Iosif Brodskij
Nature morte
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”
C. Pavese
1
Da cose e persone, da loro,
noi siamo accerchiati. E le une
e le altre ci dilaniano gli occhi.
Meglio vivere nell’oscurità.
Seduto su una panchina
nel parco, seguo con lo sguardo
una famiglia che passa,
nauseato dalla luce.
È gennaio. È inverno.
Così dice il calendario.
Quando sarà il buio a nausearmi
allora comincerò a parlare.
2
È ora. Sono pronto ad iniziare.
Da cosa è indifferente. Importa
aprire la bocca. Potrei anche tacere.
Ma è meglio per me parlare.
Di cosa? Dei giorni, delle notti.
O piuttosto – di nulla.
O delle cose invece.
Delle cose, e non
delle persone. Loro muoiono.
Tutte. Anch’io morirò.
Tutto quanto è una sterile fatica.
Come lo scrivere nel vento.
3
Il mio sangue è gelido. Un gelo,
il suo, più feroce di un fiume
ghiacciato fin sul fondale.
Io non amo le persone.
La loro fisionomia non fa per me.
Coi loro volti innestano nella vita
un aspetto come di qualcosa
da cui non ci si può liberare.
C’è qualcosa nei loro volti
che nella mente suscita ribrezzo.
Qualcosa che esprime adulazione
non si sa nei confronti di chi.
4
Le cose sono più piacevoli. In loro,
all’esterno, non c’è né bene
né male. E anche se ci penetri dentro,
fin nelle viscere.
All’interno di un oggetto – polvere.
Cenere. Un tarlo xilofago.
Le pareti. Una larva secca.
Tutto questo è sgradevole per le mani.
Polvere. E la luce, quando è accesa,
illumina polvere soltanto.
Anche se l’oggetto
è chiuso ermeticamente.
5
Un vecchio buffet dal di fuori
è proprio come all’interno,
mi ricorda
Notre Dame de Paris.
Nelle viscere del buffet
c’è solo oscurità. Il frettazzo,
il mondo, non scuoteranno la polvere.
La cosa stessa, di norma,
non si sforza di vincere la polvere,
non tende il sopracciglio.
Perché la polvere è la carne
del tempo; la carne e il sangue.
6
Negli ultimi tempi
io dormo in pieno giorno.
La mia morte, è evidente,
mi mette alla prova,
avvicinandomi, anche se respiro,
lo specchio alla bocca –
per vedere come riporto alla luce
questo mio non essere.
Sono immobile. Entrambi
i fianchi sono freddi, come
di ghiaccio, e l’azzurro
delle vene mi rende di marmo.
7
Facendoci la sorpresa di essere
la somma dei suoi angoli,
la cosa casca fuori
dal nostro mondo fatto di parole.
Una cosa non sta in piedi. E
neppure si muove. Pensarlo sarebbe un delirio.
La cosa è il suo spazio. E al di fuori
dello spazio una cosa non esiste.
Una cosa si può battere, bruciare,
sventrare, rompere.
Gettare. Di fronte a questo
non griderà “Va all’inferno!”
8
Un albero. La sua ombra. E la terra
sotto l’albero per le radici.
Curvi nomogrammi.
L’argilla. Un’aiuola di pietre.
Le radici. Il loro intreccio.
La pietra, che il suo
peso specifico rende libera
da questo sistema di vincoli e nodi.
È immobile la pietra. Non si può
spostare, né portare via.
L’ombra. L’uomo nell’ombra
è come un pesce nella rete.
9
La cosa. Il colore marrone
della cosa. Il suo contorno sciupato.
Il crepuscolo. Non c’è altro –
nient’altro. Nature morte.
Verrà la morte e troverà un corpo
la cui superficie rifletterà
la venuta della morte
come l’arrivo di una donna.
E il teschio lo scheletro la falce –
è assurdo, è una menzogna.
“Verrà la morte
e avrà i tuoi occhi”.
10
Dice la Madre a Cristo:
― Tu sei mio figlio
o il mio Dio? Sei stato inchiodato alla croce.
Come me ne andrò a casa?
Come oltrepasserò la soglia,
senza aver capito, senza aver deciso:
tu sei mio figlio o Dio?
Ossia: tu sei morto o vivo?
E lui in risposta:
― Morto o vivo, donna,
non c’è differenza.
Figlio o Dio, io sono tuo.
1971
Trad. Silvia Comoglio