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Paul Bley: piano solo
Paul Bley ha attraversato buona parte della storia del jazz moderno, influenzando, in maniera forse meno evidente rispetto a Bill Evans, una larga fetta delle generazioni a lui succedute. Il settantaseienne pianista canadese ha suonato con maestri del calibro di Ben Webster, Coleman Hawkins, Lester Young fino ai contemporanei Sonny Rollins, Charles Mingus, Jimmy Giuffre e George Russell. È stato l'unico pianista che può vantare di aver suonato sia con Charlie Parker che con Ornette Coleman.
La sua discografia non può che essere cospicua, e questo album in solo per Justin Time giunge a distanza di un anno dal solo piano per E.C.M. Rispetto all'incisione per l'etichetta di Manfred Eicher, rimasta per anni nel cassetto, questa offre un ritratto molto più vicino nel tempo. Due le tracce incise: la prima, che dà il titolo all'album, è un lungo flusso assolutamente improvvisato in cui brandelli di melodie si rincorrono tra atmosfere impregnate di blues ed in egual misura di jazz, di contemporaneità classica e di assoluta libertà timbrica e ritmica.
Oltre trentatré minuti di vagabondaggio intelligente tra le pieghe dell'anima, con un trattenuto lirismo punteggiato da spazi di silenzio, così emblematici e rappresentativi della filosofia musicale di Bley. Il secondo brano è una composizione di Sonny Rollins, affrontata con raffinatezza e con parsimonia di note, prosciugando e sottraendo, reinventando con minimalismo e rarefazione un tema boppistico. Soffusa bellezza, palpabile intelligenza: sono le doti che hanno caratterizzato l'intera vicenda artistica di Bley, un pianista avaro di note quanto prodigo di emozioni.
Roberto Dell'Ava
VALUTAZIONE: * * * *
Possibilità di ascolto di alcuni estratti cliccando:
www.justin-time.com/works/JUST_228-2