La sconfitta è sonora. Il candidato sindaco di Roma Francesco Rutelli che tanti – anche chi scrive – davano per favorito, non ce l’ha fatta, e il candidato del centro destra Gianni Alemanno l’ha distaccato con parecchi punti di percentuale. Conviene anche a noi cercare di comprenderne le ragioni; e sommessamente rivolgiamo un pubblico invito agli Angiolo Bandinelli, ai Gianfranco Spadaccia, a quanti hanno lavorato su Roma, perché intervengano e ci aiutino, con le loro riflessioni, a capire. Nel frattempo, si azzarda qualche spiegazione.
Un elemento è stato subito colto da Marco Pannella intervenuto nel pomeriggio di lunedì a Radio Radicale. Nella città di Roma il candidato alla provincia Zingaretti è stato votato più di Rutelli. A cosa si deve questa apparente bizzarria? Certo, molti possono non aver gradito che dopo due “sindacature” Rutelli ci siano state due “sindacature” Veltroni, e che ora si riproponesse Rutelli: un giro di “poltrone” tipo “quattro cantoni”, e alla fine qualche elettore può aver detto “Basta, ora si cambia”. È possibile. Del resto, per andare oltre Chiasso: le difficoltà che incontra Hillary Clinton, non sono dovute oltre a una conscia o inconscia misoginia dell’elettorato americano, anche al fatto che “voti Hillary e ti ritrovi Bill”? Più vicino a noi, a Londra, Tony Blair non è stato mandato a casa anche – se non soprattutto – perché il suo premierato stava diventando una sorta di monarchia? Forse, dunque, c’è del buono, se l’elettore romano ha inteso spezzare una catena che rischiava di durare una ventina d’anni.
Però ci deve essere anche molto altro. Il sondaggio è pedestre e ha un valore ultra-relativo; ma chi scrive ha trascorso buona parte del pomeriggio di lunedì a cercare di capire le ragioni di una decina di conoscenti che con il centro-destra non hanno nulla a che fare, e che tuttavia non avevano votato per Rutelli. Qualcuno addirittura era andato a votare, annullando la scheda del comune e ha invece votato per Zingaretti. Perché? Perché Rutelli mi sta sulle scatole, con quel suo ostentare a destra e a manca la devozione verso il Vaticano e le gerarchie cattoliche. In sintesi: Rutelli poco laico, e per questo punito. Fa piacere di questi tempi, constatare che ci sono laici a mille carati; vien da chiedersi dove stavano quando si trattava di votare le liste della Rosa nel Pugno; quasi certamente il loro laicismo sarà approdato verso altri lidi. Ad ogni modo non si può escludere che Rutelli sia stato respinto da molti per “antipatia”. Tra gli stessi radicali Rutelli non riscuote particolari simpatie, del resto…Però come spiegazione non è sufficiente.
Meglio tornare alla riflessione che propone Pannella: perché molti che hanno votato Zingaretti non hanno votato Rutelli? Rutelli avrà senz’altro pagato l’esser stato vice-premier del governo di Prodi, che a torto o a ragione (chi scrive pensa più a torto che a ragione) viene considerato pessimo. Dunque parte di quel giudizio negativo si è riverberato su Rutelli, d’accordo. Poi? Poi, ha detto lo stesso Rutelli, è la questione “sicurezza” che ha fatto la differenza.
In effetti è stata una campagna elettorale sconcertante. A Roma si è votato domenica e lunedì; a Londra si voterà fra qualche giorno. Londra non è una città più tranquilla di Roma, tutt’altro. Però a Londra il sindaco uscente Ken Livingstone e il suo rivale Boris Johnson, si stanno confrontando su questioni come i trasporti pubblici, la disponibilità di abitazioni a prezzi equi, come dare impulso alla città e allo sviluppo economico… A Roma la campagna elettorale si è incentrata sulla questione “sicurezza”. Roma è stata dipinta come una sorta di favela sudamericana, gravi fatti di cronaca sono stati trasformati come qualcosa di quotidiano e abituale, mentre invece sono l’eccezione, non la regola, per quanto eccezione dolorosa e da contrastare. Soprattutto è sembrato che fosse Rutelli il responsabile di quel che accadeva, o almeno Rutelli è stato messo sul banco d’accusa.
Eppure Roma è una delle città d’Europa più sicura, molto più di Londra, dove – per esempio – il numero di delitti (delitti da intendere come omicidi, non in senso tecnico di “illeciti”) sono sensibilmente superiori. Di recente il Corriere della Sera ha pubblicato una “lettera” del ministro dell’Interno Giuliano Amato, dove si spiega che rapine, scippi, violenze in genere, sono in netta diminuzione. E tuttavia sembra di vivere a fort Apache. Ogni giorno, a ogni edizione, i notiziari televisivi pubblici e privati danno di questo paese un’immagine fatta di violenza, stupri, rapine, delitti; i giovani non hanno altra occupazione che drogarsi e abbandonarsi ad atti di bullismo; squadre di extra-comunitari (di preferenza romeni) non fanno altro che scorazzare nelle nostre città, per rapinare e violentare; e via così.
Si potrebbe dire: è il berlusconismo, bellezza. Per non cadere in equivoci: quando si suggerisce la necessità di una riflessione sul “berlusconismo” non si pensa minimamente ad “analisi” stile Marco Travaglio, piuttosto sul fenomeno, sui valori che il berlusconismo ha inoculato nella società, in modo più profondo – e letale – di quanto comunemente si creda. E alla fine questa miopia (o se si vuole questo senso di superiorità, di supponenza), si paga.
C’è stata una indegna, incivile campagna contro l’indulto; si è lasciata incancrenire ulteriormente la situazione; non si è avuto il coraggio di fare l’amnistia; non si è fatto nulla sul fronte giustizia; e infine ci si è abbandonati a una strumentale e demagogica campagna allarmistica sull’ordine pubblico. Campagna che è stata sapientemente alimentata dai mezzi di comunicazione e che non si è saputo, voluto contrastare; anzi, gli si è dato un valido aiuto: perché della compagine del centro-sinistra sono state favorite quelle “anime” giustizialiste e giacobine che hanno avuto la loro testa di diamante in Antonio Di Pietro. E qui si arriva all’analisi di Pannella: quanti elettori di Di Pietro hanno votato per Zingaretti alla provincia e Alemanno per il comune o comunque non hanno votato per Rutelli? Non pochi, è da credere. Vogliono cominciare a interrogarsi su questo?
Lo si dice senza alcun piacere o compiacimento. Ma abbiamo raccolto quello che loro hanno seminato. Al loft ora, probabilmente comincerà un regolamento di conti, cioè proprio quello che dovrebbero aver cura di evitare. È un “gioco” per nulla interessante e che non porta da nessuna parte.
Però dalle parti del loft qualche cosa dovrebbero cominciare a spiegarla, a spiegarcela e spiegarsela. Possono, magari, cominciare da Di Pietro: quando rifiutarono l’apparentamento con i radicali, non motivarono la cosa dicendo che Di Pietro e l’Italia dei Valori erano un’altra cosa, che dopo le elezioni si sarebbero “fusi” in un unico gruppo parlamentare, ecc.? Ebbene, le mettono in fila le dichiarazioni di Di Pietro e dei suoi cari degli ultimi quindici giorni? E va bene così? Idem, stesso discorso per quel che riguarda Paola Binetti e Luigi Bobba. E ritengono credibile che a livello nazionale il Partito Democratico con Walter Veltroni “rompa” con la sinistra comunista e il Partito del NO, preferendo correre da solo; e a livello romano invece si cerchi e si saldi un’intesa con ogni tipo di frangia estremista?
Sono solo appunti, poco più che un parlare ad alta voce. §2 però un discorso da proseguire, approfondire. Bandinelli, Spadaccia, gli altri che di Roma si sono occupati: non fateci mancare il conforto del vostro contributo, il consiglio della vostra critica… Sarà utile a tutti noi, alla vigilia di Chianciano; e anche per il dopo, per quello che si intende fare e si farà.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 29 aprile 2008)