Potrebbe sembrare, a prima vista, che un poeta non sia adatto a commentare un libro di argomento filosofico, ma nel caso di “Wittgenstein”, di Aldo Giorgio Gargani, credo lo possa essere.
Al di là, vorrei dire, dell’ acuto esame delle implicazioni del geniale pensiero del filosofo viennese - le cui “Ricerche filosofiche” costituiscono oggetto precipuo dell’ opera qui in argomento – quello che emerge è proprio l’ impossibilità di praticare tale al di là: le articolate disamine, i nodi apparentemente indissolubili, le rigorose riflessioni, insomma l’ estrema complessità della materia, conduce, sempre, ad un proficuo dissolvimento della tensione, al raggiungimento di un soddisfacente stato di consapevole quiete armoniosa, per nulla estranei alla poesia.
Senza imporre schematismi teoretici o, peggio, ideologie, si vuole accompagnare il lettore, con vigile affetto, lungo itinerari linguistici che, considerati frutto dello stesso umano esistere, non hanno a oggetto la vita, ma ne costituiscono parte.
Come vedrebbe un nostro cerchio verde l’ appartenente a una comunità nel cui àmbito tale colore risultasse riconoscibile soltanto se iscritto entro un triangolo?
Come lo vedrebbe?
Ecco in quale maniera un atteggiamento comune, su cui, proprio per la sua quotidianità, non siamo soliti riflettere, conduce a riconoscere l’ esistenza di una grammatica senza la quale il vedere non potrebbe partecipare delle caratteristiche usuali: se una popolazione d’ individui, pur dotati di pupilla e retina, non avesse elaborato il paradigma del vedere, che senso avrebbe dire che costoro vedono comunque?
Qualcuno di noi, del resto, si è mai visto vedere?
E, allora, come fa a dirlo?
Ora, gli originali contributi del filosofo Gargani, che illustrano in maniera vivida un secondo Witttgenstein già di per sé molto vivace, così profondamente umani quanto ad approccio e scopi, così prossimi alla vita, producono sensi di meraviglia senza dubbio imparentati con la poesia.
Come non scorgere, di fronte all’ analisi di un dire considerato atteggiamento, gesto, un’ istanza etica non consistente “in precetti, discipline, comandi”, ma in “una forma di sensibilità rinnovata”?
Come non scorgervi un affettuoso rispetto, una reverenza, nei confronti di cose, persone ed esistenze?
Qui, davvero, certi millenari steccati, certe rigide contrapposizioni tra umani campi del sapere, mostrano tutti i loro limiti e, cadendo, liberano immensi spazi a forme di conoscenza, non irrigidite in alcun a priori, che vengono chiamate poesia, arte, ricerca scientifica e filosofica.
Riuscendo ad adoperare, nel trattare questioni molto complesse, un linguaggio capace, col sorprendere, d’ indurre a comprensione, elegante eppure colloquiale, mai calato dall’ alto (come a dire: ascoltami, prova a seguirmi, vedrai che ne verremo a capo), secondo atteggiamenti che ricordano quel Virgilio che per Dante fu guida, ma, soprattutto, compagno di viaggio autorevole e assieme disponibile, Aldo Giorgio Gargani rappresenta, con la sua stessa presenza linguistica, un preciso stato di cose: i poeti non sono soltanto tali, bensì lo sono anche.
Fu, insomma, la sua, poetica filosofia.
Marco Furia
(Aldo Giorgio Gargani, “Wittgenstein”, Raffaello Cortina Editore, 2008)
BREVE NOTA BIOGRAFICA
Aldo Giorgio Gargani insegna Metodologie della ricerca filosofica all’ Università di Pisa.
Ha svolto ricerche e pubblicato saggi su un vasto orizzonte di temi della cultura filosofica e scientifica moderna e contemporanea.
Tra le sue pubblicazioni il sapere senza fondamenti (Torino 1975), Hobbes e la scienza (Torino 1983), Il pensiero raccontato. Saggio su Ingeborg Bachmann (Roma-Bari 1995).