Nono giorno di sciopero della sete. Sesto giorno di occupazione della sede della commissione di vigilanza. 520 parlamentari (più del 50% del Parlamento italiano) che chiedono che il Parlamento ottemperi ai propri obblighi istituzionali, convocandosi ad oltranza per l’elezione del Giudice della Consulta e per l’insediamento della Commissione di Vigilanza Rai.
Scandiamo, perché forse per i più -cioè quelli che non hanno uno scranno in Parlamento o in altro luogo in cui siano sistemati per decisione dei partiti- si tratta di una cosa talmente assurda che anche solo pensarci fa sorridere. “Per l'insediamento della Commissione di Vigilanza Rai”, l'organismo che dovrebbe verificare che radio e tv di Stato svolgano servizio pubblico di informazione. Ci rendiamo conto che in un servizio pubblico molto basato su pubblicità commerciale e spettacoli di intrattenimento e sport, gli interessi della sopravvivenza di se stessi possano travalicare la missione pubblica, ma arrivare a sì tanta sfrontatezza preoccupa molto.
Come spesso accade, Marco Pannella, andando alla radice dei problemi, “mette a nudo il re”, ma questa volta, oltre alla coscienza critica dell'italiano medio, anche più di 500 parlamentari si sono sentiti toccati nel vivo (“anche loro hanno una coscienza”... verrebbe da urlare con gioia) e stanno sostenendo la sua azione. E ancora non accade nulla. La salute di Marco Pannella è una questione di salute pubblica e se lui sta male -dicendocelo- siamo tutti preoccupati perché è altamente probabile che il suo male corrisponda al male di tutti noi, ed è drammaticamente così anche questa volta.
Ma noi intendiamo andare ancor più alla radice dello star male di Pannella, la Rai.
E qui -candidamente- poniamo le domande: siamo proprio sicuri che la Rai serva alla nostra comunità, oltre a quelli che ci lavorano e ai partiti che ci piazzano i loro accoliti? Siamo sicuri che un servizio pubblico di informazione radiotelevisiva debba e possa essere gestito in questo modo? Abbiamo bisogno di una tv di Stato? Dobbiamo continuare con questo apertissimo conflitto di interessi e abuso di posizione dominante, cioè la Rai/Stato che controlla se stessa e i propri concorrenti? L'esistenza di fatto di un duopolio televisivo, non è forse generato da questo sistema pubblico di informazione? Quanta energia imprenditoriale e di eccellenza artistica è fiaccata da questo sistema in cui contano solo gli amici degli amici e non capacità e qualità?
Ci fermiamo con gli interrogativi e chiediamo a Pannella (anche se è scontata la sua risposta) e agli oltre 500 parlamentari se non sia il caso, a partire dalla constatazione della violazione di legalità da parte di chi dovrebbe garantire la stessa, di cominciare a ripensare il tutto scardinando un sistema il cui primo mattone è l'imposizione del canone, l'imposta più odiata dagli italiani.
Se la battaglia di Pannella andrà in porto -e ovviamente l'auspichiamo e ci diamo da fare perché, per l'appunto, riguarda anche la nostra salute- per evitare che si tratti solo di rilievo e sistemazione delle contraddizioni di un regime di illiberalità incostituzionale e monopolista, occorre non fermarsi. L'abolizione del canone/imposta crediamo sia il passo successivo. Sappiamo non essere pochi i parlamentari favorevoli a questa opzione, ma sono molti coloro che lo pensano e non fanno per scelta di comodo. Bene, parlamentari comodosi, se avete avuto il coraggio di dire che non volevate sentirvi male con Pannella per lo stato drammatico e disastroso della commissione di vigilanza Rai, noi vi offriamo un altro elisir di lunga vita, quello della libertà di informazione e di impresa nel settore.
Qui il nostro specifico settore sulla questione canone Rai
Vincenzo Donvito, presidente Aduc