«Famiglie-farsa con due padri o due mamme». Così titolavano i giornali perbene l’indomani dell’approvazione, in Spagna, della legge che consente il matrimonio fra due persone dello stesso sesso e – udite! udite! – persino l’adozione di bambini da parte di una simile “famiglia-farsa”… Meglio, molto meglio, che piuttosto continuino, questi bambini, a rimanere relegati negli istituti, dove notoriamente il “clima familiare” è ricostruito alla perfezione, specie se gestiti da religiosi/religiose, magari con rigide divisioni e separazioni (in base al sesso, appunto).
Non ci vuole molta fantasia per immaginare le argomentazioni fatte seguire a quei titoli, a firma dell’editorialista, o dell’esperto, o del prelato di turno. Sempre, ovviamente, premettendo che nessuno intende fare discriminazioni, né mancare di rispetto a chicchessia in ragione del suo orientamento sessuale, ma che bisogna sempre guardare e mettere davanti l’interesse (supremo) del bambino. Con questo alibi, che consentirebbe di pontificare anche da posizioni… liberali o progressiste, si possono allora celebrare le magnifiche sorti dell’istituzione matrimonio, sia esso considerato sacramento o contratto civile, ineluttabilmente e univocamente però – chiamando in causa, anche qui, la Natura – fondata sul rapporto tra un uomo e una donna. Perché, si sostiene, da una rapporto sterile per definizione (tanto per non mancare di rispetto e non fare discriminazioni, eh?!) si pretende una prole?
E subito Prodi (ma anche Della Vedova, se bene intendo quel che scrive qui a fianco) a precisare che no, in Italia non si vuole questo – ci mancherebbe! Sic – ma solo i “patti”. E così via minimizzando. E sempre sulla difensiva.
Non sono un patito del matrimonio, ma non per questo devo sostenere che nessuno si dovrebbe sposare. Perché bisogna sempre anteporre a ogni cosa e a ogni ragionamento la propria visione, le proprie convinzioni? Pretendere che siano quelle assolute, fondamentali, inderogabili e, insomma, pretendere che tutti debbano a queste conformarsi? Si ritiene adatta all’allevamento e all’educazione di un figlio (…di nessuno, magari) una comunità e non, invece, un comunità fatta di due persone. In ragione di cosa? Del loro sesso? Suvvia, siamo seri!
Se abbiamo paure ancestrali, tabù succhiati con il latte materno, paraocchi saldati alle orecchie che non ci lasciano guardare che in quella direzione, ebbene, di questo parliamo… ma per favore lasciamo stare i bambini. Ché altrimenti il costernato editorialista potrebbe sentirsi rispondere, com’è del resto più che ragionevole: «Meglio due mamme che neanche una».
Enea Sansi
(da 'l Gazetin, luglio-agosto 2005)