Franco Poggianti
La pesca del Giunti
Sarnus, 2022, pp. 228, € 14,00
Prendi una accozzaglia originale di livornesi degli anni sessanta - una ex violoncellista che suona la fisarmonica, un avvocato, un professore d’inglese, uno chef anarchico, due operai comunisti, un dentista, una attrice mancata, un primario d’ospedale, un trombettista jazz, un adolescente nella sua tempesta ormonale -, falli riunire ogni mercoledì sera nella fiaschetteria d’Alfredo perennemente briao, e potrai ascoltarne di tutti i colori: scontri sulla politica, gossip e storie di corna, fatti di cronaca, il tutto condito da moccoli colorati -bestemmie- come era buona abitudine in certi ambienti toscani. Con finale di musica e canti: “Più che altro si dedicavano al cazzeggio, più che altro. Ma, via via, inciampavano in qualche ragionamento serio. Un po’ come succede oggi nei talcsciò alla tv”.
Ciò che agita il gruppo è la notizia di un morto ammazzato trovato vicino alla Fortezza Nova “l’antico bastione che sovrasta piazza della Repubblica, circondata dall’acqua dei fossi e collegata alla terraferma da un ponte in muratura in sostituzione del vecchio ponte levatoio”, allora zona di baraccati: “La cosa che più mi fa male… è vede’ che a più di vent’anni dalla fine della guerra, ci sono ancora tanti disgraziati senza casa, che le baracche sono ancora in piedi e dentro c’è gente che vive pigiata come l’acciughe”. Ci sia augura che la storia del morto in Fortezza convinca la amministrazione comunale a risolvere il problema dei tuguri.
Il fatto è che viene accusata di omicidio l’Asmara, una anziana delle baracche, che non ha mai fatto male a una mosca, che ha perso i genitori nel bombardamento del maggio ’43, tirata fuori dalle macerie due giorni dopo, illesa ma senza più l’uso della parola: la poveretta che finisce in cella porta a galla le condizioni dei baraccati.
Qualcosa deve escogitare la combriccola del mercoledì, tanto più che è stato l’avvocato del gruppo a interessarsi dell’Asmara, tanto più perché il professore è un assiduo frequentatore della Biblioteca Labronica di Villa Fabbricotti, e proprio quell’ambiente gli suggerisce un piano per ricattare il Comune e costringerlo ad affrontare rapidamente la situazione.
Si viene coinvolti così in un clima che ricorda I soliti ignoti, con l’improvvisazione e l’ingenuità che strappano un sorriso, con la stesura di un furto nei minimi dettagli, con la ricerca di una mano esperta e leggera che non lasci alcun segno. Tutto in un crescendo di eccitazione che non esclude ansia ma non rinnega il progetto, ansia legata alla paura del fallimento, ché allora il carcere dei Domenicani avrebbe spalancato le porte a tutti.
Intanto gli incontri del mercoledì sono occasione di golose cene, col profumo del cacciucco che allaga la fiaschetteria, mentre si intrecciano storie, nascono e si consumano amori.
Riusciranno questi temerari nel loro progetto? Riusciranno a incidere sulla rimozione delle baracche? O finiranno tutti ai Domenicani? Per la risposta si potrebbero cercare i loro nomi tra i carcerati di quegli anni - se non fosse che tutto è opera di fantasia - o comunque si potrebbe andare a Livorno a controllare se esistono ancora le baracche, o magari da quando non ci sono più!
È un romanzo che cattura e diverte, pieno di colore, questo del Poggianti - giornalista fin dal 1967, assunto al TG3 Rai nel ’79 -, dove il dialetto risuona largo e musicale, un romanzo ricco di profumi di mare, di figure e figurine scolpite a tutto tondo, di bestemmiatori sì, ma brave persone. Teatrali sempre, i livornesi degli anni sessanta: “C’è tutta la Livorno rissosa e irriverente, ma soprattutto c’è la teatralità labronica fatta di battute paradossali, di gesti esagerati, di toni accesi. Una teatralità che ha come palcoscenico strade, piazze, mercati, ma anche filobus, bar, cortili: tutti quei luoghi dove sia possibile recitare a soggetto e, soprattutto, avere un pubblico”.
Marisa Cecchetti