Luigi Pasotelli è nato a Cremona nel 1926 e ha vissuto a lungo a Milano dove è morto nel 1994. È considerato uno dei più importanti poeti sonori italiani appartenenti all’area dello sperimentalismo fonico e visivo. Ha collaborato con Giulia Niccolai e Adriano Spatola nella redazione della storica rivista Tam Tam. Del 1983 è la prima mostra antologica della sua opera visiva, a Palazzo Sormani in Milano. Numerosissime le mostre e le esposizioni individuali o collettive cui ha partecipato come artista visivo e le rassegne, nazionali e internazionali, di poesia e teatro sperimentale, cui ha partecipato invece con sue performances come poeta sonoro. Tra le sue opere ricordiamo: Bo (poema mnemofonico); Serraglio (25 poemi fonovisivi); Scenaia Cibaldone (Poesie lineari e visive); Rebus 1/25 (collages); Prigione e Piano di fuga (testo labirinto per voci simultanee); Parole confuse e Poema immaginario (Inchiostri); François Villon, Ballades en Jargon /Ballate Argotiche, (traduzione) per un’azione teatrale ; A Mezzofilo . Sue performances sono raccolte in Serraglio Testi-Scenari per un teatrino sonoro – libro e audiovisivo – a cura di Alberto Mari (1994) e presenti in dischi, cassette e altre pubblicazioni specialistiche a diffusione internazionale tra cui: Tautologia 86, antologia di Tam Tam curata da Spatola; Baobab 18 Storia della poesia sonora in cassette a cura di Arrigo Lora-Totino edizioni Elitra Reggio Emilia 1989; The Red Rats Recordings; Baobab e The 3 Vipair - Polypoetry Records. Altre performances sono state trasmesse radiofonicamente negli USA e in Europa. In Italia Rai Uno ha trasmesso, nel 1990, Incantamentum Aquae, performance poetica a conclusione del Concerto per piano regolatore di Valerio Miroglio. L’opera di Pasotelli è raccolta in Italia dall’Archivio della Biblioteca Civica di Cremona e negli USA da The Ruth and Marvin Sackner Archive of Concrete and Visual Poetry di Miami.
Liliana Ebalginelli
1/25 REBUS DI LUIGI PASOTELLI
Definiamo Rebus dalla frase latina “sententia rebus non verbis expressa” ossia “frase espressa non con parole ma cose”. Ma anche da Rebis, variante, che è enigma alchemico, “res bina” (cosa doppia). Gli splendidi Rebus di Pasotelli, realizzati con la tecnica del collage, appartengono alla categoria dei Rebus figurati, in cui la frase viene rappresentata da figure integrate da lettere, numeri e altri segni e appartengono alla categoria dell’enigma. Furono pubblicati nel 1985 col titolo di Rebus 1 / 25 in Tam Tam 44/B. L’enigma inizia già dal nome della rivista che li ospita (Tam Tam è un’eco, un ritmo, una ripetizione; 44 è una rima numerica; B è pure una “rima”, una diade che ripete l’uno, cioè la A) e continua nel titolo. Perchè Rebus 1/25? Ricordiamo che Giovanna Pasotelli ci disse come il marito fosse realmente nato nel 1925 e che però, avendo “perso” un anno della sua vita nel tentativo, riuscito, di sottrarsi all’arruolamento nell’esercito fascista, usasse riguadagnarlo, questo anno, spostando la sua data di nascita al 1926. Una coincidenza biografica... E poi: uno dei Rebus equivale a ciascuno degli altri 25? O dobbiamo interpretare lo / come simbolo di frazione e dunque 1 : 25, un solo Rebus diviso in 25 tavole/quadri ossia un intero da ricostruire e risolvere? Questo è l’itinerario che noi scegliamo di percorrere. Terremo presente che le tavole sono ottiche ma che la nostra ricerca dovrà essere impostata sull’elemento vocalico-acustico, centrale nella poetica pasotelliana. Lo scopo finale sarà di riunificare i pezzi, i ritagli, le schegge, le sillabe e gli echi del suo collage ottico-verbale. Poiché il/i Rebus di Luigi Pasotelli sono estremamente criptici e complessi, dovremo tentare vari approcci, tra cui lo sguardo di insieme e lo sguardo analitico microscopico, la classificazione dei materiali usati e degli ambiti di provenienza, la comparazione ecc. Tecnicamente questi Rebus sono, come abbiamo detto, collages di elementi tratti da tavole e illustrazioni, incisioni di vario genere: carte geografiche, mappe, mappali in varie scale e di epoche diverse, tavole anatomiche; tavole naturalistiche (erbe e insetti o animali: uccelli, giraffe, zebre ecc.) o geologiche o astronomiche o astrologiche; scene di genere e tavole tecniche (macchine industriali e ingranaggi di macchine) ecc. Particolarmente criptiche ci appaiono le didascalie frammentarie a piede delle tavole, ossia le lettere, le sillabe, le rare parole che hanno un senso ( cometu, azula, planetu, escalier, descend, entry ) e che comunque appartengono a lingue e scritture diverse o inventate. Usando vari stili: il corsivo, il calligrafico, il tondo, il neretto ecc. Alternando maiuscole e minuscole.
Cominciamo, proviamo a ricostruire. I primi 4 Rebus sono tavole astratte. In Rebus1 potremmo leggere: ivi, lì (il luogo) e un mondo ordinato e misurato geometricamente; in Rebus 2: il y a potremmo leggere ossia c’è un territorio abitato, con indicazione di campi e strade, una stazione; in Rebus 3, altre strade e campi e canali/strade/matite; in Rebus 4, un territorio di caccia esotico, linee telegrafiche, un accampamento di carovane, una testa di giraffa , groppe di zebra e aree diversamente indicate ( la savana?) . Ci pare che Rebus 4 annunci lo sterminio degli animali, dell’ordine naturale. Ma è Rebus 5, uno dei più cupi, a carattere figurativo, che ci offre più materiale di analisi. Non più la mappa simbolica di un territorio, industriale o agrario o esotico ma una scena simbolica che va descritta dal punto di vista, secondo noi, dell’occhio contemplante. Dalla finestra più alta di un palazzo cittadino una figura umana, minuscola, contempla. Dietro il palazzo una tenda si rialza, è il telo della notte, a lato. Rialzandosi ( “e il cielo si squarciò e apparve..” come dicono i testi sacri, dal Vangelo all’Apocalisse) svela ciò che si nasconde , l’ossame, il meccanismo che batte e misura il tempo meccanico, la morte, la luna o il sole in eclisse. La figura, solitaria, non ha un occhio misurante. Vede la mano che batte il tempo degli ingranaggi, rappresentato anche dalla T, iniziale di Tempo, ci sembra. E poi, “Tau” leggiamo all’interno della tavola, nome della T, ultima lettera dell’albeto sacro (alfa/tau ossia inizio/fine). AT in ebraico vuol dire Tempo. La tavola sembra significare che la realtà meccanica/razionale è diabolica, perché rovesciata rispetto a quella naturale: qui tale realtà è rappresentata dalla sagoma del diavolo/princeps huius mundi e dalla K (per tradizione cristiana, la K si riferisce al caesar o principe e sole del mondo temporale). Così il tridente o forca, l’arma e segno di potere della sagoma diabolica, puntato verso il basso, indica l’infero, il materiale (le acque inferiori, come le chiama la Bibbia). Il tridente si rivela poi una croce, non croce salvifica ma tombale, necessariamente legata alla T/Tempo. Passiamo a altri Rebus figurativi, senza più seguire un ordine ma lasciandoci attrarre dalle singole tavole. Ecco Rebus 11 fermare la nostra attenzione. .
Due i protagonisti della tavola, il segno astrale del toro e una forbice. C’è un legame visivo immediato tra corna del toro, taglienti, e le lame della forbice, tra le estremità della forbice e le zampe del toro. Tongs, in inglese, significa forbice ma, sempre in inglese, significa pure lingua e suono (squillante, profondo). Quindi il simbolo è collegato anche all’orecchio. Inoltre: un occhio del toro astrale è, come da tradizione, la stella Aldebaran, che fu per lungo tempo la Polare dell’emisfero nord. Tra le corna del toro passa l’eclittica, cui è legata la maggior parte della mitologia astronomica universale (ciclo delle Precessioni o di 13.000 anni). La forbice taglia e difatti c’è un taglio nel tempo, secondo questa tradizione, terminato il ciclo precessionale. Ma La forbice è anche simbolo della diade (se aperta, come qui) e dell’unità (se chiusa). E’ anche ripetizione: alle 2 lame corrispondono i due anelli della presa. Dalla scritta in basso ricaviamo Ek k ek, eco. E poi le forbici sono anche lo strumento che costruisce tagliando il collage visuale ma, simbolicamente, può alludere al taglio dei suoni per ricreare nuove aggregazioni musicali, ritmiche e verbali. Vediamo anche una lotta tra lingua e toro, tra parola e forza: la lingua tagliente colpisce più della spada. La parola al-debaran in semitico (DBR-) significa parola, tra l’altro. Passiamo a Rebus 17. Al centro di un paesaggio cartografico – montuoso, aspro e labirintico – riconosciamo un diverso territorio, anatomico, le linee curve della sezione auricolare, orecchio esterno e interno, timpano e chiocciola. Quale il rapporto tra l’orecchio e il paesaggio montuoso? Ce lo rivelano due figurine, a malapena visibili sulla sinistra, un satiro che protende bramoso dalla cima di un’altura le braccia e, oltre le rupi aguzze, ormai lontana, ma impaurita, una ninfa fuggente. Fugge in direzione di un’amplissima cunicolare caverna. Il minuscolo satiro, capiamo, è il dio Pan, suonatore di siringa e amante di ninfe. Lei è Eco e, nella versione mitica allusa da Pasotelli, gli sfugge metamorfosandosi in pura voce, rispecchiamento di suoni. A un’altra versione del mito potrebbe pure alludere Pasotelli, alla versione secondo la quale Pan lancia dei pastori all’inseguimento della ninfa e questa viene fatta a brani, ogni brano echeggiando la sua voce: il paesaggio cartografico prescelto è un luogo geografico preciso, è l’interno della Sardegna sud-orientale, luogo impervio percorso dai pastori. La Sardegna dei pastori. L’orecchio attento del poeta può ricomporre per noi le membra e il canto. E anche, il legame tra il paesaggio montuoso e l’orecchio è il suono, così facilmente riecheggiante tra i monti e nel fondo delle caverne. La T , che tre volte almeno leggiamo all’interno della tavola, può essere la T di “timpano” o significare otticamente “martelletto” , altra parte dell’orecchio interno o grande Grotta delle Voci. Le voci, i suoni, zum es, come scrive Pasotelli, si dirigeranno verso l’Es (Freud), verso una parola più ricca e carica, la poesia, la profezia, il Verbo incarnato. Nella mappa troviamo infatti, che una freccia scende dal condotto auditivo verso il basso, indicando la località di S. Giovanni. Può essere un caso? Per la scritta a piè di tavola ora ipotizziamo la seguente lettura: io sogno (traum) di essere (est’ tr, letto alla francese, diventa être = essere) pietra pesante (tung, in scandinavo), tutto (= t + Ot) uomo (om) orecchio (oto). Oppure: io sogno di essere lingua e suono squillante (tung, variante di tong, in inglese è lingua; ma tong significa anche suono profondamente squillante), tutto uomo-orecchio. Oppure ancora: io sogno di essere tutto orecchio-om, alludendo al grande mantra indiano OM, variante di AUM, sintesi della tradizione orale, da bocca a orecchio. Il paesaggio ora ci sembra un paesaggio umano ovvero una sezione della testa umana, la sua mappa per così dire mnemonica, con al centro l’orecchio cioè l’ascolto della mappa stessa. E la mappa si muove tra desiderio e la sua espressione verbale, ritmica, musicale, secondo l’idioma e l’accento del luogo a cui è connessa. Comprendiamo meglio quindi anche tutte le altre mappe, che potrebbero probabilmente interpretarsi come mnemomappe pasotelliane o mnemomappe della tradizione orale cui Pasotelli si connette. Torniamo indietro, a Rebus 6. Qui abbiamo il tema dell’eco sotto forma di imitazione. L’arte (l’arabesco) e la tecnica (la macchina) umane imitano la natura: l’arabesco imita una forma vegetale, la macchina imita una capsula vegetale (la vediamo ripetuta più in piccolo, a scala vegetale). Le lettere interne alla tavola dicono aisa, norma e destino in greco, destino di ripetizione/imitazione mentre la frase in basso “Bli b’Obo klino Popopaetam Spatla” ci offre altri interessanti elementi. Comprendiamo, provando e riprovando, che la scrittura a piè di tavola è da interpretarsi in modo plurimo, ossia letteralmente, foneticamente e riaggregando più volte le lettere, così da formare più parole in più lingue (inglese, francese, scandinavo ecc). Pasotelli usava scrivere i suoi testi e spartiti fonici mescolando dialetti, lingue vive, morte e immaginarie. La scoperta deve certo applicarsi a tutte le altre scritte a piè di tavola. Questa scritta in particolare, come sempre ripetitiva, offre: klino, clinamen, indica tutto ciò che inclina, che piega le cose, le torce, generando altre forme e ripetizioni; ne ricaviamo/estraiamo poi la parola poeta/poetae (singolare/plurale); Spatola (Adriano Spatola); Bo (titolo di un poema mnemofonico di Pasotelli) ma anche L’oblò (titolo di un romanzo di Spatola). La tavola, oltre a significare quanto detto all’inizio, allude probabilmente alla destinata collaborazione di due poeti totali, visuali e sonori, Adriano Spatola e Luigi Pasotelli.
Quanto siamo riusciti a capire di Rebus 17 e di Rebus 6 ci sembra particolarmente importante. Abbiamo secondo noi individuato la chiave dell’enigma, che sta in queste due tavole, nel concetto di Eco. Il tema enigmatico dei Rebus è l’Eco, inteso in senso esteso, ampio, di ridondare, riverberare, ripetere, anche coattamente, imitare, rimare, ritornare. L’eterno ritorno nicciano. Sul piano acustico ma anche sul piano visuale, sul piano temporale-ciclico e temporale-storico, sul piano naturale e su quello della scienza e della tecnica, imitanti le forme e gli atti della natura ecc. La chiave di lettura illumina di senso nuovo, circolare, la visione delle tavole di Pasotelli, le disiecta membra sembrano ricomporsi in unità.
Leggeremo per es. in Rebus 2, all’interno della cartografia e nella scritta in basso (Ylia y A Lial Y), non solo più il y a, c’è, ma lalia e alia. Lalia da ecolalia, glossolalia (che è forma imitativa-creativa) e l’echeggiare è il ripetere cambiando. Lo stesso suono e diverso, aliaque et eadem, diversa e identica, la voce riecheggiata. E in Rebus 5 ritroveremo diversamente sbranato il corpo di Eco/Pasotelli (il suo corpo poetico).
Qui si ripetono in variazione le lallazioni mentre il soggetto particolare è il tempo meccanico, ripetitivo, mortale, diabolico, solitario.
Non analizziamo oltre le diverse parti del puzzle/collage, ci basta avere proiettato una certa luce sull’ enigma, di avere individuato un metodo e un filo di Arianna. E tuttavia non vogliamo rappresentare Luigi Pasotelli come poeta della ripetizione. Egli poeticamente si giostra tra irripetibilità/originalità e ripetizione, tra dispersione e unità, scomposizione, nel solve et coagula.
Antonio Agriesti & Liliana Ebalginelli