta finissimo e artista delicato e visionario – ora proietta direttamente sulla pagina il “respiro” di chi quei fatti li ha vissuti. Il racconto che ne viene fuori è come un quadro materico, un collage di voci e di situazioni che si alternano con un ritmo incalzante, sullo sfondo della natura vasta e selvaggia della Patagonia, della Pampa, della Plata o di Buenos Aires. Lentini ci restituisce l’aroma e il sapore di una terra sensuale e come perennemente imporporata di nostalgia, quel sentimento esistenziale che trova nel tango la sua espressione più viva e popolare («È il male di vivere che si fa danza»).
Ma se questo è lo sfondo geografico e antropologico, quello storico è assolutamente drammatico. È l’epoca del post-peronismo, di quel viluppo di semidittature e di dittature le più feroci, con mattanze eseguite per le strade come se fossero aspetti della normalità. In questo contesto Sergio Dal Farra, sempre vissuto nel mondo letargico e remotissimo di una cittadina ai confini meridionali e quindi inseritosi nel mondo universitario di La Plata («l’effervescenza ribalda della vita studentesca, nel fluido di serate estive profumate di tango, cannella e incontri sempre nuovi»), negli anni ’70 matura velocemente la sua giovinezza tra amori e congiure, feste e stragi. Via via il racconto prende sempre più ritmo, in un crescendo alla fine parossistico («È straripato l’orrore, ed è stato necessario guardarlo in faccia, attraversarlo, viverlo fino in fondo»), in una sequenza di immagini rapide e drammatiche. Amici e “compagni” che misteriosamente sono azzerati dalla scena (i trentamila desaparecidos) o che esplicitamente sono uccisi per via, anche per errore («dopo cinque o sei mesi gli stessi che avevano ucciso Leon hanno mandato una lettera ai familiari chiedendo scusa per quello che avevano fatto: dicevano che si erano sbagliati. Volevano uccidere un altro e invece avevan preso lui»). È una situazione che sembra irreale, ora di violenze improvvise e insensate, ora come di vuoto asfittico, di “silenziosa immobilità”, e questa è forse più terribile.
Lentini descrive da vero poeta e artista gli ambienti e i personaggi, con pochi tratti efficaci; soprattutto quelli femminili… Clara, l’amore adolescente del paese natio: «Il suo corpo sembra avvolto di luce. Ogni movimento, una danza […] lo riconosce subito e gli sorride, alzando con la mano la spallina che le era scivolata giù». Nora, l’amore irrefrenabile della giovinezza universitaria, la ragazza che vive nella clandestinità rivoluzionaria: «Nora arrivò una sera a casa di Ismael insieme a una nuvola vociante di ragazze […] bella anche se vestita di una camicia consunta e un paio di jeans, come quella sera. Attraverso il tessuto grezzo, i suoi seni premono morbidi e ampi. Le sue labbra sono rosse, luccicano anche senza rossetto. I suoi occhi scintillano, lanciano sciabolate». Oltre che appassionata («poi immediatamente butta via i vestiti e vuole essere penetrata sino in fondo») «è capace di compassione (…) la compassione è una virtù suprema, porta con sé la dolcezza, è conseguenza di amore e produce gentilezza. Placa le anime e infine genera quiete. Ma può spingere anche un intero popolo a uno scatto di rabbia sacrosanta». Nora è l’incarnazione di quest’amore sensuale e di questa rabbia sacrosanta, la figura femminile più intensa. Sparirà nel nulla, con i trentamila. Ma anche figure minori come Teresa, presso cui trova rifugio a Buenos Aires, e che «viene ad aprire con indosso un accappatoio rosa e un asciugamano che le avvolge i capelli […] per arrivargli al collo con le braccia, deve spingersi in punta di piedi e in questa posizione, bella com’è, sembra una ballerina sul punto di spiccare un salto». E poi la donna definitiva: «mi sono laureato a Padova, in ingegneria…ho conosciuto Annalia, che è diventata mia moglie, è nata Eleonora…». Poche parole, pudiche, dicono tutto.
Dopo l’acme della fuga in aereo, ecco l’anticlimax dell’arrivo in Italia, in quella Belluno infine dove ricostruisce i pezzi della sua esistenza. «Il tempo ha fatto una curva strana e ha riportato Sergio là dove erano partiti i suoi antenati. Ma il cerchio stenta a chiudersi: si sa, i cicli sono sempre uguali e sempre diversi (…) appartiene alla categoria degli uomini di sghemba geometria che non sanno come chiudere i cerchi, né lo spazio della speranza». Mi ha intensamente colpito quando il protagonista prende il volo dall’inverno argentino verso l’estate europea; è un bellissimo brano di microcosmo che si fa macrocosmo: «Ruota il destino, e anche la volta celeste ruota sopra la sua testa; le costellazioni dell’emisfero australe tramontano alle sue spalle (adiós Croce del Sud, Spica, Cervo, Centauro, Pesce Volante, Piccola Nube di Magellano…), tramontano alle sue spalle mappe celesti dai nomi familiari e sopraggiungono altri intrichi di stelle che disegnano nel cielo forme sconosciute: lo aspettano Orione, in tutta la sua magnificente estensione, le due Orse che danzano intorno alla Stella Polare, il Cigno, la Chioma di Berenice…» (Ricordate? «Tutte le stelle già dell’altro polo / vedea la notte…». Non è sempre in Dante il seme della sublimità?)
Marco Cipollini
Notizia biografica su Alfonso Lentini
Di origine siciliana, vive a Belluno dove insegna, occupandosi nel contempo di scrittura e arti visive.
Il suo interesse per tutto ciò che appare "irregolare" lo ha condotto a confrontarsi in più occasioni con il rapporto fra arte e disordine mentale. Nel 2001, con alcuni utenti del Dipartimento Salute Mentale di Feltre, ha realizzato un laboratorio artistico che ha prodotto la mostra “Irregolar-mente” allestita nei Palazzetti Cingolani di quella città.
In un suo libro (La chiave dell’incanto, ed. Pungitopo, Messina 1997) ha raccontato la storia appassionante e dolorosa di Filippo Bentivegna, contadino siciliano affetto da turbe psichiche e valorizzato come artista dopo la morte da Jean Dubuffet nell'ambito dell'Art Brut.
Ma già negli anni Ottanta sue mostre personali (tenute a Venezia e a Belluno) erano ispirate ai versi di Dino Campana, poeta "irregolare" morto nel manicomio di Castel Pulci nel 1932.
Come artista, nelle sue mostre e installazioni propone opere basate sulla valorizzazione della parola nella sua dimensione materiale e gestuale.
Mostre personali, collettive e opere in permanenza presso varie strutture pubbliche e private fra cui: Galleria Fenice, Venezia (personale) – Centro Verifica 8+1, Venezia-Mestre (personale) – Centro Il Gabbiano, La Spezia – Biblioteca Nazionale Centrale, Roma – Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia – Milan Art Center, Milano – Archivio Libri d'Artista Laboratorio 66, Milano – Avida Dollars, Milano – Galleria Qal'at, Caltanissetta (personale) – Arte in Transito, Roma (personale) – Palazzo Crepadona, Belluno, (personale) – Museum di Ezio Pagano, Bagheria – Centro Le Venezie, Treviso – Istituto per le Materie e le Forme Inconsapevoli, Museattivo Claudio Costa, Genova Quarto – Wunderkammern, Roma-Spello (personale) – Lapidario romano (Festival Filo d'Arianna), Belluno (personale) – Portici inattuali, Sitran d'Alpago – Draw-drawing, Gallery 32 (London Biennale), Londra – Casa Museo Pessoa, Lisbona, Portogallo – Museum Art + Start, Middelburg, Olanda – Kaupunginkirjaston galleria, Viitasaari, Finlandia – King St. Stephen Museum e City Gallery, Deàk-Collection, Szekefsfehervar, Ungheria..
Una sua poesia "oggettualizzata" è stata esposta insieme ad altre alla 49ª Biennale di Venezia nell'ambito di un progetto curato dall'artista Marco Nereo Rotelli.
Fra i suoi libri: Piccolo inventario degli specchi (2003) e Un bellunese di Patagonia (2005) pubblicati con le Edizioni Stampa Alternativa di Viterbo.