Pare quasi impossibile che un pessimo lavoro come Murder Obsession sia stato realizzato dalla stessa mano che ha diretto I vampiri (1957), L’orribile segreto del dottor Hichcock (1962), Maciste all’inferno (1962), A doppia faccia (1969) e L’iguana dalla lingua di fuoco (1971). Murder Obsession racconta la storia di Michael (Stefano Patrizi), un attore che decide di tornare a casa della madre Glenda (Anita Strindberg) che non vede da quindici anni. Michael viene colto da un raptus omicida sul set di un film che sta interpretando e il giorno dopo si reca nella spettrale casa di campagna di Glenda insieme alla fidanzata Debora (Silvia Dionisio). Qui è accolto dall’inquietante maggiordomo Oliver e nei giorni successivi lo raggiungono il regista Schwartz (Henri Garcin), l’aiuto regista Shirley (Martine Brochard) e l’attrice Beverly (Laura Gemser) per continuare la lavorazione del film. Alla villa la situazione precipita. Michael rivela ai colleghi che il ricordo della sua infanzia lo condiziona perché da bambino ha ucciso il padre. A questo punto il film si snoda sulla falsariga dei Dieci piccoli indiani di Agata Christie, un giallo portato al cinema nella sua versione originale da René Claire (1945) e da George Pollock (1966), ma spesso imitato come schema narrativo. Debora è preda di orrendi incubi, si vede al centro di una messa nera, tra ragni giganteschi, sangue di galletti sgozzati e uomini dai volti orribili e tumefatti. Gli ospiti cominciano a morire. La prima vittima è Beverly, assassinata a coltellate dopo aver fatto l’amore con Michael (ma aveva già scampato la morte per annegamento in vasca). Subito dopo tocca a Schwartz che ha visto e fotografato l’assassino e anche a Shirley, colpevole di aver trovato e sviluppato le foto del primo omicidio. Il finale è sconvolgente perché la madre confessa al figlio che non è lui l’assassino del padre come ha sempre pensato. Il maggiordomo Oliver sarebbe un essere demoniaco che la tiene soggiogata e che è diventato suo amante dopo aver ucciso il marito e incolpato il piccolo Michael. La verità non è così semplice. Oliver si toglie la vita e registra su un nastro una confessione che indica Glenda come una strega dedita al satanismo che da sempre lo manovra come un burattino. Lei ha ucciso il marito e incolpato il figlio. Non è previsto lieto fine in questa cupa pellicola. Glenda uccide il figlio, lo tiene in grembo come una Pietà di Michelangelo, e resta intrappolata insieme a lui e a Debora nei sotterranei della villa.
Il soggetto del film, scritto da Fabio Piccioni, Antonio Cesari Corti e sceneggiato dallo stesso Freda, non sarebbe male, ma la realizzazione penalizza il prodotto. Il regista non avrebbe potuto lasciare peggior ricordo con un prodotto che lui stesso giudica «un filmaccio interpretato da attori scarsi e girato con poche lire…», anche se cultori dello splatter lo elevano al rango di capolavoro per la crudeltà di alcune scene. Non sono molte le cose da salvare in questa pellicola. Il regista nelle scene iniziali compie un’operazione di cinema nel cinema inserendo lo spettatore sul set di un film horror e presentando un attore che viene colto da un raptus omicida. Il film si snoda utilizzando la tecnica del flashback e il protagonista ha continui ricordi d’infanzia legati alla morte del padre che condizionano la sua vita presente. L’incubo di Debora (Silvia Dionisio) è puro cinema horror, girato in una cripta tra ombre nere, esseri deformi, ragni giganteschi, vento innaturale, foglie vaganti, teschi sanguinanti, pipistrelli impazziti e un pizzico di erotismo con la protagonista che corre a seno nudo. Da citare le sequenze che vedono la Dioniso, denudata e legata a una croce, vittima di un rito satanico tra serpenti che strisciano, galletti sgozzati e uomini orribili che le fanno bere sangue, mentre un ragno gigantesco accarezza le sue gambe. Freda ci riporta al clima dei vecchi film gotici quando gli attori si ritrovano nella casa di campagna della madre, una sorta di castello sperduto, poco illuminato, dove la luce viene spesso a mancare e si ricorre alle candele. Il tentativo è quello di realizzare un horror gotico ambientato in tempi moderni e quando l’esperimento riesce la pellicola fornisce le migliori sequenze. La location è da horror scolastico, anche perché nei momenti cruciali si scatena una tempesta a base di lampi, fulmini e pioggia incessante.
Nonostante tutto il film non decolla mai. Il montaggio è lento, il soggetto pretenzioso, i dialoghi assurdi e mal costruiti, la recitazione pessima e soltanto un po’ di mestiere del regista salva il salvabile e consente di arrivare alla parola fine. C’è anche un po’ di sesso, come tradizione in un horror italiano, ma anche qui si poteva fare di meglio visto che Freda disponeva di Silvia Dionisio, Laura Gemser e Martine Brochard. Ricordiamo soltanto qualche fugace nudo di Silvia Dionisio e una scena di sesso tra Laura Gemser e Stefano Patrizi, ma non sono parti girate bene. Riccardo Freda non è regista capace di sfruttare l’erotismo malsano e la rappresentazione della donna in funzione maliziosa non è nelle sue corde. Il soggetto inserisce in una stessa tematica psicanalisi d’accatto, con un figlio tormentato dal rimorso per aver ucciso il padre, riti vudu, satanismo, magia esoterica e giallo classico condito in salsa horror. Un vero guazzabuglio. Freda racconta una storia demoniaca scavando nell’anima di personaggi appena abbozzati, monodimensionali e fumettistici. Indigeribili i polpettoni filosofico-esistenziali sulla morte, sul mistero della vita, sulla fotografia che ruba l’anima, sulla religione e persino sulla reincarnazione. I dialoghi sono eccessivi e surreali, oltre tutto accompagnati da una musica assordante e sempre fuori tempo. Salverei alcune scene girate con la soggettiva dell’assassino, il cuore che pulsa e la pellicola in dissolvenza per incutere nello spettatore ansia e terrore. La villa della madre, rappresentata come un castello dei vecchi film gotici, è un elemento importante da segnalare, così come è degna di nota (ma sfruttata) la struttura del thriller sullo schema dei dieci piccoli indiani. Il film si svolge quasi completamente in un interno, secondo la tecnica dell’unità di tempo e di spazio, anche se il passato torna spesso sotto forma di flashback.
Due parole anche sugli omicidi e sulla rappresentazione della morte che rappresenta motivo di interesse per i cultori di gore e splatter. Ricordiamo la coltellata che squarcia lo stomaco di Laura Gemser, un colpo di accetta che fracassa la testa del regista e la sega elettrica che affetta Martine Brochard in un trionfo di schizzi di sangue. Gli attori non sono ben calati nella parte, forse perché il film è girato in fretta e con poca attenzione ai ruoli, ma devo dire di non aver mai visto Martine Brochard recitare così male. Non stupisce, invece, il pessimo Stefano Patrizi per niente a suo agio nella parte di un tormentato protagonista. Naufragano nel disastro collettivo anche le affascinanti Silvia Dionisio e Laura Gemser che ricordiamo solo per rapide apparizioni senza vesti. John Richardson è un maggiordomo da fumetto ed è molto più disinvolto quando interpreta ruoli da padre disperato nei lacrima movies che in un ruolo da finto cattivo. Anita Strindberg è un’icona dello splatter e forse è la migliore del gruppo in un ruolo da dark lady folle ed esaltata che ricopre con naturalezza.
Murder Obsession è un thriller orrorifico scadente che riassume in sé le componenti macabre del cinema di Riccardo Freda concepito come opera in nero, ma notevolmente al di sotto del suo miglior standard qualitativo. Non comprendiamo il giudizio entusiasta di Antonio Tentori che reputa Murder Obsession una sorta di film manifesto dell’opera gotica dell’autore portata alle estreme conseguenze. È maggiormente condivisibile la stroncatura di Mereghetti che lo definisce un «pasticcio orrorifico-psicoanalitico, salvato a malapena dal buon mestiere di Freda, che torna a dirigere dopo dieci anni».
Scheda tecnica
Murder Obsession (1980)
Regia: Riccardo Freda - Soggetto: Fabio Piccioni e Antonio Cesari Corti - Sceneggiatura: Fabio Piccioni, Antonio Cesari Corti e Riccardo Freda - Fotografia: Cristiano Pogany - Montaggio: Riccardo Freda - Musiche: Franco Mannino - Scenografie: Giorgio Desideri. - Interpreti: Stefano Patrizi, Anita Strindberg, Martine Brochard, John Richardson, Laura Gemser, Silvia Dionisio, Henri Garcin.
Gordiano Lupi