Sono giorni e giorni, a dire il vero anni, che mi batto, mi scontro e costruisco la necessità di dar voce ai miei alunni, i miei piccoli alunni, perché insegno in una Scuola dell’infanzia e i miei alunni sono quelli che si raccontano attraverso i disegni, le frasi a metà tra la voglia di dire e il non poter dire, perché come gli abbiamo insegnato noi adulti: “non sta bene”.
È con loro che proprio in questo periodo, il periodo che ci impone una didattica a distanza io sto cercando di combattere l’inevitabile distanziamento sociale, e di praticare quella che ha ben definito una mia collega: la didattica della vicinanza. Quella didattica che prima di proporre l’ascolto di una storia si ferma e fa raccontare i bambini, quella didattica che li ascolta, che è aderente che ha come pilastro fondante il qui e ora. La didattica dalla quale è nato il nostro libro: La Corona di Virus raccontato ed illustrato dai bambini per i bambini e che racconta come i bambini trascorrono in questo periodo le loro giornate o dei loro audiomessaggi dove oltre ad augurarmi la buonanotte mi dicono che si sentono un po’ annoiati e tristi.
L’altro giorno però, mentre ero a tavola con mio figlio e mio marito, mi sento ribadire, da loro, che sembra quasi io lavori più di prima... poi nel momento in cui le loro parole si vanno a depositare nei miei pensieri, confermandomi la certezza che dà il conforto del valore di quel che sto facendo, il commento di mio figlio apre uno scenario importante che con estrema delicatezza spalanca la porta ad una richiesta di aiuto. Mi dice, “Mamma, che bello che pensi a loro, ti fa onore... ma chi pensa agli adolescenti come me?”
I professori che si sono reinventati anche loro con un inevitabile scadenzario, fanno scalette di videolezioni, ma quanti hanno avuto la volontà o la possibilità di soffermarsi con questi ragazzi per chiedergli di raccontarsi?
Diego perché questo è il nome di mio figlio, si racconta attraverso i suoi acquari e la sua cameretta, lui che vive per i suoi pesci betta ora più che mai, visto che gli hanno proibito di viversi la sua adolescenza, sceglie il suo mondo sommerso fatto di piante galleggianti, sbalzi di temperature, l’accudimento nel calibrare cibi e la felicità di un accoppiamento che ha portato alla nascita di tantissimi piccoli, quasi invisibili esserini. Ecco la VITA!
Lui che con attenzione rimane ore ore incantato dinanzi a puntini galleggianti, che, mi conferma (quando io nonostante i miei occhiali fatico ad individuarli), diverranno meravigliosi pesci e avranno pinne coloratissime e di forme diverse. Lui che si è inventato un programma domenicale online per condividere tempo e passione con gli altri e che dinanzi alle mille proibizioni, si ostina così a difendere la sua adolescenza. La cosa che mi ha fatto pensare di più è la scelta di allevare proprio questi pesci e di farlo poi in questo momento storicamente così delicato. Mi continuavo a chiedere perché i pesci betta… poi ho capito quando ho visto con i miei occhi che affinché avvenga il meraviglioso miracolo della nascita il maschio e la femmina, dei pesci betta, dopo una lunga danza di corteggiamento, per procreare, hanno bisogno di ABBRACCIARSI, sì non scherzo si abbracciano! Un abbraccio che inonda l’acquario di piccole uova che una ad una il maschio conserverà in una delle centinaie di bolle che galleggiano, che vanno a formare un nido dall’architettura perfetta, da lui stesso sapientemente creato. È così che Diego ostinatamente continua a sostenere, tra le sue turbolenze adolescenziali di ormoni impazziti, che non esiste VITA senza amore, e che non dobbiamo arrenderci perché anche l’uomo presto tornerà ad abbracciarsi!
Bella lezione, grazie figlio mio!
Roberta De Horatis
Mamma di un adolescente durante il Covid19