Donne vittime nei conflitti e di violenze.
Si chiama Babelmed (www.babelmed.net), è il sito delle culture del Mediterraneo. Ha raccolto una serie di inchieste in nove paesi che si affacciano sul Mediterraneo (Algeria, Egitto, Francia, Italia, Libano, Marocco, Palestina, Spagna, Turchia) che indagano sulle condizioni della donna. “Avere vent’anni nel Mediterraneo”, è il nome dell’iniziativa, ed è stata realizzata insieme a tre giornali: L’Orient le Jouri, libanese; Le journal hebdomadaire, marocchino; la rivista spagnola Afkar-ideas; e il sito di informazione turco Bianet.
In sintesi, questo il risultato delle inchieste.
Giovani curde a Istanbul in cerca di migliori condizioni di vita, donne impegnate contro la mafia in Italia; operaie egiziane in rivolta, algerine che hanno vissuto gli orrori del terrorismo, e donne vittime di violenze domestiche che si organizzano in Marocco e in Spagna. Le inchieste mettono in luce gli abusi e le ferite ancora sanguinanti delle violenze sulle donne, ma sottolineano anche l’impegno, il coraggio e la loro determinazione nel chiedere giustizia, nel far riconoscere i propri diritti, e nell’esigere una piena partecipazione alla vita sociale e politica del paese in cui vivono. Come in Libano: dove le donne chiedono un ruolo decisionale nella vita del paese: «Il ruolo della donna durante un conflitto è molto importante», spiega Sahar al Attar, giornalista del quotidiano libanese L’Orient le jour, «perché è molto difficile gestire il quotidiano, fare in modo che i figli siano nutriti, occuparsi degli anziani che restano nei villaggi. Tutto è molto più complesso perché la donna è sola, gli uomini sono tutti in guerra. Sono le donne che si occupano del quotidiano quando c’è una guerra. In Libano poi subiscono una guerra che non hanno fatto, né voluto. Le donne non hanno preso nessuna decisione, ma subiscono la scelta degli uomini». Le donne libanesi, pur mostrandosi ai turisti come donne “libere”, si trovano all’interno di un contesto particolare, ma sono coscienti che il loro ruolo è di vitale importanza anche per le future generazioni: «Le donne sono molto presenti nelle organizzazioni non governative», continua Sahar al Attar. «Hanno però il dovere di partecipare alle scelte del futuro dei propri figli e alle politiche sociali e di sviluppo del proprio paese. Le donne crescono gli uomini di domani, se c’è una cultura di pace, avremo figli più aperti al dialogo e meno alle armi».
«Non si vuole più parlare di coloro hanno attraversato la guerra, donne e bambini. Io sono una di quei bambini nati nel bel mezzo di una guerra». Lawin ha 23 anni, ed è curda. Aveva un anno quando il suo villaggio è stata evacuato nella regione di Diyarbakir nel sud-est della Turchia. La sua famiglia oggi vive a Istanbul. La storia di Lawin è raccontata nell’inchiesta di “Nadire Mater”, del sito di informazione turco Bianet. Tra il 1984 e il 1999, 3.500 villaggi e frazioni curde sono state evacuate, secondo statistiche non ufficiali. Il ministero degli Interni turco stima in oltre 350mila il numero di persone forzatamente immigrate, mentre la valutazione delle ONG oscilla tra uno e quattro milioni. Gli sfollati interni non hanno avuto alcun contributo finanziario, né altre forme di aiuto, sotto forma di cibo, alloggio, istruzione, salute, occupazione. «Nel conflitto», spiega l’autrice del reportage, «ci sono donne che prendono parte alle operazioni sulle montagne, ma molte sono fuggite nelle città nella parte occidentale della Turchia, portando con loro i bambini. Ci sono però parecchi problemi relativi alla lingua, alla mancanza di un lavoro, anche perché non sanno né leggere né scrivere. Non è facile allevare i figli in queste condizioni».
I bambini morti per fame nel 2006.
Nel solo 2006 nel mondo sono morti 9,7 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni. È quanto si ricava dall’ultimo rapporto dell’UNICEF. L’80 per cento dei decessi si è verificato nell’Africa sub-sahariana e Asia meridionale: chi nasce in queste zone ha una probabilità su sei di morire prima di compiere cinque anni. Le principali cause di morte sono: complicazioni neo natali (36 per cento), polmonite (19 per cento), diarrea (17 per cento).
“Cifre” dall’Iran.
L’Iran in cifre: 1.400 studenti arrestati dal regime durante la rivolta del luglio 1999. 298 gli uccisi nel 207; l’anno prima erano stati 177. Tra gli assassinati dal regime: criminali comuni, omosessuali, adulteri e indipendentisti di minoranze etniche. 184 gli iraniani che hanno chiesto nel 2005 asilo politico su un totale di 3.500 persone da ogni parte del mondo. 17.000 i rifugiati iraniani in Italia, un numero tra i più bassi in Europa. Nel Nord Europa, infatti, la percentuale sale, e si calcolano dai nove ai dodici rifugiati ogni mille abitanti.
a cura di Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 6 giugno 2008)