Una mostra al Deutsches Historisches Museum (Museo Storico Tedesco) di Berlino illustra (ancora fino al 12 maggio 2008) “Le tre vite di Stefan Zweig”: così, infatti, lo scrittore, nato a Vienna nel 1881, avrebbe voluto originariamente chiamare la sua autobiografia, pubblicata poi postuma con il titolo Il mondo di ieri. Consapevole che la sua parabola esistenziale era stata personalissima e, insieme, emblematica di una collettività, perché il suo destino aveva in comune con quello di molti europei suoi contemporanei due fondamentali cesure - la Prima Guerra Mondiale e l’avvento del nazismo -, Zweig aveva suddiviso la propria vita, cui pose fine a soli sessant’anni con il suicidio, in tre successive fasi.
La prima, quella della sua infanzia e giovinezza dorate, coincise con il “mondo della sicurezza” del tardo Ottocento, che si chiuse con il crollo dell’Impero Asburgico. Zweig crebbe infatti in una abbiente famiglia dell’alta borghesia: suo padre era un industriale tessile di origine ebraica, mentre sua madre, nata ad Ancona, discendeva da una famiglia cosmopolita di giuristi e banchieri. La sicurezza economica e il prestigio sociale della famiglia garantirono a lui e a suo fratello un ambiente ovattato, dove crebbero nell’agiatezza. Alfred, il maggiore, subentrò poi al padre nella direzione della florida azienda, mentre il cadetto, Stefan, dopo il ginnasio poté scegliere il proprio futuro senza perseguire una precisa finalità pratica. Scelse così di iscriversi a filosofia, perché questa facoltà, non richiedendo l’obbligo della frequenza, gli avrebbe consentito - come fu - maggiore tempo libero da dedicare alla sua vera passione: la letteratura. Già a vent’anni, nel 1901, Zweig, che aveva cominciato a comporre poesie fin sui banchi del liceo, pubblicò il suo primo florilegio, Corde d’argento, cui seguì nel 1906 una seconda raccolta di poesie, Le corone precoci.
Ma non fu con i suoi versi, pur molto apprezzati, che Zweig si impose sulla scena letteraria, bensì con quattro racconti, che uscirono nel 1911 con il titolo complessivo di Prima esperienza; queste delicate storie adolescenziali segnarono l’inizio di una carriera nella quale, da quel momento, successo seguì a successo. Zweig tentò di trovare riconoscimenti anche come autore teatrale, ma in quest’ambito ebbe inizialmente meno fortuna. Come prosatore, invece, ottenne da subito il favore di un vasto pubblico con una serie di racconti e romanzi biografici che fecero di lui uno degli autori più letti e più tradotti del primo Novecento.
L’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo e lo scoppio della guerra nell’estate del 1914 sorpresero e sconvolsero Zweig, che sviluppò allora un radicale pacifismo, in opposizione all’entusiasmo interventista dei suoi conterranei. Come molti altri intellettuali austriaci, riuscì a evitare il servizio al fronte facendo il corrispondente per il servizio stampa dell’Archivio di Guerra di Vienna, ma non perse occasione per denunciare le atrocità di un conflitto che diveniva ai suoi occhi, con il passare degli anni, sempre più insensato.
Il suo impegno in favore della pace culminò, sul piano letterario, con la stesura del dramma biblico Geremia, dove Zweig manifestò, attraverso la figura del profeta, sia il proprio rifiuto di ogni genere di violenza, sia la speranza in un possibile, rapido ritorno alla normalità dopo tante assurde carneficine. Il dramma andò in scena con successo nel 1917 a Zurigo, dove lo scrittore si trattenne fino alla conclusione della guerra, per poi tornare in Austria, ormai divenuta una piccola repubblica alpina, nel 1918.
Iniziò a quel punto la seconda fase della vita di Zweig, che fu per lui la più serena e anche la più proficua. Allora acquistò una bella casa sul Kapuzinerberg (Monte dei Cappuccini) sopra Salisburgo, dove visse con la moglie, Friderike Maria von Winternitz, fino al 1934. Autore di libri e saggi divulgativi, graditi al grande pubblico - si pensi, a titolo d’esempio, alle trilogie La lotta con il demone. Hölderlin - Nietzsche - Kleist o La guarigione mediante lo spirito. Mesmer - Mary Baker- Eddy. Freud, o ai fortunati cicli di novelle Amok o Sovvertimento dei sensi -, Zweig assistette con angoscia crescente all’affermarsi dei diversi fascismi in Europa.
Quando, nel 1934, un anno dopo l’ascesa al potere dei nazisti, la sua casa di Salisburgo venne perquisita, lo scrittore decise di abbandonare definitivamente l’Austria, rendendosi conto che il suo paese stava entrando pian piano nell’orbita di Hitler, che avrebbe fatto il suo ingresso trionfale a Vienna nel 1938, acclamato da una folla invasata al grido di «Ein Volk, ein Reich, ein Führer» (Un popolo, un impero, un Führer). Tentando di sottrarsi a questa prevedibile escalation di violenza, già nel 1934 Zweig si trasferì a Bath, una cittadina termale non lontana da Londra, insieme alla sua giovane segretaria, Lotte Altmann, che poi sposò in seconde nozze.
Dall’Inghilterra tentò di combattere con la penna la barbarie nazista, ad esempio con la splendida monografia su Erasmo da Rotterdamm, interpretandone la vita come la parabola di un raffinato uomo dello spirito che soccombe alla brutale concretezza di una figura sanguigna e pragmatica come quella di Martin Lutero. Durante l’esilio inglese, l’ottimismo che lo aveva sempre animato lo abbandonò pian piano; nonostante il successo che il pubblico gli aveva sempre accordato, i suoi libri vennero bruciati insieme a quelli di molti altri scrittori ebrei e divennero letture proibite. Allo scoppio della guerra, nel 1939, Zweig, essendo austriaco, divenne nemico dell’Inghilterra che lo ospitava e si vide così costretto a emigrare oltre oceano. Ebbe così inizio la terza, breve fase della sua vita, quella dell’apolide in cerca di un luogo in cui provare a ricostruirsi un’esistenza. Quel luogo alternativo gli parve essere, a tutta prima, il Brasile, paese solare e ancora vergine, dove, stabilendosi a Petropolis presso Rio de Janeiro, credette di trovare le condizioni ideali per ricominciare. Ma il Brasile, che Zweig esaltò in uno dei suo ultimi libri come La terra del futuro, non si dimostrò affatto come quel paradiso in cui aveva ingenuamente sognato di potersi facilmente ambientare. Dopo poco tempo, l’intellettuale Zweig, che aveva dovuto lasciare in Europa tutti i suoi libri, i suoi appunti, le sue carte, nonché la sua preziosissima collezione di manoscritti, si rese conto che la natura lussureggiante e l’ingenuità culturale degli indigeni non potevano compensare e ancor meno sostituire quell’Europa, di cui cominciò a sentire sempre più forte la nostalgia, consapevole che solo nel vecchio Continente si sarebbe potuto sentire a casa. Non è un caso che la sua autobiografia, scritta proprio durante l’esilio brasiliano e che, forse il suo libro più bello, è considerata una sorta di testamento spirituale, porti come sottotitolo Ricordi di un europeo.
Proprio quando, a un anno da Pearl Harbor e con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, l’Europa gli sembrò irrimediabilmente perduta, Zweig decise di togliersi la vita insieme alla seconda moglie, “troppo impaziente”, come scrisse naela Declaraçao in cui dava ragione del proprio gesto, per attendere l’“alba nuova” che si augurava sorgesse dopo quel lungo, odioso periodo di tenebra.
La mostra di Berlino illustra con una messe di materiale fotografico “le tre vite” di questo scrittore che il 22 febbraio del 1942 si suicidò mentre nella vicina Rio furoreggiava il carnevale. Fra i curatori della mostra c’è il biografo di Zweig Oliver Matuscheck, che nel suo recente volume, uscito nel 2006, ha arricchito di molti dettagli la conoscenza della vita di questo inquieto cosmopolita, amato e invidiato, prolifico e fragile, perennemente in fuga da se stesso e dalla storia fino a cercare volontariamente la pace definitiva nella morte.
Gabriella Rovagnati
Per saperne di più:
www.dhm.de/ausstellungen/stefan-zweig/index.html