Io l’ho conosciuto abbastanza bene, il Lodetti.
E siamo in molti a poterlo dire, perché lui era sempre gentile e disponibile con tutti. Inoltre non si tirava mai indietro quando c’era da parlare del Milan degli anni Sessanta, gli si illuminavano gli occhi. Iniziava a raccontare aneddoti e non finiva più, proprio come gli altri protagonisti di quell’epoca d’oro con cui ho avuto la fortuna di chiacchierare in questi anni (Cudicini, Anquilletti, Prati, Belli ma anche Mazzola, Corso, Cappellini). Erano consapevoli di essere entrati nella storia del calcio, ma il loro orgoglio era genuino, spontaneo, non si trasformava mai in egocentrismo.
Per capire chi era Giovanni Lodetti basta narrare della volta che ci siamo conosciuti. Correva il 2003, ed ero stato invitato a invitato a presentare il mio primo libro, Invasione di campo-Una vita in rossonero, in un posto assurdo, una specie di mini palasport in periferia. Quando sono entrato gli spalti erano pieni di gente che aveva appena visto giocare i loro figli a calcetto o aspettava di farlo. Si può immaginare quanto potesse importare loro di un libro. Così mi ritrovai a centrocampo, da solo, con il mio bel romanzo in mano, e non sapevo come attirare l’attenzione. Fu allora che lo vidi: stava parlando con gli organizzatori. Mi avvicinai, mi presentai, e gli domandai se poteva darmi una mano. Lui mi fissò per un momento, diede un’occhiata alla copertina (con Rivera abbracciato ad Altafini dopo un gol al Benfica nella finale di Coppa dei Campioni del 1963), e mi fece: “Andiamo”. Prese il microfono, ottenne un po’ di silenzio e disse di ascoltarmi con attenzione perché avevo appena pubblicato un libro sul Milan. Era – ripeto – la prima volta che mi vedeva.
Lui era così, un generoso, un appassionato del suo Milan e di tutto ciò che lo riguardava. In seguito scrisse la prefazione – ovviamente a titolo gratuito – a un libro che pubblicai insieme all’amico Davide Grassi (Milano è rossonera. Passeggiata tra i luoghi che hanno fatto la storia del Milan). Di conseguenza, ci incrociammo abbastanza spesso perché, quando c’era un incontro, il primo che cercavamo era lui. E pure quando uscì Il Derby della Madonnina, scritto a sei mani da Alberto Figliolia, Davide Grassi e dal sottoscritto, lui era sempre in prima fila, nelle presentazioni. Ricordo che una volta lo portammo fino alla biblioteca di Cassina de’ Pecchi insieme a Renato Cappellini, e il pubblico era formato da cinque – dico, cinque – persone. Entrambi, però, si divertirono a parlare di Inter e Milan come se ne avessero di fronte cento.
Se si negava era solo per impegni televisivi, perché era opinionista in una televisione privata che aveva gli studi vicino a Loreto. E sotto la linea rossa della metropolitana ci siamo incontrati spesso verso le undici di sera, perché lui aveva appena finito la trasmissione ed io le lezioni a scuola. Ci fermavamo lì, ad aspettare il suo metrò, e commentavamo il momento del Milan. Così, alla buona. Perché Lodetti era veramente una persona d’altri tempi, di un calcio – e di un mondo – d’altri tempi. E non c’è miglior complimento che io gli possa rivolgere.
Mauro Raimondi