L’odierna dimensione “etnocentrista” (ed “etnonarcisista”) dell’uomo contemporaneo causa inevitabilmente l’evolversi della sua progressiva cecità e provincialità culturale. Incapace di meravigliarsi dinanzi alla saggezza etnica altrui, elemento integrativo alla propria cultura, egli erge un muro di pregiudizi e stereotipi davanti alle altre culture del mondo, restando segregato da tutte le ricchezze culturali. Disorientato e presuntuoso, insiste nel percepire il mondo per mezzo del suo unico strumento d’interpretazione: la propria cultura, mentre le altre culture si affiancano, si attraversano scambiando i saperi e completandosi vicendevolmente.
Tenendo in considerazione il fatto che l’etnocentrismo continui ad avanzare, diviene oggi di fondamentale importanza continuare a versare luce sul concetto d’intercultura facendo del mondo, e di ogni essere umano, un fertile terreno interculturale, capace di evocare nella popolazione mondiale un vero e proprio stupore nei confronti del suo “raccolto dai tratti biodiversi”. Tutti gli uomini del pianeta, volontariamente o non, fanno parte del mondo pluriculturale, sfiorando quotidianamente le altre culture e mettendo in discussione i propri codici morali e valoriali e proprio qui, nel breve incontro con il diverso, che prende vita la questione circa la filosofia del proprio vivere che conduce direttamente verso la domanda sul senso della propria esistenza. Per poter vivere il sopracitato incontro in modo maggiormente fecondo per la propria formazione ed educazione, culturale ed interculturale, e autentico — ovvero, lontano dai luoghi comuni contraddistinti dai pensieri privi di autenticità — è necessario leggere e studiare i testi come Dalla multicultura all’intercultura. Spazi e strumenti geografici (McGraw-Hill Education Create, Milano, 2017), a cura di Nicoletta Varani e Federico De Boni. Si tratta di un volume (ormai nella sua seconda edizione, 20202) scientificamente peculiare, in cui i saperi di numerose discipline si incentrano sul concetto d’intercultura, studiandolo “strato per strato” e mettendolo in correlazione con concetti di storia, cultura, religione, etnia, lingua, origine, spazio, ecc. Un universo di metodologie coerenti e dei temi di alta rilevanza accademica volto a spiegare al lettore — docente, studente universitario, amante di geografia e dei temi interculturali — l’inevitabilità dell’importanza della diversità culturale sul pianeta e dei suoi benefici per tutta la comunità internazionale. L’aspetto innovativo e creativo del presente volume è il fatto che, definendosi quale manuale, non si ferma a un’asciutta esplicitazione del tema in esame, ma si propone quale interlocutore vivo, chiamando costantemente il lettore al dialogo partecipativo e alla somma riflessione critica, risvegliando, inoltre, in lui il desiderio di conoscere e di ricercare ulteriormente. Educando il lettore alla cultura delle buone pratiche d’intercultura, gli studiosi del volume, ciascuno con il proprio taglio disciplinare, mostrano al lettore un mondo di pace, di accoglienza, di sapere che oltrepassa i confini, conducendolo a riscoprire se stesso quale originale e incomparabile risorsa-identità interculturale per il mondo.
Il presente testo si struttura come una ricerca multidisciplinare che si articola in sette capitoli, arricchiti da diverse appendici, da una serie di schede di approfondimento, dagli elementi di cartografia, dalle vivaci fotografie e da una ricca bibliografia, dettagliata per ogni capitolo. Per poter “assaporare” questa ricerca e farsi nascere il desiderio di avvicinarvisi definitivamente, occorre brevemente illustrare qui gli elementi fondanti l’ossatura del volume.
Nel primo capitolo “Elementi di geografia interculturale”, Federico De Boni si sofferma sull’esplorazione, partendo da diverse interpretazioni enciclopediche e non, dell’essenziale concetto antropologico “cultura”, studiandone le specificità che emergono dall’incessante tentativo di definizione precisa di tale termine e dall’intersezione di esso in messo ai concetti di gruppo umano e luogo geografico. L’indagine meticolosa avviata dallo studioso all’inizio del volume si sviluppa a partire dal suo stupore scientifico concernente l’unicità della specie umana e la comparsa storica della sua divergenza culturale rispecchiata nella pluralità dei relativi tratti culturali. Le ragioni della differenziazione culturale e dei processi di acculturazione e di transculturazione dell’uomo portano il lettore a riflettere circa il fatto che ogni uomo odierno, indipendentemente dalla sua volontà, possiede ormai più identità culturali facendo parte di una vasta stratificazione culturale, reale e, sopratutto, digitale. Tutelare la diversità culturale oggi vuol dire, anzitutto, considerare ogni cultura quale scrigno di saggezze e storie, educandosi alla rispettosa scoperta dell’altro quale “storia da interpretare”, al cui accadere partecipare attivamente, sentendosi altrettanto “storia”. Interpretando gli altri si acquisiscono degli strumenti con cui successivamente si percepisce la propria vita e i filtri culturali “stranieri” aiutano a riscoprire se stessi. Quindi, misurarsi con le nuove realtà, essere testimoni di grandi sacrifici, gioire per gli inaspettati successi degli altri e sorprendersi davanti alle formule culturali dell’altrui mentalità: tutto ciò dona all’uomo segregato delle strumentazioni per potersi sentire un uomo libero, desideroso di vivere in un mondo pieno di possibilità, in un mondo che attende il momento migliore per valorizzarlo.
Nel secondo capitolo “Lingua e identità sociale” Franco Zappettini effettua un’analisi approfondita della coppia categoriale “lingua-identità”. Pertanto, attraverso «diversi processi di uso sociale della lingua» emerge inevitabilmente l’identità dell’uomo. Intrecciandosi, le variabili sociali come educazione, religione, genere, località e cultura danno all’uomo la parola e questa parola, trasmessa e assieme creata da sé, si caratterizza da un determinato stile. La lingua, inoltre, raggruppa gli uomini delimitando confini territoriali e culturali e spesso questi confini si sciolgono dando spazio a nuovi fenomeni culturali: gli ibridismi linguistici. Secondo Sapir-Whorf, attraverso la lingua l’essere umano riceve una visione del mondo e il suo pensare così è il risultato di influenza della struttura linguistica della propria lingua. Quindi, occorre guardarsi allo specchio della lingua per veder trasparire l’identità del popolo: proprio per questo si studiano le lingue straniere, la loro storia, la loro evoluzione e le rarità linguistiche ancora presenti nei remoti angoli geografici.
Nel terzo capitolo “Le religioni: “connotatori” culturali” Enrico Bernardini si concentra sull’identità dell’uomo dal punto di vista della religione cui egli sceglie di appartenere. Una panoramica sul quadro religioso mondiale viene fornita a partire dalla prima distinzione basata sul monoteismo (l’Ebraismo, il Cristianesimo, l’Islam) e il politeismo (l’Induismo). Successivamente, l’autore si sofferma sulla riflessione classificatrice che distingue le religioni in quelle universali, etniche e tribali. Ogni continente presenta il caratteristico paesaggio culturale, ricco di innumerevoli tracce religiose, le cui ragioni sono da attribuirsi principalmente alle migrazioni. La religione, secondo il saggio di Pierre Deffontaines Géographie et religions (1948), influenza anche la demografia, l’organizzazione della società, i viaggi e la mobilità delle persone. Facendo rappresentare dall’uomo il sacro in forme architettoniche più svariate, le religioni gli suggeriscono, inoltre, dei modi di vita da adottare e delle relazioni da instaurare. Leggendo questo capitolo, si è davanti a una panoramica concernente la distribuzione delle religioni nel mondo oltre a una dettagliata descrizione di quelle più diffuse e conosciute. Desiderando inscrivere nel capitolo delle curiosità, l’autore cura particolarmente le questioni sulla Chiesa Valdese (una minoranza religiosa di fede protestante) presente in Piemonte e in Sud America e sul sincretismo religioso.
Nel quarto capitolo “Geografia etnica” sempre Enrico Bernardini si concentra sul tipo di influenza sulle società autoctone da parte dei popoli che migrano. La geografia etnica mostra il vivo interesse alla distribuzione territoriale dei gruppi etnici e del come le loro caratteristiche culturali incidano sul paesaggio circostante. L’appartenenza etnica di una popolazione si comprende grazie soprattutto al suo legame con la lingua, la religione e il territorio contraddistinto da un forte impatto architettonico, ambientale e culturale. Fornendo una panoramica sull’“amalgamazione culturale”, sull’acculturazione e sull’assimilazione, l’autore scava ancora, studiando a fondo il concetto dell’etnocentrismo, coniato nel 1907 dall’antropologo statunitense William Graham Sumner e radicato già nelle coscienze degli antichi greci, i quali chiamavano barbari coloro che abitavano fuori dai confini del Paese e non parlavano il greco. Adottando, invece, l’approccio del relativismo culturale (anch’esso originato nell’antica Grecia con i sofisti Protagora e Gorgia, vissuti nel V secolo a.C.), diventa finalmente possibile vivere in pace con qualsiasi etnia nel segno della tolleranza quieta, l’accettazione reciproca e la concordia raggiunta.
Nel quinto capitolo “Gli spazi e i luoghi dell’intercultura” Federico de Boni esplora la città (e i relativi progetti internazionali) quale luogo per eccellenza d’intercultura. Nicoletta Varani fornisce un quadro variopinto delle città africane, discorrendo del fenomeno trasversale dell’urbanizzazione e dei cospicui problemi politici, economico-gestionali e ambientali che hanno colpito e continuano a riguardare tantissime città africane. All’interno del fenomeno della “multiculturalità vs intercultiralità” si inscrive il caso di studio scelto da Camilla Spadavecchia, la quale avvia un’analisi storico-geografica su Bruxelles, avvicinandola a quella sulle migrazioni. Federico De Boni esamina dettagliatamente la città di Palermo come uno dei maggiori nodi interculturali della terra siciliana. Il concetto d’intercultura penetra in ogni sfera di vita quotidiana, ma in particolare nella scuola, attendendo il momento migliore per potersi trasformare in un volano di rilancio nell’accettazione positiva e reciproca tra i giovani e tra quest’ultimi e il corpo insegnante. Nella parte finale del capitolo Kristina Mamayusupova esamina i “luoghi di residenza e di fondazione” del concetto dell’intercultura: i Centri interculturali, italiani ed esteri, raccogliendo ogni informazione possibile a riguardo.
Nel sesto capitolo “Pratiche interculturali” il lettore si ritrova a una “fiera di pratiche interculturali”: dal Commonwealth of Nations e The Anglosphere, approfonditi da Simone De Andreis, alle buone pratiche nel mondo del lavoro e l’esempio di serena intercultura maturata nell’isola di Mauritius, studiati nel dettaglio da Nicoletta Varani; dalle migrazioni altamente qualificate sondate da Enrico Bernardini al tema delle donne migranti durante il loro percorso di continua costruzione identitaria presso i Centri Interculturali in Italia.
Nel settimo capitolo “I “non luoghi” dell’intercultura” l’intercultura viene ricercata nei “non luoghi” di Marc Augé. Spesso, il teatro, la fiaba e il cibo contengono nella loro essenza l’inconfondibile “estratto interculturale”. «Strumento di confronto e terreno di scambio interculturale» — il cibo (l’argomento trattato da Nicoletta Varani) — e «strumento di inclusione sociale» — il teatro argentino (il tema curato da Raùl Crisafio) — sono piccoli-grandi esempi dell’impossibilità di sottrazione dell’uomo odierno dall’universo interculturale. Infine, persino il mondo magico della fiaba africana, la quesitone presentata da Antonella Primi, è intriso di misteri interculturali.
In conclusione, occorre sottolineare che dopo la lettura di questo denso e complesso volume, penso, ogni lettore rifletterà sulla presenza, all’interno di sé, di quel singolare “estratto interculturale”, di cui ogni istante della vita contemporanea è carico. Nella vita l’essere umano elabora il proprio metodo per intraprendere una via verso la conoscenza e se egli notasse in tempo gli elementi interculturali presenti in nuce su questa via, capirebbe che l’intero suo cammino verso il “compimento” personale e professionale, in fondo, è un cammino interculturale.
Kristina Mamayusupova