Uàn sciòt valtellinese, per il mese di maggio. Un prodotto assolutamente a-tipico eppure tanto radicato nella sua terra: Fiammetta Giugni. Un’amica, inutile nasconderlo. Una che può tirarti in ballo Jung mentre stai discutendo del formaggio.
– Quale è stata l’esperienza che ti ha portata alla scrittura di Logotelia?
Comodo buttare lì una domanda, una, e poi defilarsi, lasciando il povero destinatario solo a scervellarsi…; tuttavia la rubrica nella quale va a rifugiarsi la mia risposta ha un nome così allettante per me, soprattutto se lo scrivo così come si pronuncia: uàn sciòt, che mi coinvolge da subito e dà l’abbrivio per una risposta.
Tiro il suono dalla mia parte e gli do il colore e l’odore della “torta” bovina, rotonda, fumante… Dalla sciòta alla Logotelia il passo è breve (se visto in prospettiva) e altrettanto breve è il percorso a ritroso, per cercare di rispondere. (Forse è doveroso chiarire che io svolgo la professione di veterinario e che sono specializzata in grossi animali).
Il tutto per dire che la Logotelìa (un mio neologismo che ho definito anagramma imperfettissimo di teologia) viene fuori da una completa distrazione rispetto al sacro che ne è allo stesso tempo il ritrovamento. Ritrovare il sacro è esperienza in primo luogo di sensi, di corpo, ed è un esperire che mette a soqquadro i riferimenti comuni. E allora si cerca la parola. E lei viene.
È venuta perché doveva chiarire a me stessa e al mio interlocutore privilegiato quello che mi stava succedendo. E mentre pensavo, ingenuamente, di aver scelto la parola, in verità era la parola che si imponeva e aumentavano i miei doveri nei suoi confronti, fino a divenire smisurati rispetto alle mie forze.
È la condizione della schiavitù, nella quale non è da mettere in conto nessun trionfalismo. Bisognerebbe spiegare a coloro che si iscrivono alle scuole di scrittura creativa (consigli per le massaie, li chiamava la Cvetaeva!), magari sperando in una gloria a portata di mano, che la scrittura è una perdita totale di diritti.
E qui ci sta bene una poesia tratta dalla Logotelìa perché la risposta è lì, implicita;
bipertita
I
di noi non potevamo
sacrificare niente
(impossibile
recidere anche un solo ramo
al nostro grande albero)
è stata la parola
ogni giorno
ad offrirci la sua giovinezza
sul piatto ancora caldo del suo sangue
I bis
bella tettina
bella boccuccia
rima bonissima
gioco de foco
gioco de foco
rima bonissima
bella boccuccia
bella tettina
………………….
(repetendo per variatione)
La poesia ha ribaltato il filo del discorso: la Parola è vittima o carnefice?
C’è una parola bellissima che si chiama sacrificio (ritorna in etimo il sacro) …, e qui mi fermo perché, a differenza di qualcuno!, non mi piace fare rumore e men che meno farmi notare.
Fiammetta Giugni
Fiammetta Giugni, nata nel 1955, risiede a Sondrio dove svolge la professione di Medico Veterinario.
Ha pubblicato La luna e l'aquilotto (racconti) e Logotelìa per le edizioni Officina del libro. Sue poesie sono apparse in riviste (Frontiera, Il vascello di carta, Le voci della luna) e in sillogi LietoColle.
(s.m. www.smonti.blogspot.com)