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Marisa Cecchetti. “Lo storiografo dei disguidi” di Paolo Codazzi
31 Ottobre 2021
 

Paolo Codazzi

Lo storiografo dei disguidi

Arkadia, 2021, pp. 142, € 14,00

 

Si rimane sempre un po’ stupiti davanti alla prosa di Paolo Codazzi, un uomo “che ha amato la scrittura fin da giovane”, autore di poesia e prosa, fondatore nel 1983, con Franco Manescalchi, della rivista fiorentina Stazione di Posta, ideatore e presidente del Premio letterario Chianti.

Nasce attesa fin dalle parole di Erasmo da Rotterdam in esergo: “Tutta la vita non ha alcuna consistenza, ma, tant’è, questa commedia non si può rappresentare altrimenti”. Questa è una raccolta di racconti. Siamo catapultati subito in mezzo ai libri, un esercito di libri su “colonizzate e caotiche mensole”. Con un proprietario, Giacomo, che trae gioia anche solo dal possederli o dal ricordarne una frase – è comunque cultura – e che cerca di metterli al sicuro trasferendoli a poco a poco, con infinita pazienza nel corso di tre anni, finché il nuovo locale – una stanza affittata per uso di studio immobiliare – non ne trabocca, e lo costringe a iniziare una nuova transumanza. Un amore ed una cura che non avranno eredi.

È l’assurdo di una situazione parossistica destinata a ripetersi nei racconti seguenti dove la verità va inseguita, cercata, e quando emerge stupisce perché totalmente impensata: è morto o no Lorenzo, quella figurina di podista che corre da anni nella Piazza del Duomo di Firenze, che compare in tante foto dei turisti? Come è stata o come è la sua vita? Come si chiama davvero? Codazzi la prende alla larga e trascina piano piano dentro la storia.

Piano piano va riferito anche allo stile narrativo, è giusto sottolinearlo subito, perché Codazzi racconta con periodi complessi dove le principali coordinate si prendono per mano e le secondarie si accavallano, così che, se si volesse leggere a voce alta, bisognerebbe prende fiato spesso.

Superato anche qui il primo sbigottimento, si viene trascinati dentro al gorgo, assumendo lo stesso ritmo e respiro.

Con un registro mantenuto sempre a livello alto, le complicazioni surreali che perseguitano un progetto semplice diventano tragicomiche, come quello di acquistare la prima autoambulanza per un paesino – la scelta del registro alto fa sempre volutamente da contrasto con la semplicità delle storie.

Codazzi ci guida in mezzo a tutte le fasi del progetto, raccontando con un distacco oggettivo che si fa umorismo sottile, senza dimenticare di soffermarsi su ogni precisazione storica, quasi col piacere di esagerare, o divertendosi davanti alle figure di rappresentanza, su un palco traballante innalzato con cassette vuote di verdura per l’inaugurazione: un presidente mette tanta foga nel discorso che alla fine traballa e gli prende un malore, con la gioia di chi spera che l’ambulanza si metta subito in funzione, ma con la delusione di vedere tutto risolto con un bicchierino di grappa.

Una capacità di osservazione che è onnicomprensiva, lucida, accusatoria senza sembrare, di tutte le bassezze, le storture comportamentali, sociali, economiche, politiche del nostro Paese: in effetti l’area di riferimento è la sua città, Firenze, con apertura a provincia e regione, ma diventa il simbolo di un malfunzionamento più ampio.

Codazzi racconta sorridendo davanti alle storture, quasi con una forma di resa incondizionata, tanto non vale combattere contro i mulini a vento – sembra pensare. C’è un’anziana che lamenta una terribile menomazione deambulatoria sfruttando l’umana pietas e riuscendo a non pagare mai il biglietto dell’autobus, ma diventa una velocista all’improvviso; ci sono padroni di cani che si azzuffano – i padroni intendo – in un crescendo di aggressività, mentre i cani, all’arrivo di un’ambulanza, con i “guinzagli arrotolati ai pali della segnaletica stradale, nella cattività di quella imposta inerzia borbottavano tra di loro come se stessero commentando gli inspiegabili avvenimenti della giornata”.

Le difficili condizioni di viabilità e di collegamento presenti in molte aree del nostro territorio si concentrano tutte in un paesino, Rocciamalumba – abbandonato per questo dagli uomini e da Dio – per risolversi da sole, grazie proprio al decadimento ed alla deturpazione di muri e cartelli: ne nascerà un insospettato beneficio.

Davanti ad uno sguardo indagatore la realtà assume aspetti surreali, trasformandosi come se fosse liquida, quasi da illusione ottica, con il suo contenuto di mistero: insondabili sono alcuni comportamenti, ma ancora più insondabile è la mente umana. Alcuni personaggi sembrano usciti da un film di Fellini, come quell’uomo che si appresta a suonare il violino in mezzo ad una folla di curiosi: “un tale, alto, magro, ben vestito da un elegante abito che gli dava un certo qualche aspetto di nobiltà, con in testa uno sproporzionato cilindro nero”. Lento fino alla esasperazione nei preparativi, mentre tutti attendono, immobili, che suoni il suo violino.

Niente è certo nel nostro cammino, gli imprevisti sono in agguato: la casualità che talora imprime una svolta ad una situazione può essere rappresentata, a livello surreale, da una vespa che va a sbattere contro l’occhio di un militare “mentre sta sparando il distruttivo proiettile”. E in una catena di causa-effetto una presunta vittoria si trasforma in sconfitta.

Ma la violenza che ormai dilaga nelle parole, nelle azioni, quella a cui siamo quasi abituati, tanto si ripete e cresce nei giorni a indicare il nostro fallimento, è condensata in un racconto dove, sotto uno sguardo allucinato, tronconi di bestie macellate scorrono su un nastro insieme a corpi umani.

Che cosa e come si può salvare questa umanità decaduta? Un respiro di sollievo, un momento di distrazione ce lo offre il racconto finale “Scuola di ballo”: un emiciclo di sedie intorno a un palcoscenico improvvisato, dei ballerini in abiti stravaganti, un maestro di ballo che li guida, musica, leggerezza, colore, gente che canta, in un crescendo di fusione tra danzatori e spettatori.

Se questa apertura appare consolatoria, rimaniamo poi a guardare stupiti l’autobus che raccoglie i danzatori. Sulla fiancata c’è scritto “Centro di Riabilitazione Psichiatrica e Medicina della Mente”. Nella follia sta dunque l’unica via di uscita? La musica, la danza, la bellezza, saranno davvero strumenti di salvezza?

 

Marisa Cecchetti


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