Uno dei primi Giganti del basket da me comprati aveva John Fultz in copertina. Kociss, già coi capelli lunghi, iconico. È stato davvero un grande giocatore e una persona oltremodo intelligente, originale, mai scontata, mai banale.
John Leslie Fultz, nato a Boston il 20 ottobre 1948 e morto a Bologna, sua città adottiva, il 13 gennaio 2023. John, 199 cm, ala grande o ala piccola, tiratore e attaccante eccezionale, vincitore della classifica marcatori nel campionato italiano di serie A 1971-72 con la maglia dell’amata Virtus Bologna. Anche se in Italia era arrivato dapprima in Lombardia, dopo la carriera universitaria a Rhode Island Rams durante i cui anni aveva avuto modo di confrontarsi, mai sfigurando, con quel genio dell’atletismo che era Julius Erving, alias Doctor J (scusate se è poco!).
Con i varesini John, tesserato come straniero di coppa, conquistò una Intercontinentale e giocò una finale di Coppa dei Campioni, in cui fu il miglior marcatore (22 punti), con il CSKA Mosca.
Poi, come detto, quegli intensi brillantissimi anni a Bologna, da sempre Basket City. Tre anni all’ombra della Garisenda, nella Dotta e Grassa, predicando basket, bel gioco e non rinunciando al proprio patrimonio di idee e ideali. I suoi modi da hippy, la fascia a cingergli i lunghi capelli, un genere di vita alternativo, nel bene e anche in qualche eccesso, lo rendono un personaggio estremamente popolare. Ma lui è uno di quelli genuini, non artefatto. Ed è un campione sul parquet. Con i felsinei vince una Coppa Italia, ma dovrà emigrare prima al Viganello, in Elvezia, con cui vincerà una Coppa di Svizzera, poi all’Austria Vienna. Un breve ritorno in Italia, a Pordenone e, infine, l’esperienza in Portogallo con lo Sporting Lisbona, con cui conquista il massimo torneo lusitano.
John ha accompagnato un pezzo della storia personale di noi ragazzi di quella generazione, per cui la gioia di poter giocare a basket, anche su un campo in terra battuta – polveroso o fangoso secondo il meteo – era impagabile. E in quelle interminabili partite cercavamo di imitare le gesta dei cestisti evocate da quel genio che era Aldo Giordani.
John era un idolo ed era un uomo capace di andare oltre gli stereotipi. Praticava meditazione e yoga, aveva opinioni forti e libere. Un gran giocatore, un visionario di talento.
Ho letto molti anni dopo la sua autobiografia, Mi chiamavano Kociss (Minerva Edizioni, 2011): onesta, sincera e coraggiosa. Come lui era.
Sempre nel nostro cuore, John.
Alberto Figliolia