Sottrarsi ai regolamenti comunitari sembra l’obiettivo principale delle forze più euroscettiche, obiettivamente favorite alle prossime politiche, oltre che per i vasti consensi popolari espressi dai sondaggi, pure da una legge elettorale che favorisce le coalizioni a dispetto dei singoli. Tuttavia affidare a soluzioni nazionali i destini del nostro Paese è anacronistico e illogico, alla luce di dati e fatti incontrovertibili che spingono in senso opposto a quello auspicato dai detrattori dell’Unione europea. Al loro interno si levano addirittura voci che indicano nella costituzione italiana un esempio di sovranismo dettato dai padri della patria, dimenticando che fra di loro vanno annoverate figure di innegabile e specchiato europeismo quali il liberale Luigi Einaudi e il democratico cristiano Alcide De Gasperi, per non voler scomodare il social comunista Altiero Spinelli ideatore del Manifesto di Ventotene per un ’Europa libera e unita.
Sovranisti (e populisti) scordano che gran parte delle misure applicate in Italia vengono decise, che a loro piaccia o no, a Bruxelles e Strasburgo, sedi delle istituzioni europee. Questo avviene in base a trattati vincolanti sottoscritti dai nostri rappresentanti governativi, ai quali è impossibile venir meno pena la rinuncia a far parte di quel consesso europeo che è l’unico in grado di offrire un respiro internazionale allo stato italiano e di garantire un avvenire migliore alla nostra popolazione e in particolare ai giovani. Questi rappresentano il futuro e possiedono una mentalità molto più aperta di quella delle generazioni precedenti e a loro non si può e non si deve impedire di viaggiare, confrontarsi coi coetanei degli altri Paesi dell’Ue e compiere esperienze formative come l’Erasmus, una delle concezioni meglio riuscite dentro i confini dell’Europa. Davvero si intende creare muri divisori dalle altre nazioni per poter agire liberamente per conto nostro? E perfino ipotizzare il blocco navale per impedire l’arrivo dei clandestini dalle coste africane? Forse non ci si rende conto che il mare per definizione non ha frontiere e dunque è praticamente impossibile porre trincee nel Mediterraneo. Le grandi questioni, inclusa quella dei flussi migratori, vanno governate e risolte col buonsenso, non cavalcando gli umori popolari del momento. E qui sta il punto: la nostra classe dirigente è in grado di farlo? A giudicare dall’affidamento delle nostre sorti a governi diretti da tecnici o figure apartitiche come Monti e Draghi si direbbe di no, e non ci vuole molta fantasia a ipotizzare una situazione immutata dopo il 25 settembre, perché è facile prevedere che, chiunque prevarrà, le ripicche tra i presunti alleati di governo saranno tante e tali da impedire qualunque decisione essenziale per tirar fuori l’Italia dalle secche economico-sociali.
Dunque non è da escludere che il voto risulti di fatto ininfluente, dando ragione ai tantissimi astensionisti, e che il buon Mattarella sia obbligato di nuovo a ricorrere a Draghi o a chi per lui per rimettere in moto il nostro sgangherato Paese. Il nostro lungimirante presidente della Repubblica è fra i pochi ad avere ben chiaro il ruolo essenziale dell’Europa, accusata senza senso di imporre regole a vanvera e di essere dirigistica, e che anzi offre alle aziende e ai cittadini italiani opportunità che da soli non riusciamo a prospettare. Uniti si vince, divisi non si va da nessuna parte: per tornare a citare Einaudi e Spinelli, due dei padri dell’Europa, ’ormai le nazioni sono polvere senza sostanza e l’unica alternativa è fra federarsi o scomparire’. Altro che gli inutili bla bla e gli argomenti triti e ritriti di cui un po’ tutti sono nauseati e che ci verranno propinati fino alla vigilia del voto, la vera posta in palio è la scelta fra un’Italia a fianco dell’Europa e una destinata alla deriva sovranista (e populista).
Guido Monti