Nella trasmissione “Punto di vista” (Tg2 del 5 dicembre) si parlava di cristianesimo, e il giornalista Antonio Socci dall'alto del suo sapere, con voce concitata, redarguiva Remo Cacitti, docente di Letteratura cristiana antica e Storia del cristianesimo presso l'Università degli Studi di Milano, in tal guisa: «Non bisogna lasciarsi prendere da furori ideologici, bisogna attenersi ai fatti e ai documenti». Lo storico era esterrefatto. Antonio Socci, nel suo libro su Padre Pio, dimostra la sua fedeltà ai fatti e ai documenti. Il libro è permeato da un strano concetto della imitazione di Cristo.
Si immagini un uomo che si getti tra le fiamme per salvare il figlio, e riporti ustioni in tutto il corpo, e soffra fino a rimetterci la vita. Un giorno il figlio, per “conformarsi” al genitore che si è sacrificato per lui, si getta nel fuoco, procurandosi ustioni in tutto il corpo. Un sacrificio inutile, insensato. Eppure questa è l'idea di Socci, il quale si mostra anche persuaso che le “sofferenze” del frate di Pietrelcina andassero a vantaggio dei peccatori. Ma questa è un'invenzione della Chiesa cattolica, che stride fortemente con la ragione. Nel Vangelo non esiste un solo versetto su cui basare un'idea sì strampalata. Gesù non chiese a nessuno di collaborare all’opera di redenzione. «L’atto redentore di Cristo fu perfetto e sovrabbondante» (E. Peretto, “Lettera ai Colossesi”, La Bibbia. Nuovissima Versione dai testi originali, Edizioni Paoline). Questo, perlomeno secondo Vangelo e ragione.
Miriam Della Croce