Riflessione sulla vita restituirebbe specchio rotto, i cui frammenti, nei quali ravvisiamo la nostra immagine franta, non collimano, non ricompongono più una figura congruente e unitaria. È esattamente questa la configurazione del problema esistenziale, il lavoro che il poeta affronta nei suoi versi. In questo senso si può parlare qui di poesia etica, ove per etico s’intenda il senso da dare alle nostre azioni e ai nostri pensieri attraverso una formalizzazione non categorica, non dogmatica, ma scandagliata e sceverata in ogni sua ansa e piega.
È, però, la modalità di questa costruzione che ci colpisce in maniera singolare e che rapisce l’attenzione. C’è una convergenza tra i temi della riflessione etica e i temi della perlustrazione del reale (nel senso della sua restituzione percettiva e quindi estetica), quasi che non esistesse distanza tra di loro: «E la stocastica degli urti, / le occhiate che s’incrociano / attraverso un tavolo come due spade / sono masse estranee che si sfiorano». A tal punto che saremmo tentati di dire che la poesia, in fondo, è il luogo ove questa commistione, ben separata in alcuni ambiti filosofici, possa darsi in inestricabile contiguità.
Quale sarà l’esito di tale indagine è domanda che Mauro Ferrari rivolge anche a se stesso. Il suo libro è, appunto, testimonianza del percorso insieme rischioso eppure inevitabile, che il poeta si pone come obiettivo, quando l’impegno della poesia sia assunto in pieno, in tutta la sua portata. Proprio tale percorrenza sarà, infatti, contemporaneamente, esito/scacco: «Il corpo del reato / è un atomo marmoreo e muto, / i fatti uno strisciare fra le rocce / o l’arruffarsi del cespuglio / che non dice vento».
E, dunque, appare in tutta evidenza che gli strumenti dell’indagine e gli oggetti investigati sono problematici di per sé, non solo perché paiono non rispondere agli interrogativi posti dal poeta, ma anche perché è certamente arduo il trapasso da tali strumenti e da tali dati materiali alle entità metafisiche (Verità, Giustizia). Tale trapasso è, infatti, certificato da un salto, si compie su un baratro. Eppure: «c’è un fare che si fa sapere / e dire, e ancora vivere, nell’ultimo». Ed è con questa pesca, che restituisce il senso stesso della pratica poetica, che Ferrari ci conduce, convinti e grati, alla condivisione di una miracolosa moltiplicazione: esperienza di uno che si fa di tutti.
Mauro ci guida attraverso la perigliosità del dire con dantesca memoria: «e quella carne e quella luce, / come dirle senza tradire la consegna / del bianco e del silenzio?». Il poeta accetta lo scacco, ma non torna a mani vuote, persino quando si pone dinanzi alla descrizione di una pittura o quando parla di un avvenimento doloroso o di eventi che come boe deformano il corso della storia o dello spaesamento che coglie dinanzi a «le geologie / che fremono in maturazione». Ferrari non risparmia nessun oggetto alla sua investigazione né cerca artifici consolatori: «nulla mai saprai per sommatoria o balzo della mente / degli intenti silenziosi delle sfere o della forza che ci regge / la stessa che ha aperto i monti, il lago e i venti». Ferrari non sopprime il baratro tra dati reali e dati culturali e anzi si sporge nel vuoto, senza paura di fissare.
Rosa Pierno
Mauro Ferrari (Novi Ligure 1959) è stato direttore editoriale delle Edizioni Joker, www.edizionijoker.com, da lui fondate nel 1994.
Ha pubblicato tre raccolte poetiche: Forme (Genesi, Torino 1989), Al fondo delle cose (Joker, Novi 1996) e Nel crescere del tempo (con l’artista Marco Jaccond, I quaderni del circolo degli artisti, Faenza 2003); ha inoltre pubblicato brevi saggi di poetica, Poesia come gesto. Appunti di poetica (Joker, Novi 1999), e ha collaborato con testi e saggi ad antologie italiane ed europee.
Suoi interventi sono apparsi sulle maggiori riviste, nell’Annuario Castelvecchi e nella silloge critica Sotto la superficie. Letture di poeti italiani contemporanei (Bocca, Milano 2004).