IL SIGNORE DELL’ALTOPIANO
“L’ho sepolto in quella bella valle
dalle acque mormoranti. Amo quella
terra più di tutto il resto del mondo”
Giuseppe Dei Nez Percè
Quello che i nativi americani chiamano altopiano è in realtà un territorio molto esteso che va dalla Columbia Britannica Canadese (Vancouver) e, varcato il confine degli Stati uniti, comprende l’Oregon e il Washington orientali, più della metà dell’Idaho, oltrepassando le Rocciose, raggiungendo il Montana Nord-orientale. Clearwater (Acqua chiara) Salmon (Salmone), Boulder (Macigno), Beaverhead (Testa di castoro) e Cascade (Cascata) erano i nomi dei fiumi che solcavano quella terra meravigliosa. Questo era il territorio di Hein-mot Too-ya-la-kekt, conosciuto ai più come Capo Giuseppe. Il timore di Dio, il senso di responsabilità e il coraggio furono le sue caratteristiche fondamentali, aiutate tuttavia da una straordinaria capacità oratoria che contribuì ad amplificarne i reali contenuti. Protagonista incontrastato di quella che la storia americana chiama guerra dei Nasi Forati (1877) e alla straordinaria ritirata con l’umiliante perdita finale delle terre, cavalli e indipendenza. La lotta dei Nasi Forati per la libertà, uno degli episodi meno conosciuti ma più significativi della storia indiana. Attuale perché ancora oggi dobbiamo confrontarci con queste sgradevoli situazioni, ad esempio Myanmar - Birmania.
A Giuseppe, Capo supremo dei Nasi Forati.
Desideriamo dimostrarle i nostri buoni sentimenti e l’ammirazione per il suo coraggio e la sua umanità, rivelati nel recente conflitto con le truppe degli Stati Uniti, la invitiamo di tutto cuore a pranzare con noi alla Casa Sheridan, in questa città. Il pranzo sarà servito alle una e trenta di oggi.
Questo era il testo recapitato a Giuseppe quando arrivò a Bismarck dopo la resa al generale Miles. Ancora una volta si trattava di uno squallido sotterfugio per sottrarre ai nativi il territorio e le risorse che gli spettavano. W.T. Sherman ne fu in larga parte responsabile, pure se a posteriori ebbe l’onestà di ammettere che la guerra dei Nasi Forati fu una delle guerre indiane più straordinarie di cui si abbia memoria. Gli indiani mostrarono un grande coraggio e un’abilità che sollecitano una lode universale, si astennero dal togliere scalpi, lasciarono libere le donne, non commisero omicidi indiscriminati di famiglie pacifiche e combatterono con maestria scientifica usando truppe di avanguardia e retroguardia, linee di scontro e fortificazioni da campo.
“Benvenuto Chief Joseph, tutti l’aspettano”.
Il nativo accennò un sorriso, incomprensibile e nascosto dalla durezza del volto. Entrò in modo trionfale nel salone. Non era di bell’aspetto, ma le formidabili notizie che lo avevano preceduto lo trasformarono in oggetto di interesse per molte signore. Venne servito salmone, il suo piatto preferito. Il Nez Percè non era abituato ai pranzi di gala, non sapeva stare in società, però aveva molta fame e si cibò con cupidigia. Tutti erano sicuri che l’animale fosse in trappola e purtroppo era vero. Per lui e per il suo popolo si stava avvicinando la fine. Conversò in modo affabile e a un certo punto gli venne chiesto di pronunciare un discorso.
“Dio creò terra per gli Indiani ed era come se avesse disteso un panno. Sopra vi mise gli Indiani. Sono stati creati qui, su questa terra... e allora cominciarono a scorrere i fiumi. Poi Dio creò i pesci nei fiumi, diede la vita alla selvaggina sulle montagne e ordinò che si moltiplicasse. Poi il Creatore diede la vita a noi Indiani. Ce ne andavamo in giro e quando vedevamo pesci e selvaggina, sapevamo che erano stati creati per noi. Dio creò radici e bacche perché le donne le raccogliessero... Dio ci ha creati perché vivessimo qui ed era nostro diritto cacciare e pescare finché io e mio nonno riusciamo a tornare indietro nel tempo con la memoria.”
Erano parole di libertà per il suo popolo ma non sarebbero servite a molto. Per tutta la serata dissertò con le signore su come utilizzare la fibra di canapa, del sambuco, del salice nel procedimento della tessitura per ottenere eleganti indumenti.
Chaterine Wood esclamò: “Un pellerossa così istruito non lo avevo mai visto”.
Bevve con moderazione anche alcolici, restando sobrio senza penalizzare la sua immagine. Al momento di uscire, aveva capito perfettamente che tutto era perduto, che la libertà era stata lasciata dopo una resa incondizionata. Sapeva che lo consideravano soltanto un selvaggio al quale avevano tolto tutto. Non aveva perso la dignità, la cosa più importante. Per questo, uscendo dalla sala, fece cenno alla signora Wood di avvicinarsi. Tutti si stupirono, ma pare che le abbia sussurrato soltanto un rimprovero alimentare: “Il salmone andava servito meglio.”
Ventisette anni dopo, Capo Giuseppe partecipò in Pennsylvania al banchetto inaugurale della Carlish Indian Industrial School e sedette a tavola accanto al generale Howard, suo vecchio nemico. Oliver Otis Howard, dopo aver vinto la guerra contro i Ciricahua di Cochise, venne incaricato di mediare la resa dei Nez Percè.
Un giornalista dell’Inter Ocean invitò il vecchio capo a parlare e quest’ultimo rese onore a Howard: “Tu capo bianco hai sempre rispettato la nostra terra e hai anche cercato di farcela restituire. Ci accomuna l’amore per un Dio supremo che non conosce discriminazioni fra vinti e vincitori.”
Il vecchio generale non rispose ma mangiarono insieme con formidabile appetito.
Giuseppe ebbe nove figli, cinque femmine e quattro maschi, tutti morti in territorio indiano, a Nespelem e in Idaho.
Nel 1904, ventisette anni dopo la resa e a pochi mesi dalla sua morte, l’unica cosa che rimproverò al suo commensale, fu la cottura di pesci serviti a tavola: “Poco fragranti, asciutti, troppo cotti”.
Francesco Giubilei
francescogiubi@libero.it