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Giustizia. L'amnistia di Castelli
24 Febbraio 2006
 

La notizia viene da Milano, cioè da quella Padania che è cara al ministro della Giustizia Roberto Castelli (concetto vago, “Padania”, se è vero che il compagno di Lega Roberto Calderoli ha azzardato che si può estendere fino a Pesaro). La procura di Milano sembra stia rischiando la paralisi perché da circa una settimana mancano, per malattia o per ferie, gran parte dei venti commessi in servizio, il cui compito consiste nel trasportare fascicoli e faldoni da un piano all’altro del palazzo di Giustizia. I pessimisti sostengono che c’è anche la possibilità che saltino alcuni processi importanti, e che detenuti possano essere scarcerati per decorrenza dei termini.

L’altro giorno gli ausiliari in servizio al quarto piano erano solo quattro, e si racconta di procuratori aggiunti, pubblici ministeri, segretari e cancellieri che spingevano carrelli carichi di carte. Non che la cosa in sé sia da considerare degradante, nessuno si sogna di strillare alla lesa maestà del magistrato. Ad ogni modo la situazione si è determinata perché dei venti commessi, dodici risultavano malati (anche loro sono vittime dell’influenza), due erano in ferie, altri due si trovavano a “presidiare” l’archivio, situato negli uffici distaccati di piazza Umanitaria. Situazione che da sola si commenta e fa pensare, ma c’è anche altro: nove dei venti commessi hanno problemi di salute certificati dal medico del lavoro, e per questo la loro attività è ridotta: perché c’è chi non può restare in piedi per più di due ore; altri non possono spostare carichi il cui peso superi i cinque chili o spingere carrelli che pesino più di trenta; e non manca chi è portatore di handicap più gravi.

Così a quanto pare riuscire a trasportare da un ufficio a un altro, o nelle aule di giustizia, o dal GIP, fascicoli e faldoni diventa una lotteria. Per non parlare dell’oceano di carte che riguardano le attività ordinarie, come trasportare gli atti dagli uffici dei Pubblici Ministeri alla stanza “deposito atti”, perché i difensori possano prendere visione dei documenti e farne la copia.

Carte, fascicoli e faldoni dunque vengono trasferite da un posto all’altro soprattutto per la buona volontà di qualcuno, il rischio serio è che qualche detenuto possa essere rimesso in libertà per decorrenza dei termini: la quotidiana, silenziosa, concreta amnistia che viene assicurata a quanti hanno mezzi e disponibilità per potersi garantire difese efficaci. Con una possibile “coda” beffarda: «Se scarcerano qualcuno perché i processi saltano in quanto non sono arrivati i carrelli con le carte in aula», sostiene il procuratore aggiunto Corrado Carnevali, «qualcuno potrebbe anche finire sotto inchiesta disciplinare».

Si sta parlando di una procura importante come quella di Milano, non di una piccola pretura o uno sperduto ufficio giudiziario. Fosse, il caso milanese, straordinario e unico, già sarebbe inquietante e urgente porvi rimedio; ma si può escludere che situazioni simili non si verifichino anche a Torino, Roma, Napoli, Palermo, solo per dirne di alcune, e solo perché non ne siamo a conoscenza? C’è amnistia e amnistia. Questa, dovuta e garantita dall’inefficienza del sistema, e che in nessun modo viene affrontata o risolta, ovviamente non è l’amnistia proposta, auspicata, voluta dai radicali, dalla Rosa nel Pugno. È, piuttosto l’amnistia e l’“efficienza” del tetragono ministro della Giustizia. Il dirlo, il crederlo, il pensarlo, solo per averlo detto, creduto e pensato automaticamente ci guadagnerà la patente di amici delle “toghe rosse”?


Gualtiero Vecellio

(da Notizie radicali, 22 febbraio 2006)


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