[Dal Corriere della sera del 29 novembre 2005 col titolo “Il Concordato? Anticostituzionale”]
Buon lavoro il Concilio Vaticano II, seguito da altri documenti. Il buon lavoro starebbe andando però in malora per la tendenza della Chiesa a influire, invece che sulle coscienze, sugli apparati politici; e per la loro tendenza a ottenere l'appoggio delle gerarchie ecclesiastiche. Un processo, questo, che travolgerebbe il Concordato, «corrodendone le basi di legittimità». Cinque anni fa avevo sostenuto sul Corriere che, per quanto riguarda il Concordato, quel buon lavoro non c'era, perché ancora oggi è il Concordato a essere ambiguo, ed è questa ambiguità a corroderne le basi di legittimità - in modo ben più grave degli inconvenienti giustamente indicati da Zagrebelsky. Richiamo l'argomentazione che allora avevo sviluppato (e ora riportata nel mio libro Nascere, Rizzoli, 2005).
L'art. 7 della Costituzione dice che i rapporti tra Stato e Chiesa «sono regolati dai Patti Lateranensi» del '29 e che «le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale». Nell'84 Stato italiano e Chiesa hanno modificato i Patti del '29, ma - ecco il punto - in modo così profondo da distruggerne il contenuto essenziale. Dirò subito perché. Ma intanto è chiaro che se nell'84 il contenuto dei Patti è stato distrutto, allora è stato distrutto anche l'articolo 7 della Costituzione, per il quale i rapporti tra Stato e Chiesa sono, appunto, «regolati dai Patti Lateranensi».
Perché, dunque, affermo che nell'84 il loro contenuto è stato distrutto?
La sostanza dei Patti era costituita dal duplice principio che la religione cattolica «è la sola religione dello Stato» e che «l'Italia riconosce la sovranità della Santa Sede», cioè l'esistenza di uno Stato pontificio. Ma la cosiddetta “revisione” dei Patti, dell'84, dichiara che non è più in vigore il principio della religione cattolica come «sola religione dello Stato italiano». Non è cosa da poco. Non si tratta di una semplice “modificazione” dei Patti: viene abbattuto uno dei due pilastri che li sorreggono: l'Italia non è più uno Stato cattolico. Pertanto i Patti non solo vacillano, ma crollano, non ci sono più. E invece il testo della nostra Costituzione continua, imperterrito, ad affermare che i rapporti tra Stato e Chiesa «sono regolati dai Patti Lateranensi», ossia da ciò che con la “revisione” dell'84 è stato buttato fuori dalla porta. Se si volesse tenere in casa tale revisione, bisognerebbe dire che il testo della Costituzione afferma il falso.
Si aggiunga che, poiché nell'84 non c'è stata “modificazione” ma annullamento dei Patti, nell'84 è stata fatta valere impropriamente, e dunque contraddittoriamente, anche la norma costituzionale sopra riportata per la quale «le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale» (cioè non richiedono la modifica del testo costituzionale). Non essendosi infatti trattato, nell'84, di semplici “modificazioni”, ma di distruzione dell'essenza dei Patti, ne risulta infatti che tale distruzione richiede un procedimento di revisione costituzionale. Ma questo procedimento non è mai stato effettuato: la distruzione dei Patti è stata camuffata e fatta passare come loro semplice “revisione” o “modificazione”.
L'ambiguità dell'attuale rapporto tra Stato e Chiesa è una vera e propria contraddizione. È cioè contraddittoria l'attuale convivenza tra art. 7 della Costituzione e la “revisione” dell'84. Se la Costituzione è la legge suprema che giudica della legittimità o meno delle altre leggi, la “revisione” dell'84 è anticostituzionale. La riforma del Concordato si impone non perché sia richiesta da qualche schieramento politico, ma perché la forma attuale del Concordato è contraddittoria e quindi è priva di legittimità.
Per la Chiesa non è conveniente, oggi, approfittare esplicitamente di questa conclusione (per la quale essa potrebbe sostenere che, dopotutto, non è così chiaro, giuridicamente, che l'Italia non sia più uno Stato cattolico). La Chiesa preferisce giustificare la propria presenza nella società italiana col principio che una società non può vivere prescindendo dai valori cristiani - il principio, espresso da Tommaso d'Aquino, dell'armonia tra ragione e fede e pertanto tra Stato e Chiesa. Secondo tale principio tutte queste dimensioni sono autonome, purché ragione e Stato non siano in contrasto con la fede e la Chiesa. Una precisazione quest'ultima che, certo, distrugge la conclamata autonomia della ragione e dello Stato, ma che si presenta in un contesto che consente di mascherare dignitosamente questa distruzione.
Tempo fa, l'allora cardinale Ratzinger sostenne la tesi non tomistica che la ragione non può con i soli propri mezzi dimostrare l'esistenza di Dio. Una tesi che non mascherava adeguatamente la convinzione che uno Stato e una ragione che vogliano essere autonomi rispetto al cristianesimo sono un fallimento. È sintomatico che proprio in questi giorni il pontefice abbia invece di nuovo additato la concezione tomistica come la vera soluzione del problema del rapporto tra fede e ragione, tra Chiesa e Stato. È più adatta a mascherare la tesi che ogni voce del mondo debba adeguarsi a quella della Chiesa.
Emanuele Severino
(riproposto in Voci e volti della nonviolenza, n. 206 - 29/07/2008)