Mammà voglio l’angioletto azzurro, l’ho visto stamattina, lo vende Malfettone. Era colui che, a Sarno, in vista del Natale, riempiva il negozietto di personaggi del presepe, da noi chiamati “i pastur”. In vista del Natale il negozio si animava e si illuminava. Luci, fili e arredi per tutti i gusti e per tutte le tasche e le mie erano magre. Ero piccola allora e il presepe per me e per tutta la mia famiglia, sette in tutto, era un rito. Occupava lo spazio maggiore della nostra modesta casa e ognuno di noi vi poteva inserire le proprie cose.
Mammà ho conservato i soldi! Costava 50 lire, l’angioletto azzurro e io volevo appenderlo nella grotta perché vegliasse sul Bambino. Contai e ricontai, mancavano 10 lire, che barattai con tre caramelle e l’angioletto fu mio e il presepe non mi sembrò mai così bello come quell’anno. Mi avevano detto che ognuno di noi ha un angelo custode che lo protegge. Affidai a lui i miei sogni, certa, a come mi avevano raccontato, che se fossi stata buona, lui li avrebbe realizzati.
Quel Natale fu speciale, modesta la casa ma la tavola era imbandita da ricchi e certi piatti si preparavano solo per le feste. Il pan di spagna enorme campeggiava sul tavolo ricoperto di crema, cioccolato e ciliegie candite e io non passavo vicino senza intingere un dito. Tutto rigorosamente preparato in casa, per mangiare le leccornie che si offrivano a chiunque bussasse alla porta, al vicino, all’amico, ai parenti e io preoccupata che tutto finisse in fretta, e mammà che diceva “a’ casa d’i pizzienti non mancano mai ‘e tozze”, nelle case modeste c’è sempre di che mangiare e per tutti.
Passavo ore a guardare il presepe e partecipavo al lavoro di tutti: chi inchiodava, chi dipingeva le scene, chi incollava le casette e il palazzo di re Erode con i soldati era uno spettacolo. Si andava tutti fuori a raccogliere, un po’ di verde, a cercare il pungitopo e dei sassi per creare gli ambienti da popolare. Dove mettiamo i Re Magi a cavallo? Dove posizioniamo la capanna e la stella Cometa? E il Natale si sentiva nel calore del focolare e nella semplicità delle cose. Alle luci multicolori del presepe, mammà preparava una collina di struffoli ricoperti di miele e di una pioggia di confettini piccolissimi multicolori, da noi chiamati “i riavulilli”. Mancava nel presepe “Benino”, il pastore che dorme disteso beato. L’avevo desiderato tanto ma era quasi introvabile, e costava troppo per le nostre economie. Ho ancora nelle orecchie la musica dolce degli zampognari, che si fermavano all’uscio a suonare e dividevano con noi ciò che avevamo e un buon bicchiere di vino.
Sono passati da allora molti anni, la mia cara sorella Rosetta non c’è più, ha raggiunto papà, anche mammà si è unita a loro. Io mi sono trasferita e ho portato con me i sogni dell’infanzia e il presepe. Non c’è Natale per me senza il presepe. Ora vado anche a Napoli, in via San Gregorio Armeno, a comprare i “pastori” rigorosamente in terracotta e a Sarno dalle figlie di Malfettone, perché anche lui non c’è più. Il presepe è parte della mia vita, con i ricordi e le persone che mi rievoca. Quest’anno il mio è bellissimo! Le tradizioni vanno mantenute e tutti gli amici godono di questa bellezza. Come una volta mi sono procurata il verde ma la neve è a sprai. La scenografia è bellissima, a me sembra, “monte Ararat e Gerico” ma io mi diverto a trovare le affinità con Betlemme. Da mattina a sera godo dello sfavillio di luci, la stella è al suo posto e io mi perdo per ore a osservarne ogni particolare con gioia ma anche con malinconia. I re Magi sono in cammino, c’è pure Pulcinella che fa bella vista sul banco del venditore, ma non c’è “Benino”, l’ho cercato ma non sono riuscita a trovarlo. L’angioletto azzurro è ancora al suo posto, carico di anni e di ricordi.
Il presepe per me è simbolo di pace e di amore, ma con gli anni il suo significato si è modificato e alle speranze e ai sogni dell’infanzia è subentrata la certezza che il mondo è altro da quello che un tempo mi avevano fatto credere. Si ripete il rito del Bambino che nasce per salvare gli uomini e allora, mi chiedo: perché tanta violenza sull’infanzia? E questo è solo uno dei dubbi che mi assalgono. Troppe cose sono cambiate… parlo sorridente in famiglia del mio Natale, davanti a una tavola superimbandita, mi sono sostituita a mammà e i miei figli ci chiamano -mamma e babbo- ma in fondo il rituale è uguale: desidero che sia così. La casa sfavilla di luci, ogni addobbo è al suo posto e ognuno si prepara all’attesa con i propri desideri. Ma fuori della porta c’è un’altra realtà e il pensiero più pregnante è per chi non può più vivere o porre termine alla propria vita con dignità, vittima di mille giudizi; penso a quel padre che chiede sostegno al suo dolore ma la capanna non lo accoglie, ogni porta si chiude, ognuno resta con la sua verità, in una fuga spasmodica, ci crediamo tutti giganti nel nostro giudizio, come quelli di Metzler ad Assisi, e non ci rendiamo conto che siamo solo dei nani che non sanno più dove andare. I pensieri si affollano davanti alle luci del presepe e sono rammaricata perché l’acqua del pozzo non scorre, si è rotto il motorino, sembra un segno premonitore che il tempo dei sogni stia per finire.
Ho tra le mani il “Teatro” di Eduardo e sfoglio le pagine:
Luca Cupiello a Vittorio: Un dolce… una pasta reale? No, è meglio no. Come volete. Avete visto ‘o Presepio?No, veramente.
Luca a Concetta: Nun ce l’he fatto vedè? Lucarie’…Ma allora che l’aggio fatto a ffa’? Eccolo qua. Mettetevi da lontano, così avete il colpo d’occhio (accende le luci ed esclama con orgoglio) Che?! Vittorio: Bello.
Visitate, visitate. Io sono appassionato. Quando viene Natale, se non faccio il Presepio mi sembra un cattivo augurio. Abituato che la buonanima di mio padre lo faceva per me e mio fratello quando eravamo piccoli… poi l’ho fatto per i figli miei… Adesso sono andato a comprare i Re Magi, perché quando ho aperto la scatola dove conservo i pastori, e se no a Natale è troppa spesa, ne ho trovato uno con la testa rotta… Li ho cambiati tutti e tre, se no pareva brutto, uno nuovo e due vecchi! Questi li ho scelti in mezzo a centinaia di pastori. Faceva un gran freddo! Ma io mi sono scelti i più belli. Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, che portavano i regali al Bambino Gesù. Guardate le faccine. (da Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo)
Anch’io sono innamorata di tre contadini che nel mio presepe portano le ceste con i prodotti al mercato. Hanno faccine bellissime. Mi raccomando e dico a tutti: non rompeteli, oggi sono introvabili ma loro mi guardano con un’aria compiaciuta e un po’ canzonatoria. Ed io: “mi raccomando, continuate la tradizione, ma so che altro è il tempo presente”, chiudo gli occhi e vedo un pan di spagna enorme e una bimba dai capelli rossi che passando accanto, tende furtiva un dito.
E ascolto una musica:
Tu scendi dalle stelle, Concetta bella, e io t’aggio purtata quest’ombrella…
Tu scendi dalle stelle, o re del cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo…
Il canto religioso si mescola al verso grottesco di Eduardo, che mi appare del tutto aderente alla realtà e quasi mi lascio prendere dalla riflessione se non fosse per l’impegno di mezzanotte: la nascita del Bambino, ma io penso alla nascita di una nuova umanità affidata all’uomo e sorrido speranzosa.
Anna Lanzetta