Il messaggio in quelle lettere di condannati a morte è scolpito nel mio cuore come nei cuori di tutti quelli che considerano queste lettere come testimonianze d’amore, di cosciente determinazione e responsabilità verso la vita e come esempio di spirito di sacrifcio e di resistenza al nazismo, questo mostro dell’irrazionalità, che tentò d’annientare la ragione. (Luigi Nono)
La Resistenza è l’insieme dei movimenti sorti durante la II guerra mondiale nei vari paesi europei, contro gli occupanti tedeschi e le forze fasciste ad essi alleate.
Dal 1933 al 1945 furono i Nazionalsocialisti a decidere delle sorti dell'Europa. Molti giovani lasciarono la vita in Grecia, Polonia, Italia, Russia, Francia, Spagna, Germania in nome della libertà... Nove anni più tardi, nel 1954, Thomas Mann scriveva:
«Dobbiamo sempre ripensare e nel farlo ci si stringe il cuore a cosa ne sia stato della “vittoria del futuro”, della Fede e della Speranza di questa gioventù e chiederci in che mondo viviamo. In un mondo di regressione maligna, in cui un odio fatto di pregiudizio e di mania persecutiva si accoppia ad un' ansia panica - Invano sarebbero dunque state La fede, la Speranza, la Capacità di sacrificio della gioventù Europea, che porta il bel nome di Resistenza internazionale, avanguardia in lotta per un mondo migliore ? Privo di senso i suoi ideali? Ed anche la morte sarebbe stata per nulla? No, non può essere». Dalla prefazione di Thomas Mann a Lettere di condannati a morte della resistenza europea, uscito in Italia nella Edizione Einaudi e tradotto in seguito anche in Germania e Svizzera.
La Resistenza in Italia e in Europa, vide impegnati uomini, donne, giovani e ragazzi che combatterono con coraggio nello spirito di libertà che ci accomuna ed è con questo spirito che apriamo la lettura dei testi scelti con la lettera di Chaìm:
Chaìm era un un ragazzo di 14 anni; rinchiuso nel campo di sterminio di Pustkòw fu ucciso nel 1944.
Dal campo dove era rinchiuso, Chaìm lanciò una lettera, scritta in Yiddish, oltre il filo spinato di recinzione; la lettera fu fortunatamente raccolta e conservata fino alla liberazione.
Miei cari genitori,
se il cielo fosse carta e tutti i mari del mondo inchiostro, non potrei descrivervi le mie sofferenze e tutto ciò che vedo intorno a me. Il campo si trova in una radura. Sin dal mattino ci cacciano al lavoro nella foresta. I miei piedi sanguinano perché ci hanno portato via le scarpe. Tutto il giorno lavoriamo quasi senza mangiare e la notte dormiamo sulla terra - ci hanno portato via anche i nostri mantelli.
Ogni notte soldati ubriachi vengono a picchiarci con bastoni di legno, e il mio corpo è nero di lividi come un pezzo di legno bruciacchiato. Alle volte ci gettano qualche carota cruda, una barbabietola, ed è una vergogna: ci si batte per averne un pezzetto e persino qualche foglia. L’altro giorno due ragazzi sono scappati, allora ci hanno messo in fila e ogni quinto della fila veniva fucilato. Io non ero il quinto, ma so che non uscirò vivo di qui.
Dico addio a tutti e piango.
Chaìm. (Virginia Niri)
La lettera di Chaìm (in ebraico, il nome Chaìm significa “vita”), è stata messa in musica anche dal cantautore Ivan Della Mea, anno 1965, nella canzone: Se il cielo fosse bianco di carta (espressione derivante dal Talmud):
Se il cielo fosse bianco di carta
e tutti i mari neri d'inchiostro
non saprei dire a voi, miei cari,
quanta tristezza ho in fondo al cuore,
qual è il pianto, qual è il dolore
intorno a me.
Si sveglia l'alba nel livore
di noi sparsi per la foresta,
a tagliar legna seminudi,
coi piedi torti e sanguinanti;
ci hanno preso scarpe e mantelli,
dormiamo in terra.
Quasi ogni notte, come un rito,
ci danno la sveglia a bastonate;
Franz ride e lancia una carota
e noi, come larve affamate,
ci si contende unghie e denti
l'ultima foglia.
Due ragazzi sono fuggiti:
ci han raccolti in un quadrato,
uno su cinque han fucilato,
ma anche se io non ero un quinto
non ha domani questo campo...
ed io non vivo,
Questo è l'addio
a tutti voi, genitori cari,
fratelli e amici,
vi saluto e piango.
Chaìm.
Le lettere che seguono, fanno parte della raccolta che mi fornì in cassetta-audio, il mio amico Giovanni Frediani, durante il nostro sodalizio letterario, perché le facessi ascoltare ai miei studenti. Le inseriamo, in occasione del 25 aprile, ricorrenza della Liberazione, in queste pagine a ricordo di un amico e affinché continui il messaggio educativo, affidato alla Storia. (A. L.)
Adorno Borgianni: Di anni 19, contadino, celibe. Nato il 1 aprile 1924 a Chiusdino (Siena) e residente a Monticano (Siena). Il 12 maggio 1943 si arruolò nella 34ª Divisione Artiglieria da cui si allontanò l’11 settembre. Unitosi a un distaccamento della Divisione d’Assalto Garibaldi “Spartaco Lavagnini”, fu catturato l’11 marzo 1944 in seguito ad un rastrellamento in località Monte Cuoio nel Comune di Monticiano, ad opera di agenti dell’Ufficio Politico della Federazione dei Fasci di Siena. Condannato a morte, fu fucilato il13 Marzo 1944, ore 18, Caserma Lamarmora, Siena. (E.Cavina)
Carissima famiglia mia,
Io mi trovo condannato con la mia pena di morte ormai il destino è questo fatevi tanto e tanto coraggio ormai è così vi saluto tutti i miei genitori e mio fratello e sorella e parenti di farvi tanto e tanto coraggio
Vostro figlio Adorno
Aggiungo il mio termine che ho fatto una santa comunione
Vostro figlio Adorno
E vorrei la grazia di essere portato al mio paese seppellito con un bellissimo trasporto.
Vostro figlio Adorno Borgianni.
Mario Brusa Romagnoli: Di anni 18. Nato il 12 maggio 1926 a Guardiaregia (Campobasso). Di professione Meccanico aggiustatore. Giovanissimo, si trasferì con i familiari a Torino. Dopo l’armistizio entrò nel movimento di liberazione, aggregandosi, con il nome di battaglia “Nando”, alle Bande Pugnetto, operanti nelle montagne del Genovese. Dopo varie azioni, fu preso e imprigionato a Livorno Ferraris (Vercelli); immediatamente processato fu condannato a morte. La mattina del 30 marzo insieme ad altri prigionieri fu condotto in Piazza Vittorio Emanuele II (oggi Piazza Galileo Ferraris) e fucilato da un plotone d’esecuzione composto da militi del RAU. (I. Pizzirusso)
Papà e Mamma,
È finita per il vostro figlio Mario, la vita è una piccolezza, il maledetto nemico mi fucila; raccogliete la mia salma e ponetela vicino a mio fratello Filippo. Un bacio a te Mamma cara, Papà, Melania, Annamaria e zia, a Celso un bacio dal suo caro fratello Mario che dal cielo guiderà il loro destino in salvo da questa vita tremenda.
Addio. W l’Italia.
Mario-Nando
Mi sono perduto alle ore 12 e alle 12 e 5 non ci sarò più per salutare la Vittoria
Walter Fillak: Di anni 24, studente, nato a Torino il 10 giugno 1920. Espulso dal Liceo Scientifico di Genova per professione di idee antifasciste e costretto a studiare privatamente alla facoltà di chimica industriale dell'Università di Genova fondò, nell'inverno 1940-41, una cellula comunista studentesca in collegamento con le cellule di Torino, Casale, Livorno e Roma e stabilì i primi contatti con gli operai di Sampierdarena. Catturato la notte fra il 29 ed il 30 gennaio 1945 in località Lace (Ivrea), fu processato il 4 febbraio 1945 dal Comando Militare tedesco di Cuorgnè (Torino) e impiccato alle ore 5 del 5 febbraio 1945 lungo la strada di Alpette nei pressi di Cuorgnè .
Mio caro papà, per disgraziate circostanze sono caduto prigioniero dei tedeschi. Quasi sicuramente sarò fucilato. Sono tranquillo e sereno perché pienamente consapevole d'aver fatto tutto il mio dovere d'italiano e di comunista. Ho amato sopra tutto i miei ideali, pienamente cosciente che avrei dovuto tutto dare, anche la vita; e questa mia decisa volontà fa sì che io affronti la morte con la calma dei forti. Non so altro che dire. Il mio ultimo abbraccio, Walter.Il mio ultimo saluto a tutti quelli che mi vollero bene.
Mia cara mamma, è la mia ultima lettera. Molto presto sarò fucilato. Ho combattuto per la liberazione del mio Paese e per affermare il diritto dei comunisti alla riconoscenza ed al rispetto di tutti gli Italiani. Muoio tranquillo perché non temo la morte. Il mio abbraccio a te e Liliana, saluta la mia fidanzata Ines. Addio...Walter
Mia carissima Ines, sono caduto prigioniero e sarò fucilato. Non mi pento di quanto ho fatto per la Causa: e non cambierei la mia vita anche se mi fosse possibile tornare indietro. Spero che la brevità della nostra conoscenza diminuirà il tuo dolore e ti auguro di aver presto, molto presto dalla vita quella felicità che avrei voluto darti io. Il mio ultimo bacio... Walter (ANPI Sezione V.G. Arzani-Genova-Marassi)
Duccio Galimberti: organizzatore della Resistenza cuneese e comandante delle formazioni partigiane piemontesi di Giustizia d Libertà. Nasce in Piemonte, a Cuneo, nel 1906, dal deputato liberal-radicale Tancredi e dalla poetessa Alice Schanzer.
Dopo aver conseguito la laurea in legge a Torino, esercita l’attività di avvocato e compie studi inerenti a problemi giuridici.
Indipendente durante il fascismo, aderisce al Partito d’Azione poco dopo la sua fondazione e ne diventa il più assiduo organizzatore nella provincia di Cuneo. Dopo l’8 settembre fu tra gli organizzatori della guerra partigiana dando vita al gruppo di “Italia libera”, da cui nacquero la prima e la seconda divisione partigiana Giustizia e Libertà. Fu arrestato a Torino dai fascisti e venne fucilato a Centallo dai repubblichini. Un ordine del Cln piemontese cita Duccio Galimberti come un eroe nazionale. Ebbe la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria, la prima concessa ad un partigiano.
Ho agito a fin di bene e per un’idea. Per questo sono sereno e dovete esserlo anche voi.
Duccio
Guglielmo Jervis: Di famiglia valdese, si laureò nel 1926 in ingegneria a Milano. Dopo l’8 settembre 1943 entrò nelle file della Resistenza. Ricercato dalla polizia nazista e da quella fascista, Guglielmo Jervis decise di trasferirsi in Val Pellice e qui, grazie anche ai contatti che aveva avuto in Svizzera con i servizi segreti alleati, organizzò sopra Angrogna il campo che ricevette il primo lancio d’armi per i partigiani effettuato dagli Alleati nelle Alpi occidentali. Willy, con questo nome avrebbe militato per non molto tempo nella Resistenza, era intanto entrato a far parte del primo Comitato militare del Partito d’Azione che lo nominò commissario politico regionale delle formazioni “Giustizia e Libertà” operanti in Piemonte. Durante una missione in Val Germanasca, Willy finì nelle mani dei tedeschi. Aveva con sé documenti militari compromettenti e i nazisti capirono di aver pescato un pesce grosso. Sottoposero per giorni e giorni Willy ad atroci torture, ma l’ingegner Jervis non si lasciò sfuggire la minima informazione. Nella notte fra il 4 e il 5 agosto Willy ed altri quattro partigiani furono trasportati sulla piazza di Villar Pellice e fucilati. All’ingegnere fu riservato un trattamento particolare: il suo cadavere fu lasciato appeso, per ludibrio, ad un albero. Qualche tempo dopo, proprio al di là del muro contro il quale i partigiani erano stati messi a morte, fu trovata una piccola Bibbia che Guglielmo Jervis portava sempre con sé; sulla copertina del volumetto si trovarono, incise con uno spillo, queste parole: «Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito un’idea». (A.N.P.I.)
Aldo Picco, 18 anni meccanico, classe 1926 Venaria (Torino), fucilato a Savona il 21/08/1944:
Chi va a Venaria vada dalla mia mamma
Carissima mamma,
Mi devi scusare se non ti posso più vedere, ma perché il mio Dio mi ha data la pena di morte, ma spero che tu mamma pregherai sempre per me. Queste sono le poche righe che ti posso ancora scrivere che mi resta il tempo di essere vivo, e mamma cara, tu non pensare a me che Dio vi ha data la mia pena di non più vedermi e perché era il mio destino, e se ti resta sempre un po’ di tempo, di non pensare sempre a me perché tu mamma cara verrai ammalata, e dille a papà che vi faccia coraggio e dille che Aldo lo ricorderà sempre. Sì lo so che sarà un po’ duro per voi che è un figlio di meno, ma non fa niente mamma cara, ma Dio lo saprà la sua sorte che li aspetta, quando sarà giunta la sua ora, perché solo Dio può condannare a morte e saprà quello che ci aspetta e sarà in Cielo che pagheranno le sue pene che hanno fatto, e tutto il suo male, e sarà il Dio che gli potrà dire " tu hai fatto del male."Credo che tu mamma cara non avrai più potuto venire a trovarmi che avevo tante cose da dirti, e speravo di poterti vedere, è giunta l’ora di morire, ma spero che Dio potrà pagare tutti e tu mamma cara non piangere, se non puoi più vedermi, ma il mio destino è di non poter più vederti e non mi resta che dirvi di vederci a quando il Dio vero verrà a dirmi: ecco la tua mamma, il tuo papà, la tua sorella, ecco il tuo fratello, e l’altra sorella, e adesso non mi resta che darvi tanti baci e saluti a voi tutti, e voi cari genitori non pensate più a me ma pensate a Dio che vi vuol bene e non mi restano che poche ore da vivere e ricordate anche ai miei amici che non mi sono dimenticato di loro, li ho ricordati sempre. Ora non mi resta che dirvi di non pensare a me, mamma cara non pensare, mamma, mamma devi scusarmi, è tardi, devo andare, ti lascio il mio ultimo addio.
Aldo
Viva i Patrioti.
G. Battista Vighenzi, 36 anni. 27 aprile 1945: Lettera alla moglie:
Liana amatissima,
c’è un gran sole nel mio cuore in questo momento e una grande serenità. Non ti rivedrò più, Liana. Mi hanno preso, mi fucileranno. Scrivo queste parole sereno d’animo e col cuore spezzato nello stesso tempo per il dolore che proverai. Ti ho detto stasera prima di partire: Liana, ho tanta voglia di riposare vicino a te - io riposerò vicino a te ogni notte per tutta l’eternità. Cara, tanto cara. Ho mille scuse da chiederti per le gentilezze che non ho avuto per te che ne meriti tante.Pino è stato pure preso e fucilato appena prima di me. Prega per noi due amici: uniti anche nella morte. È morto con dignità e mi ha salutato con uno sguardo in cui c’era tutta la sua vita. Spero di morire anch’io, di fare il gran viaggio serenamente. La mia ultima parola sarà il tuo nome: il nome che è inciso sulla fede che ti mando. Tu parlerai alla mia mamma, tu la consolerai se sarà possibile, povera vecchia, povera cara mamma. E la zia e mio fratello Luigino. A Marietta dirai che il mio affetto di fratello si ingigantisce in questo momento. Consolatevi: la vita ha di queste improvvise rotture. I tuoi di Modena, la mamma, il babbo, la Cesara in modo particolare. Cesara Tonino e Margherita, mi sono tutti presenti. […]
Tu, Liana, torna dai tuoi non appena ti sarà possibile e vivi con loro. Sei libera nel tuo domani. Vieni soltanto di tanto in tanto sulla mia tomba e portavi uno di quei mazzettini di fiori di campo che tu sapevi così bene combinare.
Addio, debbo salutarti cara e tanto amata. Non mi importa di perdere la vita perché ho avuto il tuo prezioso amore per quasi tre anni ed è stato un gran dono. Muoio contento di essermi sacrificato per una idea di libertà che ho sempre tanto auspicato.
Sotto la mia firma e sulla fede metto i miei ultimi baci.
Tuo per sempre.
Battista
Sabato Martelli Castaldi, Carceri di Via Tasso, Roma. Lettera:
Quando il tuo corpo non sarà più, il tuo spirito sarà ancora più vivo nel ricordo di chi resta. Fa che possa essere sempre di esempio
Giordano Cavestro, Parma 1944, fucilato. Lettera ai Compagni di lotta:
Cari compagni,
ora tocca a noi, andiamo a raggiungere gli altri tre gloriosi camerati, caduti per la gloria e la salvezza dell’Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande, bella. Siamo alla fine di tutti i mali questi ultimi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime che sia possibile.
Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone,le ragazze così care.
La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che serviremo da esempio.
Sui nostri corpi si formerà il grande –Faro- della Libertà.
Giordano Cavestro
Golda Bancic, 32 anni, madre romena, decapitata, 9 maggio 1944.
Cara Signora,
Vi prego di far avere questa lettera, dopo la guerra, alla mia bambina Dolores Jacob. È l’ultimo desiderio di una madre alla quale non restano che 12 ore di vita.
Stoccarda, 9 maggio 1944,
Bambina mia, amore mio caro, la tua mamma ti scrive l’ultima lettera, mia cara piccina. Domani 10 maggio, alle 6, non sarò più.
Amore mio non piangere, anche la tua mamma non piange. Muoio con la coscienza tranquilla e la certezza che domani avrai una vita e un avvenire più felice, più tranquillo di quanto non abbia avuto tua madre. Non dovrai più soffrire. Sii fiera di tua madre, amoruccio mio, io ho la tua immagine sempre davanti agli occhi. Voglio credere che rivedrai tuo padre, spero che egli abbia un altro destino. Digli che ho sempre pensato a lui come ho pensato a te.
Vi ho voluto bene con tutto il cuore.
Mi siete entrambi tanto cari. Figlia mia, tuo padre sarà anche madre per te, egli ti vuole tanto bene.
Non sentirai la mancanza della mamma.
Figlia mia, termino questa lettera con la speranza che sarai felice per tutta la vita con tuo padre e con tutti.
Vi abbraccio con tutto il cuore, molto molto.
Addio, amore mio, tua madre
Bancic Golda
Ljuba Scevtsova: Membro del gruppo giovanile Molodaja Gvardija (“Giovane Guardia“), fu imprigionata dai tedeschi e torturata. Il 7 febbraio 1943, una settimana prima della liberazione di Krasnodon, fu uccisa dalle SS.
Addio mamma, tua figlia Ljubka se ne va nell’umida terra.
Anton Popov [Aнтон Попов]: 26 anni, insegnante e giornalista, poeta e scrittore. Proveniente da una famiglia di perseguitati politici, pubblicò racconti e poesie. Fucilato il 23 luglio 1943 a Sofia.
Cara mamma, caro fratello, cara sorella,
io muoio per un mondo che splenderà con luce tanto forte, con tale bellezza che il mio stesso sacrificio è nulla.
Confortatevi pensando che per esso sono morti milioni di uomini in migliaia di lotte sulle barricate e sui fronti di guerra. Consolatevi pensando che muoio per la giustizia. Consolatevi pensando che le nostre idee vinceranno.
Anton
Andreas Likourinos [Αντρέας Λικουρίνος]: 14 anni, nato a Kallithea (Atene). Fucilato senza processo il 5 settembre 1943 a Kessariani.
Papà,
mi portano a Kessariani per l’esecuzione insieme ad altri sette detenuti. Ti prego di informare le loro famiglie di quanto accade. Non ti rattristare.
Andreas
Elefthèrios Kiossès [Eλευθέριος Kιωσσής]: 19 anni, studente di lettere e filosofia. Fucilato come ostaggio il 5 giugno 1942 a Kessariani.
Cara mammina, papà e sorelline,
oggi 5 giugno '42 ci fucileranno. Moriamo da uomini per la patria. Non soffro affatto e così non voglio che voi soffriate. Non voglio pianti né lacrime. Abbiate pazienza. Vi auguro di essere felici e non addoloratevi per me. Saluti di tutto cuore a tutti. Siamo degni dei nostri avi e della Grecia. Non tremo affatto, e vi scrivo dritto in piedi. Respiro per l’ultima volta la profumata aria ellenica sotto l’Imetto. È una mattina meravigliosa. Abbiamo fatto la comunione e ci siamo anche spruzzati con acqua di colonia che un tale aveva in tasca.
Addio Ellade, madre di eroi
Lefteris
Konstantinos Sirbas [Kωνσταντίνος Σίρμπας]: 22 anni, barbiere. Impiccato, presente suo padre, sulla piazza principale di Trikala il 18 aprile 1943.
Venerato mio padre,
fra due ore mi impiccheranno nella piazza perché sono patriota. Non c’è nulla da fare. Non ti amareggiare, padre; così era scritto per me. Si muore in compagnia. Addio. Arrivederci all’altro mondo, vi aspetterò, e il giorno che giungerete sarà festa. La mia roba la prenderai dalla Polizia. Il mio portafoglio non aveva dentro niente. Però e nuovo. Prendilo tu, papà. Ricordati che tuo figlio se ne va amareggiato perché non sentirà le campane della libertà.
Kostas
- Era scritto, che io morissi in aprile.
Eusebio Giamone: 40 anni, tipografo, nato nel Monferrato (Asti). Assieme a Gramsci e Parodi partecipò all’occupazione di alcune fabbriche. Nel 1923 fu costretto a rifugiarsi in Francia, dove agì nella resistenza dopo l’occupazione della Francia da parte dei tedeschi. Espulso dalla Francia, ritornò a Torino dove si unì alla Resistenza. Il 5 aprile 1944 fu fucilato da un plotone di repubblichini al campo di tiro nazionale di Martinetto, a Torino.
Fra poche ore io certamente non sarò più, ma sta' pur certa che sarò calmo e tranquillo di fronte al plotone di esecuzione come lo sono attualmente, come lo fui durante quei due giorni di simulacro di processo, come lo fui alla lettura della sentenze, perché sapevo già all’inizio di questo processo che la conclusione sarebbe stata la condanna a morte.
Sono così tranquilli coloro che ci hanno condannati? Certamente no!
Irina Malozon [Ирина Maлозон]: Fece parte dell’organizzazione giovanile Komsomol, distribuendo del materiale che lo zio (lo stesso cui è indirizzata la lettera) aveva composto per lei. Svolse attività di collegamento per la Resistenza. Catturata dai tedeschi e giustiziata.
Caro zio,
non ho paura della morte, mi dispiace soltanto di aver vissuto poco, di aver fatto poco per il mio paese. Zio, ormai mi sono abituata al carcere, non sono sola, siamo in molti. Zio, però non ho paura della morte. Dite alla mamma che non pianga. Tanto non sarei egualmente vissuta per molto tempo con lei. Io avevo la mia strada. Che la mamma nasconda il grano, sennò i tedeschi se lo pigliano.
Vostra nipote.
Esther Srul: Nel settembre 1942, coloro che dei 10000 abitanti di Kowel, in Volinia (Polonia), ancora non erano stati uccisi, furono rinchiusi nella sinagoga. I prigionieri furono fatti uscire a gruppi e abbattuti. Una donna sopravvisse, ma impazzì. Nei tamburi della sinagoga furono rinvenuti messaggi in lingua yiddish.
Le porte si aprono. Eccoli, i nostri assassini. Vestiti di nero. Sulle loro mani sporche portano guanti bianchi. A due a due ci cacciano dalla sinagoga. Care sorelle e fratelli, come è duro dire addio per sempre alla vita così bella. E, quelli che restano in vita, non dimenticate mai la nostra innocente piccola via ebraica. Sorelle e fratelli, vendicatevi sui nostri assassini.
Esther Srul (uccisa il 15 settembre 1942)
Elli Voigt: 32 anni, operaia berlinese. Entrò in contatto con il movimento clandestino di resistenza. Nessuna prova fu addotta per il suo incarceramento e per il processo. Decapitata l’8 dicembre 1944.
Mio caro compagno,
mi è dato di potermi ancora congedare da te, cosa che ai più non è purtroppo concessa. Lo so, se tu ne avessi la possibiltà, ti prenderesti il peggio in vece mia; ma ognuno, di ciò che fa, deve rispondere di persona. Il mio amore per te mi rende tutto più facile di quanto non avrei creduto. Non occore assicurarti ancora che ti amerò fino alla tomba. Per i bambini sii sempre quello che sei stato per me, un compagno! Sperando nella vita, mi avvio alla morte. Vado con la fede in una vita migliore per voi.
Luigi Nono lesse le Lettere di condannati a morte della Resistenza e dal libro ne scelse dieci, per un testo d'un suo lavoro corale, scritto per la Radio tedesco occidentale nel 1956: Il Canto sospeso. Dall'ultima riga di una lettera scritta da una tedesca a suo marito, l'ultima:... «vado con la fede in una vita migliore per voi».
Dice Claudio Abbado: So, dal mio lavoro a contatto con molti musicisti, quanto sia importante ed anche bello che persone di diversa cultura, religione ed estrazione si incontrino senza remore per completarsi a vicenda nel lavoro come nella vita. Ed è proprio questo spirito di tolleranza e di umanità a costituire il fulcro de Il Canto sospeso.
Note aggiuntive
In Italia le formazioni partigiane si costituirono dopo l’8 settembre, per iniziativa di antifascisti e di militari del dissolto regio esercito; più tardi incrementate da una vasta partecipazione di operai e contadini, e dei giovani renitenti alla leva della Repubblica di Salò. Le formazioni partigiane si distinguevano per orientamento politico: vi erano le brigate “Garibaldi”, comuniste, “Matteotti”, socialiste, “Giustizia e Libertà” del Partito d’Azione, formazioni cattoliche, liberali e autonome.
L’azione della Resistenza fu coordinata dai Comitati di Liberazione Nazionale (C.L.N.); nei C.L.N. erano rappresentati i partiti sorti o ricostituitisi durante il 1943: Partito comunista (Pci), Partito socialista (Psiup: Partito socialista di unità proletaria), Partito d’Azione (Pda: erede del movimento di Giustizia e Libertà di C. Rosselli)), Democrazia cristiana (Dc: erede del Partito popolare di Don Sturzo), Partito liberale, Democrazia del lavoro (fondata da Ivanoe Bonomi).
Nell’aprile del 1944 si formò al Sud il primo governo di unità nazionale, comprendente i rappresentanti dei partiti dei C.L.N. e presieduto da Badoglio.
Nell’Italia settentrionale si costituiva il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia). Feroci furono le rappresaglie tedesche (Fosse Ardeatine, marzo 1944; strage di Marzabotto, 29 settembre-1ottobre 1944). (Storia contemporanea. Dal Congresso di Vienna ai giorni nostri. Una nuova proposta di studio, F. Gavino Olivieri, Nuove edizioni del giglio)
In Italia, la Resistenza, diede un’efficace contributo alla liberazione del paese. Tra le azioni militari di maggior rilievo: l’insurrezione di Napoli (settembre-ottobre 1943), la liberazione di Firenze (agosto, 1944), le battaglie di Montefiorino (luglio-agosto, 1944) e di val d’Ossola (ottobre '44); l’insurrezione di Genova (21 aprile '45), Torino (23 aprile), Milano (25 aprile). I caduti ammontarono complessivamente a 35.828; i civili uccisi per rappresaglie conseguenti alla lotta partigiana a 9980; i resistenti caduti all’estero a 32.000; a 33.000 i morti nei campi di concentramento tedeschi; a 8000 i deportati politici uccisi dai nazisti. Il Corpo Nazionale di Liberazione, organizzato dal governo Badoglio dopo la dichiarazione di guerra alla Germania (13 ottobre ’43) e operante a fianco degli alleati, ebbe 10.000 caduti. (Enciclopedia Garzanti universale)
Le voci della cassetta-audio sono di Arnoldo Foà e Anna Proclemer.
Le Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana a cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli. Ristampata da Einaudi editore nel 2003.
AA.VV., Lettere di condannati a morte della resistenza europea. A cura di P. Malvezzi e G. Pirelli. Pref. di Thomas Mann. Einaudi, Torino 1954.