Il laboratorio di scrittura creativa rappresenta sicuramente una delle attività più interessanti in assoluto per tutti coloro che desiderano intraprendere un percorso di ricerca condiviso, per approfondire gli aspetti creativi del linguaggio, legati sia alla lettura sia alla scrittura. È un’esperienza comune estremamente arricchente per i partecipanti, in quanto in un clima di dialogo si immagina, si riflette e soprattutto ci si confronta esprimendo stati d’animo a volte molto celati. Il lavoro svolto consente sovente di sviluppare la propria capacità di indagare la realtà e di affinare la propria sensibilità, mettendosi in gioco e diventando più consapevoli del proprio modo di scrivere.
Nella casa di reclusione di Milano–Opera negli ultimi anni sono stati organizzati proprio dei corsi di scrittura creativa, giudicati dagli stessi partecipanti come «una sorta di terapia di gruppo. Alla fine di ogni seduta ognuno si sente arricchito dentro, di aver imparato qualcosa di costruttivo attraverso l’incontro con l’altro». Oggi il Laboratorio si compone di 14 persone, 15 con la docente Silvana Ceruti.
I corsisti hanno già pubblicato quattro raccolte di poesie: In un mignolo d'aria, Vigilando il lavoro dell'orologio, Le case da lontano, Confesso che amo. I testi pubblicati nei volumetti sono stati selezionati dai poeti Renzo Vidale, Giampiero Neri e Maurizio Cucchi. Questa iniziativa ha ricevuto anche i commenti e le dediche da altri poeti noti come Milo De Angelis e Alda Merini, la quale afferma che «È bello quando l’uomo riesce a trovare e a creare Poesia in un luogo di detenzione che io chiamo prigione. Ma l’uomo non deve dimenticare che vive nella prigione del suo corpo e dei suoi pensieri. Quindi anche il detenuto ha diritto al suo spazio di libertà e alla sua anima». Le tre pubblicazioni hanno riscosso un importante successo tra il pubblico di conoscenti o comunque di improvvisati spettatori che, assistendo alle varie presentazioni tenute a Milano presso la Libreria Ecumenica in Gall. Unione, 1 (Piazza Missori) o in vari centri culturali, hanno avuto modo di cogliere l'essenza del lavoro svolto dai corsisti del laboratorio e da Silvana Ceruti, docente volontaria. «Gli autori non si sentono dei poeti ma si improvvisano tali, ognuno col proprio bagaglio di conoscenze, con le proprie difficoltà, creando versi che vogliono essere un modo per sentirsi vivi, per trasformare il grigiore di questo posto in stati emozionali, fissando immagini di ricordi sbiaditi a cui aggrapparsi, in cui sprofondare e perdersi trasportati dal flusso di coscienza fino a raggiungere la verità. In molti casi questa verità ha abbattuto l'invalicabile muro d'indifferenza che impedisce la comunicazione sociale».
Sono stati realizzati anche tre calendari con poesie, ideati e curati da Jonathan Falcone (corsista). Nell'anno 2003 si è voluto affrontare l'argomento del carcere. Sono state ripercorse le varie tappe che il detenuto attraversa entrando nella struttura carceraria. Dal giorno di entrata nell'istituto, all'ipotetica uscita, passando per le varie fasi intermedie, lo sconforto, le varie attività intramurarie. Il fondo del calendario è rigorosamente nero. Si è instaurata anche una collaborazione con il Direttore di Critica sociale, Stefano Carluccio, per la realizzazione di un libro su cui è stato pubblicato un saggio inedito di Filippo Turati, “Delitto e questione sociale”, accompagnato da una rilettura attuale del fenomeno sociale fatta dai detenuti secondo la propria esperienza.
Per far conoscere meglio questa interessante e utile iniziativa abbiamo una bella intervista, realizzata ai primi di settembre con uno dei corsisti, Salvatore Barone.
Com’è nato un laboratorio di scrittura creativa in una realtà così difficile come la casa di reclusione?
«In carcere niente nasce per iniziativa del detenuto. Questo è uno degli aspetti più terrificanti: soffocare qualsiasi iniziativa individuale. Il “Laboratorio di lettura e scrittura creativa” è nato undici anni fa al termine di un “Laboratorio di lettura”, un lavoro offerto a Silvana Ceruti.
«È nelle condizioni e nei posti più difficili che si avverte l’esigenza di ricercarsi e reinventarsi. I corsisti del Laboratorio non si sentono dei poeti, ma si improvvisano tali. Ognuno col proprio bagaglio di conoscenze, con le proprie difficoltà, creano versi che vogliono essere un modo per sentirsi vivi, per trasformare il grigiore del carcere in stati emozionali, fissando immagini di ricordi sbiaditi a cui aggrapparsi, in cui sprofondare e perdersi trasportati dal flusso di coscienza fino a raggiungere la verità».
Questi corsi da chi erano tenuti?
«La docente del Laboratorio è sempre stata Silvana Ceruti, il nostro angelo custode. Per Silvana il Laboratorio di lettura durò come lavoro due anni, poi decise di continuare come volontaria. Volontaria di che cosa? Di incontro... Di riconciliazione con l’umano. Nella prefazione a Vigilando il lavoro dell’orologio, il nostro secondo libro di poesie, Silvana scrive: “Incontrare delle persone disposte a togliersi la maschera, quella inutile, dal volto, per quanto è concesso agli umani togliersela, è una ricchezza... Ma forse 'sono stata addomesticata' direbbe la volpe del Piccolo principe. Dovremmo lasciarci addomesticare gli uni gli altri. Aspettarci. Guardarci. Ci guadagneremmo il colore dell’umanità”».
Com’erano organizzati?
«Silvana arriva il sabato mattina con una proposta: qualcosa da leggere, qualcosa da scrivere. Spesso è un “vincolo”, cioè un incontro con qualcosa che vuole essere preso in considerazione. Ma magari questa parola che ha portato, questo suo mattone con il quale costruire non lo usiamo. C’è il pezzo di marmo bianco, portato da un altro, per un’altra opera. Ci ascoltiamo. Usiamo le parole portate prima dentro di noi, poi offerte con fiducia agli altri. È tutto qui, forse, il segreto di questo Laboratorio autogestito, “spazio di libertà” dentro al carcere. Spazio di ascolto.
«Ogni tanto arriva al nostro Laboratorio un “amico” che porta la sua parola di bellezza: è un poeta, è un pittore, è un musicista, è una danzatrice. Porta una forma e un colore nuovo. Ma prima ancora è una persona che si mescola, che si mette in gioco. Una persona che dà del suo tempo a questo luogo, “città di tutta la nostra dimenticanza” come scriveva Francesco Ciancabilla nel nostro primo libro di poesie: In un mignolo d’aria».
Come si è avvicinato a quest’iniziativa?
«Conoscevo Gianfranco Varini, mio compagno di classe al terzo anno di ragioneria nel carcere di Opera Milano, presso la sezione staccata dell’I.T.C. “Vincenzo Benini” di Melegnano. Gianfranco era un corsista del Laboratorio. Quando comprese la mia passione per la poesia, mi chiese se volessi partecipare. Io risposi di sì. Presentai la mia richiesta formale, una domandina mod. 393 con su scritto: “Chiedo alla S.V. di poter partecipare agli incontri del Laboratorio di lettura e scrittura creativa che si tengono periodicamente in questo Istituto presso l’Area Pedagogica”. Dopo circa un mese, ottenni la mia sperata autorizzazione, correva l’anno 1999».
Si definisce un “ex corsista”. Ha realizzato un sito sul Laboratorio di lettura e scrittura creativa della Casa di reclusione di Opera Milano. Le è rimasto quindi qualcosa di importante. Quali sono le esperienze che ritiene più significative?
«Sono un ex corsista non perché ho lasciato il carcere, ma perché ho ottenuto una misura alternativa conosciuta col nome di Semilibertà. Questo beneficio mi consente di trascorrere parte della giornata per proseguire i miei impegni scolastici, studio Economia aziendale presso l’Università “Bocconi”. I “Semiliberi” sono ubicati in un reparto in prossimità dell’uscita del carcere, un ultimo girone che li separa dalle persone recluse e dalle persone non recluse. Per questo motivo non posso prendere parte agli incontri del Laboratorio.
«L’idea del sito è nata per caso. Ho frequentato un corso per la preparazione all’uso di Dreamweaver, un software per la creazione di siti web. Dieci lezioni con lavoro finale. L’idea di portare oltre le mura la nostra esperienza di incontro mi allettava. Decisi di cimentarmi nell’impresa. Il Laboratorio è un’esperienza che rimane dentro la persona, forse per sempre. Mi ha fatto scoprire di essere un poeta, o meglio stimolato a fissare i miei stati d’animo sulla carta. Ho sempre letto tanta poesia, fin dalle elementari, dopo aver letto “A Silvia” del Leopardi. I tentativi di scriverla, tuttavia, non ripagavano la mia passione. La poesia non si insegna, e Silvana lo sa bene. Ma si può aiutare la persona a ricercarsi nei propri cassetti della memoria».
Cos’è per lei la poesia?
«Mi piace pensare alla poesia come utensile per scavare nell’animo, un mezzo per riscoprire, in una condizione preadamitica dell’esistente in cui ognuno si ritrova nella propria identità, l’essenza primordiale che ci rivede esseri umani prima che esseri fatti persona. Sono le emozioni ad accomunare gli esseri umani e a distogliendoli, per un attimo, dalla quotidianità che gli cuce addosso abiti ineguali separandoli spesso gli uni gli altri. Forse è li che nasce la poesia, nella dimensione intatta, per questo possiede il dono della comunanza».
Ha degli autori prediletti?
«Ho una predilezione per i poeti francesi del periodo decadente: Charles Boudelaire, Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé, Arthur Rimbaud. Ma anche per molti poeti italiani di varie epoche e correnti letterarie. Il legame maggiore rimane per Giacomo Leopardi e Giuseppe Ungaretti. Ultimamente sto riscoprendo Dino Campana».
Quali progetti ha per il futuro?
«Di progetti ne ho tanti. Alcuni forse sono soltanto dei sogni e tali rimarranno. Al primo posto nella lista dei progetti c’è quello di concludere gli studi universitari. Segue, la ricerca di un lavoro, di un’autonomia economica e abitativa.
«Poi, credo che cercherò di innamorarmi. Ma questo è quel verso che non conosco».
Paola Mara De Maestri paolamara@fastwebnet.it
(dalla “Bottega letteraria” n. 27 – 'l Gazetin, ottobre 2006)
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