Anche A. Einstein doveva sottostare alle regole del “referaggio”, perfino quando era una celebrità con un’autorità scientifica senza confronti, indiscusso numero uno su argomenti relativistici. E nel 1936 Physical Review gli bocciò un articolo in cui sosteneva la non esistenza delle onde gravitazionali. Ho ripensato a quel celebre episodio dopo aver letto Sette volte sette, di Odifreddi (n. 463, marzo 2007, pag. 103). Si tratta, e non solo a mio giudizio, di un articoletto sconclusionato che mette insieme curiosità per pochi esperti ed abusate ma inesistenti “meraviglie” della numerologia. Vi compaiono affermazioni risultate incomprensibili a tutti i colleghi a cui ho sottoposto lo scritto ed inequivocabili errori che non dovrebbero comparire in una rivista che vuole diffondere cultura. Insomma un articolo da pubblicare, eventualmente, dopo oculata revisione. Allora domando: la rivista Le Scienze opera un minimo controllo sugli scritti che pubblica? Sembrerebbe di no. Lo dimostrano le parole con cui Odifreddi esprime la frequenza dell’infrarosso e la frequenza dell'ultravioletto, mediante due lunghezze d'onda: «le frequenze dell’infrarosso e dell’ultravioletto (600 e 300 nanometri) stanno nello stesso rapporto di due note distanti un’ottava». La fretta ed il mischietto tra antiche affermazioni e linguaggio moderno, hanno prodotto un vero gioiello al negativo. Quelle poche parole, infatti, comunicano tre errori di cui uno particolarmente grave.
Il primo errore consiste nell’indurre a credere che le frequenze si esprimano in nanometri (in simbolo: nm), cioè in lunghezze. Il secondo sta nell’informare che 600 nm e 300 nm, sono le lunghezze d’onda dalle quali iniziano le bande rispettivamente dell’infrarosso e dell’ultravioletto. In un articolo che vuole essere divulgativo, ma corretto, i due valori da menzionare sono “circa 750 nm” e “circa 380 nm”1 o circa 700 nm e circa 400 nm2 oppure altri valori tra i 700-800 nm ed i 380-400 nm. Il circa è dovuto al fatto che la sensibilità alle diverse frequenze ottiche varia da persona a persona (variando anche con l’età delle persone). Se si vogliono “arrotondare” i valori precedenti ad 800 nm e 400 nm (ma non a 600 nm e 300 nm, troppo distanti dalla realtà), ovviamente lo si può fare, per semplicità ed arbitrariamente. Però poi, scelti tali valori in modo che uno sia l’esatto doppio dell’altro, non si facciano deduzioni fantasiose sul loro rapporto che fa, “guarda caso”, esattamente 2. Il terzo errore è ancora più inaccettabile. Si comunica al lettore che la frequenza di 600 nm è la frequenza dell’infrarosso e che la frequenza di 300 nm è la frequenza dell’ultravioletto. Quindi si divulga che l’infrarosso e l’ultravioletto sono caratterizzati da una ben definita frequenza. Tutti sanno che l’infrarosso e l’ultravioletto sono due bande di colori invisibili al nostro occhio, entrambe ben più vaste della banda del visibile. Domanda: ma entro l’intervallo del visibile ci sono solo i sette colori dell’arcobaleno di cui si parla ancora nel terzo millennio? Assolutamente no. Basta ricordare che in ogni intervallo di frequenze di 1 Hz si ha, matematicamente, un infinito (non numerabile!) di diverse frequenze e, quindi, di colori. L’occhio umano, comunque, ne distingue solo circa 200. Che fine fa allora la storia di Newton ed i suoi 7 colori sui quali insiste Odifreddi? Intanto c’è da ricordare che Newton originariamente, nel 1672, parlò solo di cinque colori: rosso, giallo, verde, blu e violetto. Solo più tardi introdusse l'arancione e l’indaco (sarei curioso di sapere quante persone saprebbero indicare l’indaco nella porzione blu dello spettro visivo…), arrivando a sette colori con ogni probabilità per fissare un’analogia con il numero di note in una scala musicale. Poiché gli arcobaleni sono composti da uno spettro continuo, persone diverse e con diverse culture, trovano differenti numeri di colori negli arcobaleni. Quel 7 ripetuto oggi deve essere considerato, quindi, solo un luogo comune, retaggio dell’influenza della numerologia su Newton.
Ma l’esistenza delle sette note (numero dei tasti bianchi in un’ottava di una tastiera di pianoforte) e delle dodici note (somma dei tasti bianchi più quelli neri) si spiega con il criptico argomentare di Odifreddi?
Ecco le sue parole: «In effetti, il numero irrazionale di volte in cui la quinta (3/2) sta nell’ottava (2) è bene approssimato dal rapporto 4/7, nel senso che sette quinte sono quasi uguali a quattro ottave (la loro differenza è circa un semitono), e questo è il motivo per cui la scala comune ha sette note. Ancora migliore è l’approssimazione 7/12, perché dodici quinte sono ancora più uguali a sette ottave (la loro differenza è il cosiddetto comma pitagorico, all’incirca un ottavo di tono), e questo è il motivo per cui la scala cromatica ha 12 note».
Tutti i miei colleghi, fisici e matematici, hanno alzato bandiera bianca, dicendo “non ci capisco niente perché parla di musica”. Tutti tranne un esimio fisico che, nel leggere e rileggere “il numero irrazionale di volte in cui 3/2 sta nel 2”, si è dichiarato pronto a scommettere che, a causa di un evidente refuso, l’aggettivo razionale era diventato irrazionale... I diplomati al Conservatorio, allievi del mio corso di Acustica musicale per la laurea magistrale ed i loro docenti che ho potuto contattare, hanno alzato lo stesso bandiera bianca, appena letto “l’irrazionalità del numero di volte”. Un modo semplice per ricavare il valore dell'irrazionale, è riportato in un mio lavoro del 2005.
Comunque, a parte la forma criptica usata, il messaggio comunicato da Odifreddi è che l’introduzione del 7 e del 12 nelle scale musicali sia dovuta a motivi matematici. Ovvero che il segreto dell’armonia stia nel magico potere dei numeri. A tal riguardo riporto le parole di Andrea Frova, massima autorità nazionale nel settore: «.... Ciò fece enunciare a Pitagora la celebre frase “Il segreto dell'armonia sta nel magico potere del numeri”, frase che suona molto suggestiva, ma non corrisponde alla realtà delle cose....».3 Questa è l’affermazione da comunicare nel 2007. Aggiungo una domanda stravagante: «Se i millepiedi fossero musicisti, introdurrebbero inizialmente le otto note di un’ottava?»
Tornando all’articolo, nel leggere espressioni riferite a numeri come «quasi un quadrato», «quasi uguali» o «ancora più uguali», ho visto colleghi (anche matematici), dottorandi e laureandi, strabuzzare gli occhi. Da non addetti ai lavori, non sappiamo se esistano valide motivazioni per non usare, almeno in un articolo divulgativo, le diciture «massima approssimazione» e «migliore approssimazione», decisamente più chiare. Ho constatato che l’uso di «A è ancora più uguale a B», in un giornale che non è per ultra-specialisti, produce effetti spesso comici, collegati al precursore linguaggio orwelliano («tutti gli uomini sono uguali, ma alcuni sono più uguali»). L’articolo, partito dalla teoria dei numeri, passa disinvoltamente alla numerologia, riuscendo a rendere ancora più oscuro un passo di Platone, presentato come oscuro. L’autore, infatti, afferma che «…anche un’unione a prima vista irrazionale come il matrimonio, possa quasi funzionare, se gli sposi sono ben assortiti come i numeri 7 e 5». Odifreddi non si azzarda a dare indicazioni su come associare a marito e moglie il 7 oppure il 5. Mentre la numerologia dà precise norme da seguire. Digitare “numerologia” dopo essere entrati in Google, per verificare: si calcola il Numero del destino di uno (viene spiegato come calcolarlo) e lo si confronta con quello dell’altra. Insomma, l’antichissima numerologia dà indicazioni precise, mentre Odifreddi lascia completamente all’oscuro le coppie interessate al quasi funzionamento di un’ unione a prima vista irrazionale. Ci sarebbero ancora altri punti da toccare. Ad esempio: che senso ha, nel 2007, per dimostrare che “il 7 non è settario”, continuare con la storia dei 7 pianeti di cui parlavano 24 secoli fa? Si sa che il loro numero, dopo una lunga caccia al decimo, è stato recentemente ridotto ad 8, definendo più esattamente le dimensioni che deve avere un satellite del Sole, per essere considerato un pianeta.
Mi fermo qui, per non annoiare ulteriormente, dando un commento sintetico all’articolo: “Introdotta anche in matematica la materia oscura”.
Paolo Diodati
Per chi fosse interessato segnalo:
“The 'shell effect': music from environmental noise”
Physics Education, 40 No 2 (March 2005) 147-150
1 Jurgen R. Meyer-Arendt, Introduzione all’Ottica classica e moderna, Zanichelli.
2 R. Wolfson e J.M. Pasachoff, Fisica, Zanichelli.
3 A. Frova, Fisica nella musica, Zanichelli, pag. 18.
Paolo Diodati, Ordinario di Fisica Applicata all'Università degli Studi di Perugia inizia con questo articolo la sua collaborazione a TELLUSfolio. (CDS)