Il demonio (1963) è una coproduzione italo-francese caratterizzata da un’approfondita analisi psicologica e comportamentale dei personaggi, tratto d’autore indelebile di Rondi. Il film è scritto dal regista con la collaborazione di Ugo Guerra e Luciano Martino. Le musiche, colte e suggestive, sono di Piero Piccioni. Intensa fotografia lucana di Carlo Bellero. Interpreti: Daliah Lavi, Frank Wolff, Anna Maria Aveta, Tiziana Casetti e Dario Dolci. Il film può essere letto anche come un horror esorcistico ambientato nelle campagne lucane e girato prima de L’esorcista (1973) di William Friedkin. Tra l’altro ci sono alcune parti in cui è innegabile l’influenza di Rondi su Friedkin, soprattutto durante la scena del tentato esorcismo in chiesa. Il prete solleva il crocefisso, spruzza acqua benedetta e l’indemoniata gli sputa in faccia, mostra la lingua e cammina a ritroso inarcando le spalle come un ragno.
La trama è semplice. Purificata è disperata perché Antonio sposa un’altra donna, fa una fattura con fuoco, sangue e capelli, gli fa bere il suo sangue e comincia a comportarsi da indemoniata. Tutto il paese si convince che Purificata è una strega, soprattutto quando dice di aver incontrato al fiume un bambino morto. Prova a liberarla dal maligno un vecchio stregone di paese e anche il parroco locale, ma gli esorcismi risultano inutili. I compaesani, guidati dal suo ex amante, cingono d’assedio la casa, catturano la donna e la obbligano ad andarsene. Purificata ripara in un convento, continua a dare segno di possessione, resta affascinata morbosamente da un albero dove un ragazzo si è impiccato e tenta di uccidere una suora. Molto interessante un rito di purificazione compiuto dai paesani che bruciano l’aria con enormi roghi sulla piazza per eliminare la presenza maligna. Nel finale vediamo la presunta indemoniata che ritrova il suo ex e ci fa l’amore, ma quando si svegliano lui la uccide a coltellate, liberandola per sempre dal demonio.
La pellicola è una via di mezzo tra cinema d’autore documentaristico con suggestioni neorealiste e cinema fantastico. Una commistione che ritroveremo sempre nel cinema di Rondi, così come sono presenti i temi politici e soprattutto un deciso discorso anticlericale. Molto brava l’interprete principale, l’israeliana Lavi, dotata di fascino magnetico e grande forza drammatica, al punto che sarà impiegata anche da Mario Bava nell’horror La frusta e il corpo (1963). Daliah Lavi è la vera mattatrice del film, presente in ogni scena con uno sguardo inquietante e penetrante, da vera strega indemoniata. Frank Wolff nei panni dell’ex innamorato è meno bravo e sfodera sempre un’espressione da cattivo dei film western che ha frequentato con assiduità. Si nota la lezione neorealista anche nella scelta di molti attori non professionisti che interpretano loro stessi in diversi ruoli secondari.
Brunello Rondi fa passare la pellicola per una storia vera, ma in ogni caso si ispira a superstizioni e credenze ben radicate nell’Italia meridionale dei primi anni Sessanta. Le scene del malocchio, della fattura, i riti magici per purificare un corpo infestato dal demonio e le cerimonie popolari sono riprese con tecnica documentaristica. La fotografia della campagna lucana, dipinta in un suggestivo bianco e nero, è una delle cose più belle del film. I sassi di Matera rappresentano uno scenario cittadino interessante per presentare un matrimonio e subito dopo una cerimonia di purificazione dai peccati.
Gordiano Lupi