Questo è il racconto d’una storia vera, mai dimenticata
che in Tirano di bocca in bocca i nostri avi a testa china
raccontavano con voce sommessa, triste e mai adirata.
Sono un tiranese di vecchio stampo, per voi mi impegno,
con approccio distaccato di raccontare la verità dei fatti.
Di chi fu la colpa del massacro la storia non dà il segno.
Forse la verità sta sovente nel mezzo dei due duellanti.
Racconterò i fatti accaduti intorno al 1620 in Valtellina,
è bene però che ognun si faccia studioso dei contendenti.
Son ormai passati 400 anni da quei tragici e luttuosi eventi,
in noi rimane di quel fatto trista memoria e gran sconcerto
che si può risanare nei cuori con amichevoli sentimenti,
poiché sì è ormai compreso che con gli occhiali deformati
del confessionalismo, ogni ragion tra genti è gran guerra,
fu così che iniziò una lotta inutile tra Cattolici e Riformati.
Troppo spesso la Religione per i Potenti è caval di Troia.
Per affari o ragion di stato si attizza il fuoco nella gente
nulla vale il rimorso se mille o una persona solo muoia.
Nuove dottrine si predicavano nella cristiana Valtellina,
Il togliere santi e loro reliquie era lo scopo dei teologanti,
innanzi ad un clero Cattolico spesso rozzo di dottrina.
Cosicché i Riformati ebbero fortuna e senza troppa fatica
molta gente ne seguì le orme. Molti divennero protestanti
alcuni per riverenza, altri per farsi le Tre Leghe amica.
Aver in Valle abbracciato la Riforma era fonte di previlegio,
di cariche ed esenzioni. Molte nobili famiglie apostatarono
e con loro molti del popolo senza lor pentimento e sfregio.
Apostatarono i nobili Lazzaroni, i Paravicini, i Guarinoni
i Malacrida, l’Arciprete di Mazzo, i Piatti , i Marlianici,
e molti altri ancora saltarono lesti sul carro dei Grigioni.
Su 100.000 cuori di Valle circa 4.000 optarono all’altra fede,
in minor misura vi si accodavano altri sudditi nella Rezia,
altri con cuor sincero abiurarono fors’anche in buona fede.
Il contagio religioso si diffuse in tutta la valle e la Chiesa
chiamò in soccorso il re Cattolico perché non si entrasse
in aperta ribellione e dei Reti protestanti ci fosse la resa.
Ma come si poteva operare bene in tutta la Valtellina
quando i Grigioni dominatori eccedevano nel comando?
La religione li divideva e anche il loro comando era rovina.
Con i Principi, la Rezia si divise tra Evangelici e Cattolici
in due fazioni: i primi alla Francia e gli altri con la Spagna ,
Rodolfo Pianta con i Cattolici, Ercole Salis con gli Evangelici.
Non solo le due famiglie superbe diedero assai scompiglio,
ma molta gente dei Grigioni ebbe in uggia Austria e Spagna,
questi cercarono di avere dai Francesi protezione e consiglio.
La Francia era esempio di forte governo e di gran potenza,
i Grigioni fecero con Enrico IV una lega di offesa e di difesa
ma per il conte di Fuentes quel patto fu una irriverenza.
Non inghiottì il torto e minacciò i Grigioni come suoi nemici
vedendo di malocchio l’alleanza di Venezia con i Grigioni,
anche perché Venezia non bandiva i riformatori evangelici,
anzi ostacolavano il Papa contrario alla libertà di coscienza.
I Grigioni non si ravvidero e il Conte costruì un grande forte
che chiamò a suo nome qual segno di superba potenza.
Cosicché a causa di quel forte iniziarono discordie e contese.
Tra il duca Francesco II Sforza e Grigioni c’era stato un patto:
che a nessun esercito si concedesse il passo verso il Milanese.
Questi fatti inquietarono l’animo dei Potenti e dei loro sudditi,
così i Grigioni rafforzavano le loro guarnigioni in Valtellina
poiché correva voce di tumulti e l’arrivo di sanguinosi eserciti.
Il perché ora mi piace raccontare con grande dovizia di fatti:
già da molto tempo in Valle i signori Grigioni comandavano
con arroganza non mantenendo parola e fede agli antichi patti,
Quelli che erano venuti come alleati diventarono lupi affamati.
I Cattolici erano perseguitati per le cose della loro religione,
sberleffi, persecuzioni, insulti ai sacerdoti fecero i Riformati.
Sotto quella persecuzione i Grigioni dicevano sghignazzando:
“Tu puoi credere quel che ti pare vero e quel che ti conviene,
però tu devi sempre fare tutto ciò che io ben ti comando”.
Tra i fedeli Cattolici non mancavano uomini di gran cuore,
che con vigore e temperanza protestavano per le ingiustizie
dicendo: “il nostro Dio non vuole contese, ma vuole amore,
o voi che ci dite che la nostra fede è soggetta a errore
siete voi di origine divina per discernere il giusto dal falso
e voler con rabbia anticristiana puntare il dito accusatore?”
Un Cattolico alzò dunque la voce ad un Riformato impertinente
dicendo: “Voi che predicate amore di Patria e buon comando
in Valtellina avete sparso del nostro sangue innocente”.
Per sua grande disgrazia e sventura futura rimbeccò quello
“Siete sudditi, il giusto comando ora è in mano nostra”.
Disgraziato! Egli fu uno dei morti in quel “sacro Macello”.
Così Cesare Cantù chiamò l’orribile fatto in un sincero racconto,
ma nulla di sacro vi fu in quella lotta crudele e mal condotta.
Conviene dar titolo di “Rivolta Valtellinese” a quello scontro.
Non fu principalmente per ragion di Fede ma quello di interessi
nella Valtellina privata della libertà, soggetta alla fame e miseria
e in balia di un popolo straniero che del male faceva eccessi.
Ma se tutti i Cristiani mai non debbono ricorrere alla violenza,
il solo porgere l’altra guancia è compito e virtù solo dei Santi,
un popolo fiero talvolta non intende fare quella penitenza.
Fu così che a furia di tirar la corda, la corda di botto si stroncò
in un mattino del 19 di luglio del 1620 nel borgo di Tirano
vi fu una scintilla che in un baleno l’inquieta valle incendiò.
Cos’era successo nella terra di Valtellina, terra di buoni vini
di verdi pascoli, di storia e gran rapine d’eserciti di passaggio,
popolo fiero, assai calmo e per guerre ingiuste poco inclini
per imbracciar le armi e iniziar lotta con fatti orribili e ripugnanti?
Perché osarono i Grigioni in ogni dove insultare i Cattolici
e di ogni loro lamento facevano beffe come fossero briganti ?
I sudditi in Valle vivevano timorosi e i loro Padroni non da meno,
un astio, come una cappa di piombo, incombeva ogni giorno
tra Grigioni e Valtellinesi. L’aria era pregnante di quel veleno.
Povera Valle! La gente temeva meno una frana che quell’ora
della vendetta. Il sangue sarebbe sgorgato anche dai parenti
difensori dell’altra sponda in quel mattino fosco e all’aurora.
Misera Valle! Ognun ora ricordava quel momento scellerato,
il voler dei Reti una chiesa evangelica per il lor culto a Boalzo
per i Cattolici di Valle quel fatto imposto mai fu accettato.
E non fu mai, il presbitero italiano Nicolò Rusca, dimenticato.
Egli fu preso di mira come gran turbatore del credo Evangelico
e a Thusis sotto gran tortura fu miseramente assassinato.
Neppur gli evangelici furono contenti quando per vendetta
di Biagio Piatti, i Cattolici ammazzarono un loro evangelico
in Tirano e dopo il fatto il predicante di Brusio scappò in fretta.
E nemmeno quando Scipione Calandrino, il gran predicatore
che sulla bigoncia presso Albosaggia fu assalito da armati.
Di certo per i Protestanti in quel tempo non v’era alcun amore.
I Cattolici, per grazia del Papa avevano la loro consolazione,
li esortava a pazientare, ma la pazienza in Valle era finita.
Mercanti e fior di intellettuali eretici giungevano da ogni nazione,
e con buon viso accolti dai Grigioni. Alcuni cattolici fuorusciti
perché cacciati dai Grigioni, con maestria di parole forti
gridavano: “Orsù, cacciate l’oppressore, sono dei banditi!”
Tra questi alfieri della causa Valtellinese, si udì la gran voce
d’un uomo d’armi, di splendida aura tra i suoi fedeli soldati,
servendo Carlo Emanuele di Savoia e fatto cavalier di Croce
dei ss. Maurizio e Lazzaro e di quei Santi volle portar l’onore
per un gran giuramento di servir e liberar la sua Patria
di Valtellina. Fu fuggiasco sì, ma di Grosotto pieno d’amore.
In cuor suo il sangue del Rusca gridava vendetta. In ogni calle
si doveva quindi affrettare quel tempo e la spada lui faceva
roteare nell’aria pensando al giorno del suo ritorno in Valle.
Ai dominanti Grigioni giungevano all’orecchio quelle voci forti
della vendetta, già l’occhio era sanguigno tra i signor Grigioni,
loro pensavano solo ai propri beni e il popolo pensava ai torti
che i Grigioni avevano inflitto e loro pazienti avevano tollerati.
Ma si sa che la lotta armata non è fatta di grandi straccioni,
per vincere occorre avere capi d’armi ed essere sempre guidati,
Il Robustelli, brigò alleanze con i Planta pur loro perseguitati,
e perseguitato lui stesso. Da lontano tramò e tesse la gran tela
perché con armi i Grigioni dalla Valtellina fossero cacciati.
Ci fu chi soffiò sul fuoco o qualche traditore rivelò quel baccano.
i Riformati vennero a sapere della congiura e con ardita mossa
giurarono di fare dei cattolici in Valtellina un vespro Siciliano.
Con la morte di trecento persone influenti la cosa si ritiene fatta!
Dissero i congiurati Grigioni, “se non tagliamo immediatamente
ai Valtellinesi le loro gambe, subiremo presto la nostra disfatta.
Orsù veloci, agiamo finché il ferro è caldo, tronchiamo la testa
al Vescovo, agli abati, ai prelati, agli ispanizzanti, a tutti i nostri
avversari. Su presto facciamogli la meritata e sanguinosa festa”.
Chi soffiò sul fuoco con i Grigioni fu forse un fanatico che volle
aizzare i Cattolici e preparare in tal modo il desiderato scontro
tra Grigioni e Valtellinesi. Forse fu l’idea di un fuoriuscito folle?
Del fatto si parlò anche in una lettera che ordinasse la congiura
dei Grigioni in Valle, ma mai si seppe il nome di chi l’aveva scritta.
Fu forse il voler dare ai Valtellinesi la scossa d’una ubriacatura ?
Era tempo di Rivoluzione e di gran sommosse in tutta Europa.
La Francia dopo guerre terribili desiderava un poco di tregua.
L’Olanda dalla Spagna voleva per motivi religiosi far scopa.
La Boemia faceva guerra all’imperatore. I popoli di Germania
si preparavano per la guerra che chiamarono poi dei Trent’anni,
e i signor Grigioni seminavano in tutta la Valtellina gran zizzania.
Ecco apparir il cavalier fiero dei Santi Maurizio e Lazzaro
di nome Giacomo Robustelli che riunì nella propria casa
a Grosotto alcuni Valtellinesi e fuoriusciti di valle di spirito altero
spiegando a tutti loro i gravi pericoli per la loro Patria e religione.
Vi un gran discorrere. C’era chi diceva di voler ancor pazientare,
e di dover tollerare la superbia dei Grigioni e portar santa ragione.
Chi diceva che la rivoluzione porta sempre lutti e fatti assai tristi,
chi ricordava che il sangue va sempre a favore dei Potenti
e che, a rivoluzione finita, il vantaggio va spesso ai più egoisti.
Chi diceva che a parole sono tutti buoni in ogni rivoluzione
e poi a azione in corso ognun svincola secondo i loro interessi,
e chi si è messo in guerra resta solo come un gran coglione.
I più gagliardi al sentir i dubbiosi parlar in tal modo risposero:
“A noi Valtellinesi non basta questa sofferenza? Non vi basta
essere stati disprezzati e umiliati? Non ascoltate il misero
che invoca pane per i suoi figli e giustizia per i suoi beni?
Cosa direbbero i nostri padri, loro che ci hanno insegnato
a difendere la nostra Patria ? Orsù, subito spacchiamo le reni
ai Grigioni. I 100.000 cattolici tra le fonti dell’Adda e del Liro
aspettano il momento. Una misera pace a noi non conviene,
questo è il buon momento per metterli sotto il nostro tiro.
Per i cento milioni di cattolici in Europa sarà un esempio,
noi faremo da guida per amor di Giustizia, Patria e Religione
e di queste tre sante virtù mai più nessuno osi far scempio.
Abbiam dalla nostra parte il Papa e la Spagna che ci appoggia,
la discordia nei Grigioni è per noi grande e utile vantaggio,
questa è una buona occasione che tanto a noi avvantaggia.
Nessun sfugga da questa occasione, chi non vuole perire
ascolti la voce del soggiogato che la innalza per Giustizia
e dice: “Piuttosto di patire e tremar di paura, meglio morire!”
E se moriremo per questa giusta causa per noi sarà onore,
una gloria per la nostra Patria, e se la Valle sarà dunque libera
dai Grigioni, sarà stato a causa del nostro grande amore”.
Al sentir questi ragionamenti Giacomo Robustelli si alzò fiero
e dal suo scranno, con i più violenti fece subito un si d’accenno,
e con unanime giubilo la gente portò in spalla il guerriero.
Il Robustelli poi con voce suadente tra lo scrosciare di battimani
disse che faceva gran conto dell’armi e l’ appoggio dei Planta
e sperava l’aiuto dei Grigioni cattolici e dei loro capitani.
Ma come operare per iniziare l’impresa della Ribellione?
Prendere subito le armi alcuni dicevano! Altri nicchiavano!
In armi, in armi s’alzò e disse un nobile con far da leone.
Quell’era il dott. Vincenzo Venosta, uomo tutto d’un pezzo,
fiero Valtellinese, animo schietto e senza tentennamenti,
e che il sopportare il comando dei Grigioni era male avvezzo.
Il Venosta gridò: “Clemenza? Mai più! Si sfoderi la spada!
Occorre salvare la Patria, i nostri diritti e la Religione!
Orsù, cerchiamoli, inseguiamoli, cacciamoli da ogni contrada.
Non sono forse coloro che uccisero il Rusca e Biagio Piatti?
Sono quelli che congiurarono di scannare trecento Cattolici!
Agiamo, non lasciamo fare a lor la prima mossa. A noi i fatti!
Se li lasciamo vivi continueranno a farci male e gran danno,
se li uccidiamo ne parlerà il mondo intero, e poi la memoria
andrà perduta e della vendetta i nostri posteri capiranno”.
Queste parole infiammarono gli animi e in un solo botto
tutti si alzarono e gridarono: “Robustelli sia la nostra guida
perché d’armi, di comando e di strategia di guerra è un dotto”.
Ma per vincere la battaglia occorre aver sempre buoni alleati:
fu così che il capitan Giucciardi di Ponte fu in fretta mandato
nel milanese per aver esuli, uomini d’armi e anche molti ducati.
Fu intanto informato il Cardinal Federico Borromeo dell’intento,
il duca di Feria e altri potenti Nobili del governo milanese,
poiché in Valle già si pensava alla data dell’accadimento.
I Planta dal Tirolo, il Giojero dalla Mesolcina erano già pronti
a conquistar la Rezia, e in Valle anche le truppe dal milanese.
Però Il Giojero, scendendo in val di Reno fece mal i suoi conti
e dai Grigioni fu respinto. Ma se fu scompiglio tra gli alleati,
in Valle i congiurati Valtellinesi erano già pronti e in armi.
Il Robustelli da Grosotto a Tirano era sceso a cercare armati.
Nella casa di Tirano del Venosta decisero la strategia da fare
poiché i Grigioni ora sapevano della loro trama presidiando
le loro fortificazioni perché nessun altro si potesse armare.
Chi aveva tradito e rivelato ai Grigioni la data della trama ?
Forse la lettera del Venosta mandata a Morbegno con
un corriere del Venosta al Paravicini uomo di chiara fama ?
Furono chiuse tutte le vie all’uscita della Valle e dei confini.
I Grigioni con i loro soldati giravano origliando in ogni dove.
Erano sott’occhio i Nobili di Valtellina a quella rivolta inclini.
Che fare dunque? I nobili fuggire fuori Valle, o per primi colpire?
Si sa che il primo colpo se ben assestato dà un gran vantaggio.
Lo sapeva il Robustelli che disse: “Fuggire? Meglio morire!”
Nel terziere superiore i più erano Cattolici e i Grigioni tollerati,
dunque la strage dei Grigioni si doveva iniziare a Tirano.
Dal terziere inferiore il Paravicini mandò 40 uomini armati.
La notte del 18 luglio per i gran fatti che dovevano maturare
per il popolo fu piena d’ansie, di fantasmi, di paure e di sangue,
presentimenti che può sol conoscere chi in quei fatti può capitare.
Sul biancheggiar dell’alba del 19 luglio quattro colpi di archibugio
davano il segno convenuto. La rivoluzione era incominciata!
Il suono delle campane scosse i cittadini da ogni indugio.
“Ammazza, ammazza” gridavano a gran voce i congiurati.
Dei grigioni e dei Tiranesi vi fu rincorsa per procurarsi armi
poi vi fu una gran lotta di offesa e di difesa tra gli armati.
Fu un rincorrere, per strade, per le case, sui tetti ai Riformati.
Il cancelliere Lazzaroni fuggì ignudo per i tetti e si nascose
con suo cognato, ma una donna zelante, indicò a tre armati
il rifugio e prontamente li finirono. Giovanni di Capual, il pretore,
pur chiedendo misericordia, i congiurati non ne ebbero affatto,
e lo trascinarono nelle acque dell’Adda con baldante ardore.
Il cancelliere Giovan Andrea Cattaneo fu anch’egli ucciso
pur essendo la sua sposa cugina del Robustelli e del Venosta.
Stessa sorte capitò al Salis e al suo cancelliere tra il riso
sprezzante dei ribelli. Orrore! Al ministro Basso protestante
fu recisa la testa e poi posta sul pulpito della graziosa chiesa
cui soleva predicare. Fin qui poté giungere l’odio accecante!
Da quel giorno del 19 luglio 1620 triste e luttuoso più che mai,
la strage continuò crudele e spietata di casa in casa, in strada,
di cortile in cortile. Quei luoghi parvero laboratori di macellai.
Ben sessanta persone vennero scannate in modi diversi,
non mancarono tra loro tre donne e i bambini per salvarsi
dovettero dichiarare a gran voce della fede riformata astenersi.
Non contento del sangue il Robustelli archibugiò trenta persone
in quel di Brusio in Val Poschiavo, poi subito appiccò il fuoco
alle case e disse: “questo è un falò per la recuperata religione ”.
Quando la plebaglia incomincia a bere il sangue della vendetta,
pare vino, che più ne bevi e più ti gusta. Fu così che la rivolta
da Tirano si propagò in quel di Teglio. I congiurati con fretta
vestiti di rosso, corsero a Teglio alla chiesa degli Evangelici,
insieme ai Besta che con zappe e badili e con folte archibugiate
colpirono dalle finestre i Riformati come feroci cani famelici.
Diciassette Evangelici fuggirono sul campanile della chiesa
poi, senza nessuna pietà, i Cattolici appiccarono il fuoco.
Ben 60 ne uccisero, anche un Cattolico morì in quell’impresa.
La povera Margherita di quattordici anni, bella come un fiore
per difendere suo padre, sessagenario Gaudenzio Guicciardi,
lasciò la vita in quell’orrenda strage solo per grande amore.
Non solo! Con gran fervore faceva strage Giovanni Guicciardi
da Ponte in giù e in Val Malenco infervorava i congiurati
di porre mano in quel di Sondrio e di non indugiar e far tardi.
Il Governatore scampò all’eccidio, subito si ritirò nei Grigioni.
Sessanta fuggirono per la Val Malenco andando in Engadina
ma ben centotrentotto furono uccisi tra campi, case e androni.
Ma non fu finita ! Per giorni e giorni vi fu una gran caccia
tra monti, valli, selve e grotte in tutta la Valle e anche oltre
alla ricerca dei Riformati che più non si voleva veder traccia.
Anche frati e preti, pastori del popolo di Dio, si misero in lotta,
i servi contro i padroni, ognuno facendo i propri interessi,
la ragion di fede Cattolica e Protestante fu una scusa galeotta!!!
Furono 400 è più gli uccisi in quella ribellione contro i Grigioni,
ma sol pochi decine furono i Grigioni, i più erano Valtellinesi
o quelli rientrati dal confino che volevano adire le loro ragioni.
Questo racconto, che i nostri anziani ci narrano a bassa voce,
ci ricorda che quella fu una lotta di potere ingiusta e assai crudele
tra due popoli,con fedi diverse,ma unite nel simbolo della Croce.
Epilogo
I fatti raccontati danno testimonianza che dove c’è violenza
fisica e morale per imporre ogni cosa, dove non c’è amore,
non vi può essere mai pace e nemmeno buona accoglienza.
Questa rivolta fu chiamata anche “Sacro Macello” ma di sacro
non ha nulla. Forse poteva essere evitato se nei popoli in lotta
ci fosse stata più umanità e tolleranza e non un masssacro
tra Valtellinesi e Grigioni per patti non rispettati di convivenza.
E se per ragion di Stato, la diversa religione fu cavallo di Troia
di due popoli per appiccare il fuoco in Valle e con la violenza
a vantaggio dei Nobili e Signori usando il cittadino per lor pretese,
si sappia che questo modo di fare è spesso usato da chi comanda,
Dio darà un sereno Giudizio a questa Rivoluzione Valtellinese.
» QUI per il testo di Ezio Maifrè (Méngu) in dialetto tiranese
e, in calce a quel post, accesso al file mp3 per sentirne
la lettura fatta dallo stesso Méngu
(IntornoTirano.it, 19/07/2020)