È passato quasi un anno da quando i radicali hanno chiesto formalmente al consiglio di amministrazione della Rai di discutere e risolvere la questione - da molti giudicata non solo necessaria, ma urgente - della costituzione di una struttura che si occupi specificatamente e continuativamente dei diritti civili e umani.
«Vi ricordiamo», si leggeva nel documento inviato ai componenti del cda, «che risulta completamente disatteso l'articolo 8, comma 8 del contratto di servizio: “La Rai si impegna entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente Contratto a conferire a una struttura che risponda al direttore generale con poteri di controllo, i compiti di definire le linee guida di comunicazione e i principi di riferimento per la presentazione delle problematiche sociali da parte della Rai, nell'ambito del presente Contratto; definire, proporre, realizzare le iniziative sulle tematiche sociali sia all'esterno che all'interno della programmazione radiotelevisiva e multimediale, anche in collaborazione con le associazioni e le istituzioni preposte”. E ancora: “...accogliere e valorizzare le tematiche di carattere sociale rappresentate dalle associazioni e istituzioni che operano in tal senso, consultando direttamente le medesime, con l'obiettivo di sviluppare la massima attenzione del pubblico sulle problematiche sociali; svolgere le funzioni di segreteria e supporto alla Sede permanente di confronto sulla programmazione sociale”». Tutto questo doveva essere realizzato entro il 30 novembre 2007.
Si sottolineava che un dato di fatto appare chiaro e incontrovertibile: su eventi di sicuro interesse pubblico, oltre che giornalistico, la funzione che la Rai dovrebbe e potrebbe assicurare è clamorosamente disattesa e deficitaria. I radicali lo sostengono e lo denunciano da anni, ma non sono i soli. Un'organizzazione la cui serietà e imparzialità è unanimemente riconosciuta, Medici senza frontiere, ha diffuso un documento sulle «crisi umanitarie dimenticate dai media» che contiene un'analisi realizzata in collaborazione con l'Osservatorio di Pavia, e prende appunto in esame lo spazio dedicato alle crisi umanitarie dai principali telegiornali della tv pubblica. Se ne ricava che le dieci crisi umanitarie identificate da Medici senza frontiere come le più ignorate dai media nel mondo sono: Somalia, Zimbabwe, tubercolosi, malnutrizione infantile, Sri Lanka, Repubblica democratica del Congo, Colombia, Myamar, Repubblica centroafricana e Cecenia. Sulla situazione Cina e Tibet, che pure - data l'occasione delle Olimpiadi - è di strettissima attualità, è meglio stendere un velo pietoso.
Accade che ogni trenta secondi quattro bambini muoiono di fame, ma neppure questo fa “notizia”. Alla malnutrizione, che ogni anno uccide almeno cinque milioni di bambini sotto i cinque anni, sono state dedicate solo una ventina di notizie, la maggior parte delle quali in relazione agli appelli del pontefice e alla campagna “Il cibo non basta” lanciata dagli stessi Msf. La tendenza generale dei telegiornali è di parlare dei contesti di crisi solo quando risultano coinvolti italiani o celebrità del cinema e dello spettacolo; oppure quando accade qualcosa sul nostro territorio. Un capitolo a parte merita il caso del Darfour, che Medici senza frontiere definisce un «teatro di gravissima e continua crisi umanitaria e un evento mediatico dalle alterne fortune», cui sono state dedicate appena 54 notizie nel 2007, legate per lo più alle molteplici iniziative di sensibilizzazione di personaggi famosi.
L'analisi delle principali edizioni (diurne e serali) dei tg Rai e Mediaset mostra innanzitutto un calo delle notizie sulle crisi umanitarie nel corso del 2007, che passano dal 10 per cento del totale (dato 2006), all'8 per cento: 6.426 notizie su un totale di 83.200. Se poi si esaminano le fasce orarie e le collocazioni (per lo più in edizioni di telegiornali di minor audience o nell'ambito dei programmi di rete in situazioni di cosiddetta “nicchia”, il quadro appare ancor più desolante; soprattutto se si opera un riscontro con quanto viene prodotto dai notiziari e dalle reti televisive di altri Paesi in Europa o negli Stati Uniti. «In Italia», ha detto sconsolato Kostas Moschochoritis, direttore di Medici senza frontiere, «è molto difficile parlare delle aree di crisi». È appena il caso di osservare che il rapporto e la denuncia del direttore Moschochoritis, non hanno avuto alcuna eco.
Che non si tratti di una denuncia infondata, lo si ricava, del resto, dall'ammissione stessa del presidente della Rai Claudio Petruccioli, secondo il quale «la Rai non ha fatto tutto quello che era necessario in tenia di diritti umani».
Per questo si è chiesto di creare una struttura che risponda alla direzione generale, dotata di mezzi e risorse, con poteri effettivi anche sul palinsesto, e che sia in condizione quando se ne presenti la necessità e l'urgenza, di trattare non episodicamente le grandi questioni legate ai diritti umani e civili, nazionali e internazionali. Una struttura, insomma, che funga da “agenzia” da cui possano attingere reti, programmi e strutture giornalistiche del servizio pubblico.
«Quello che si chiede al servizio pubblico è di lavorare sul tema con continuità», ha scritto il segretario della Fnsi Roberto Natale sul sito Articolo 21. «La Rai ha, se li vuole utilizzare, professionisti che sanno impostare programmi, campagne, palinsesti; che possono rompere la logica dei format e inventarne uno nuovo: il format dei diritti umani». Sulla stessa linea, il parlamentare dell'Italia dei valori Beppe Giulietti e una quantità di organizzazioni e associazioni.
«Se li vuole utilizzare». È qui il cuore del problema: se si vuole, si può fare; e se si può fare, occorre farlo. E tuttavia il tempo passa...
Per organizzare e gestire questa nuova struttura, non solo dal Partito Radicale, che anzi, è arrivato dopo, si è indicato chi scrive: «Individuiamo in Valter Vecellio, giornalista Rai in forza al Tg2, per la sua storia e per le sue competenze, la persona più adatta a cui affidare la guida di questa nuova struttura. Un'assunzione di responsabilità da intendere anche come caduta della ultra trentennale conventio ad excludendum che viene riservata ai radicali, “colpevoli” appunto di essere tali».
È ovvio che ringrazio tutti perla fiducia; e non nascondo che accetterei volentieri l'incarico, vincendo la pigrizia che, con gli anni, cresce. Da quando questa proposta è stata fatta pubblicamente e alla luce del sole (senza cioè contrattare nulla sottobanco, come quasi sempre accade), ho appreso alcune cose. Da Libero, per esempio, ho saputo di essere passato addirittura alla storia «come il primo cittadino raccomandato ufficiale d'Italia... i radicali reclamano buoni ultimi, il proprio brandello di Libano», sono protagonisti di una «surreale lotta nonviolenta». Da Panorama ho appreso che «i radicali mi coccolano», al punto che cinquanta dirigenti e militanti radicali hanno avviato uno sciopero della fame perché mi sia affidato «uno speciale sui diritti umani». L'Opinione informa che «le emergenze italiane, per Pannella, sono la mia sistemazione»; e non manca chi mi ha anche fatto i conti in tasca: il mio stipendio è di oltre cinquemila euro al mese, e dovrò passare in amministrazione, per farmi dare gli arretrati che mi spettano e che per qualche ragione non mi hanno mai corrisposto...
D'accordo, sono amenità. Però sono anche il segno di come si trattano, percepiscono, comprendono, dibattono le cose. Non ho mai reagito alle affermazioni che sono state fatte dal giorno in cui è stata avanzata la “candidatura” di nomina perla struttura sui diritti umani e civili. Sono piccole meschinità che qualificano i loro autori, e che evidentemente trasferiscono su altri quello che è loro. Evidentemente non è una questione legata al mio nome: la cosa, piuttosto, riguarda i radicali e quanti hanno avanzato la mia candidatura. Se si spulcia il mio curriculum e si stabilisce che non sono idoneo, va benissimo, niente da dire, continuerò a fare quello che già faccio e come so farlo. Se però il veto si basa su valutazioni partitiche, a causa delle mie opinioni politiche (peraltro note, e mai nascoste), si confermerebbe un'antica conventio ad excludendum nei confronti di un radicale, qualsiasi radicale, per il solo fatto di essere radicale; e allora credo che il problema si ponga tutto; ed è bene che emerga, venga fuori, con tutto quello che significa e comporta.
Valter Vecellio
(da Left Avvenimenti, 22 agosto 2008)