Lo storico fortunato inserto del Corriere della Sera che aveva assunto fin dai primi del 900, dignità autonoma di rivista settimanale dedicata ai bimbi/ragazzi per promuovere, costituire alimentare e trattare di una nascente “cultura giovanile nazionale e di ceto” (duellando con il confessionale Il Vittorioso prima e con il successivo laico L'Intrepido del dopoguerra immediatamente dopo), non aveva nell'accenno al titolo alcuna intenzione denigratoria facendo riferimento ai “piccoli” (in pratica solo allo scopo di distinguerli dal target dei cosiddetti “grandi”).
Ma oggi, troppi cosiddetti “grandi” della terra sono, salta all'occhio, dei piccoli (non solo di) di taglia, quasi assistessimo ad una miniaturizzazione degli apparenti detentori del potere dopo quella degli armamenti con l'invenzione delle atomiche tattiche, le celebrate “mininukes”. Miniaturizzazione che trarrebbe giustificazione nel nostro caso non dall'esigenza però dalla necessità di rendere più maneggiabili e diffusi gli oggetti verso cui essa si realizza ma, invece, quasi, di poter disporre di più soggetti attivi, detentori di poteri diffusi e diversificati, ed autoreplicantisi che, in quanto ridotti nel loro ingombro fisico si sottraggono all'accusa di voler “riempire tutto il proscenio”. Ma nei quali, invece, contemporaneamente, con l'altezza non si ridimensionano potere e pericolosità, poiché un soggetto potente ma meno evidente ed esposto è, se possibile, ancor più temibile di un suo corrispondente di dimensioni più standard, meglio visibile perché “nella norma”. Quindi, addio ai Roosevelt, agli Eisenhower ed ai De Gaulle.
A chi mi riferisco ora? Non c'è che l'imbarazzo della scelta. Berlusconi, Sarkozy, Merkel, Putin Medvedev, i Cacinsky bis, Lula, con le scontate le intelligentie dei regimi dell'estremo oriente basta il ricordo di Deng) e...; e da noi quasi tutti gli amministratori/ statisti/ economisti con incarico governativi di ogni parte, da Letta (senior) a Tremonti, da Maroni a Scajola, da Brunetta e Baldassarri, sino ad Alemanno ed oltre...
Non è, citandoli come piccoli, volerne tanto fare questione di “altezza in centimetri” ma di denunziare un modo di porsi verso i problemi e di assumere una postura verso gli interlocutori (giornalisti o partner o colleghi che siano), ed atteggiamenti e tic che costellano ogni occasione di fotografia ufficiale in occasione di meeting, o summit (!?)...
“Devono”, è fatale, essere più visibili di quanto consenta loro uno spesso impietoso confronto con altri personaggi di cui hanno la sfortuna di condividere, con diversa taglia, il proscenio; con sempre più spesso donne/ gheishe/ hostess/ministre/ piuttosto che mogli o loro surrogati..., comunque di rappresentanza, meglio alte quindi; ma colleghi immancabilmente “all'altezza” quindi alla (e della) maggior bassezza possibile e caratterizzati oltre che da fedeltà dalla complicità che dà un condiviso senso di impo/onni-potenza, sperimentato quasi dal nascere. È per questo che le “quote rosa” sono spesso, necessariamente delle “fuori quota”.
Ci sono, allora da prendere in considerazione e da non sottovalutare, e passi, forse, ancora, le visibilità da eccesso contemporaneo di sovraesposizione ed inconsistenza (quelle, per intenderci, della serie degli eventi pubblici che intendono ricalcare senza riuscirvi lo stile della passata Corte di Versailles oppure che prendono corpi sotto forma di sublimazioni di “veline” di tutti i generi); ma ce ne sono altre che richiedono dei “solidi clamori“, che dai semplici “boatos” spesso possono (debbono?) degenerare in veri e propri echi di esplosioni belliche (il ricorso ossessivo ed invadente ai fuochi artificiali ne è un'evidenza evocazione).
La mancata visibilità fisica “deve” perciò essere restituita “politicamente”, e possibilmente con gli interessi. Così il rischio di scarsa visibilità e quindi di scarsa autorevolezza internazionale, diviene “affare pubblico” e l'orgia mediatica ossessiva delle celebrazioni internazionali (vedi Olimpiadi) ne l'espressione quasi costretta.
Chaplin, da par suo ha voluto fare de Il Grande Dittatore un parodistico omettino che traeva da una percezione di minorità l'umanissima volontà di un riscatto in termini di necessaria conquista di nuova potenza (che non poteva, poi, che rivelarsi, tragicamente “disumanissimo”).
Ma sarebbe banale fare un parallelo meccanico fra l'attualità e la storia anche recente. E questa notazione/riflessione non vuole farlo. Ma essere una segnalazione su cui di certo sarebbe imprudente chiudere gli occhi, di fronte proprio ad un “particolare minimo” della realtà che non è certo “discriminante in sé” (ed allora Gandhi, Einaudi, Gramsci che non erano giganti, infatti?), ma non può essere escluso anche come possibile “segno” di unità fittizie e frammentate e di tempi scomposti, precari, non presidiati adeguatamente da figure di statisti o anche solo di politici degni di questo nome. Mentre Pannella se non è, come sempre, oscurato o reso irriconoscibile, è irriso. Ma la nostra denunzia non è protesta o atto d'invidia, ma è forma, anch'essa, del Satyagraha.
Poiché, semplicemente, non possiamo, come sempre d'altronde abbiamo fatto, sottrarci alla responsabilità almeno della non mistificazione della verità, essendo, oggi, consapevoli di essere fra i pochi in grado di poter (e voler) decrittare un momento pieno di pericoli, in cui la Democrazia Liberale, che altro non è se non un sistema istituzionale di ottimizzazione dei processi interni di selezione dei ceti dirigenti e delle garanzie civiche, sembra vacillare di fronte al suo compito storico di continua ricerca di protagonisti in grado di assicurare, almeno, prima di ogni altra cosa, uno stato di relazioni pacifiche fra i popoli del mondo.
Guido Biancardi
(da Notizie radicali, 04/09/2008)