La bozza Vassallo rappresenta un tentativo di mettere d’accordo un po' tutti sulla riforma del sistema elettorale. Si tratta di un’aspirazione forse pregevole e sicuramente legittima; inoltre il sistema proposto è persino migliore di tanti altri modelli dalle fattezze poco chiare introdotti nel dibattito pubblico. In un paese, il nostro, dove l’inventiva applicata ai sistemi elettorali ha riscosso sempre un notevole successo, in un panorama politico sovente compiaciuto da dibattiti autoreferenziali che parlano al ristretto mondo della politica senza intercettare né gli interessi né i bisogni del paese reale.
Il discussion paper realizzato da Vassallo individua i seguenti obiettivi di fondo per la riforma elettorale, tentando di dimostrare come il sistema ipotizzato possa servire al meglio tali interessi ed aspirazioni comuni. Gli obiettivi sono: 1) consentire agli elettori di giudicare la qualità dei singoli candidati al parlamento; 2) ridurre la frammentazione, garantendo un pluralismo partitico moderno; 3) preservare la dinamica bipolare; 4) senza rendere però ineluttabile la formazione di coalizioni pre-elettorali artificiose, prive di coesione programmatica.
La vicenda politica italiana degli ultimi 15 anni dimostra come il compito non sia facile. Posto che i sistemi elettorali da soli sono difficilmente idonei a produrre effetti taumaturgici, il tentativo di inventare ed introdurre modelli nuovi non è sovente votato al successo.
Dopo aver sperimentato ai più svariati livelli i più svariati sistemi elettorali, può con un certo margine di certezza sostenersi che nihil novi sub sole e che i modelli classici (e ci riferiamo al proporzionale puro o al maggioritario anglosassone) continuano ad apparire gli unici capaci di garantire comprensibilità e funzionalità democratica e che monstri elettorali dalla complicata esplicazione spesso non fanno altro che confondere una opinione pubblica sempre più lontana (perché allontanata!) dalla politica, nonché alimentare un dibattito dai toni asfittici ed autoreferenziali.
Personalmente ritengo che l’elezione di un’assemblea parlamentare non serve tanto ad eleggere dei governanti, quanto ad eleggere un Parlamento, appunto, che è lo strumento ideato dal costituzionalismo per controllare i governanti e adottare, attraverso un procedimento pubblico e garantito, degli atti generali e astratti; va ricordato come il valore del pluralismo democratico debba essere garantito all’interno della società (e semmai nell’accesso ai mezzi di informazione) e non debba essere l’obiettivo necessario di un sistema elettorale.
Quest’ultimo serve semplicemente ad eleggere un Parlamento secondo metodo aperto e democratico, quel metodo appunto che piuttosto che garantire la rappresentanza di tutti in un’assemblea, deve garantire i meccanismi di partecipazione popolare al governo della cosa pubblica, attraverso processi di selezione maggioritari (nel senso che sono i più a decidere e non i meno), gli unici capaci di determinare in maniera chiara le responsabilità del governo e quelle dell’opposizione - altrettanto necessaria al buon governo di un paese quanto lo è la maggioranza!
Rispetto a tale idealtipo il classico del parlamentarismo occidentale è quello Westminster, il Parlamento inglese, eletto con un sistema maggioritario uninominale ad un turno che nella sua linearità permette di eleggere il rappresentante di una circoscrizione e di bocciare i concorrenti meno graditi.
Il modello proposto da Vassallo, così lontano dalla classica linearità dal modello first past the post, tradisce, inoltre, il primo degli obiettivi indicati dallo stesso studioso che non è poi altro che il nocciolo duro della Democrazia: giudicare i singoli candidati, eleggendoli e bocciandoli. Nel modello di Vassallo ciò non avviene o non lo avviene abbastanza, non essendo il modello proposto in grado di consentire in maniera piena il controllo democratico dei cittadini, in tal senso non essendo dissimile dal “sistema Calderoli”.
Come tipico dei modelli proporzionali a lista bloccata, quale è il modello proposto dal Vassallo–Ceccanti, si lascia ai redattori delle liste ed ai decisori delle candidature il ruolo di gate-keeper del Parlamento.
La composizione dell’Assemblea parlamentare, infatti, tranne che nelle percentuali, rimane nelle mani dei compilatori delle liste… quasi in un accordo garantito (di tutela della reciproca sopravvivenza) con il quale vengono accomodati gli interessi degli oligopolisti del sistema politico. Si limita in tal modo la possibilità di espressione di preferenze degli elettori, come già avviene nel sistema vigente, non consentendo nemmeno, come avviene invece nei sistemi maggioritari puri, di determinare con chiarezza chi debba essere escluso dall’accesso al seggio parlamentare.
Siamo dinanzi ad un sistema ad accesso proporzionale con recupero quasi garantito dello sconfitto nella sfida uninominale. Ad essere eletti sono, infatti, non solo coloro che ottengono la maggioranza relativa nei collegi, ma anche gli sconfitti, sino a concorrenza dei posti, sulla base del recupero dei migliori perdenti.
Ove non accompagnato da un sistema serio di primarie per la determinazione dei singoli candidati uninominali (nonché dei candidati presenti nelle liste dei singoli partiti) il sistema rimane bloccato, restando nella disponibilità delle segreterie di partito la selezione grosso modo dell’intera classe dirigente, più o meno come accade nel tanto vituperato “sistema Calderoli”.
Assai meglio dunque appare rivolgersi alla classicità di un modello maggioritario che appare rispondere alle richieste del paese ed alla volontà degli italiani, come certificato in più d’una consultazione referendaria.
Amedeo Barletta
(da Notizie radicali, 14 novembre 2007)