Giovanni Conca lo conobbi alcuni anni or sono, a Chiavenna, nel corso di una manifestazione indetta dalla locale Società operaia per celebrare il 1° Maggio, festa dei lavoratori. Parlammo a lungo della sua esperienza come partigiano. Trovando molto interessante quanto diceva, lo invitai a rilasciarmi uno scritto. Cosa che puntualmente fece, consegnandomi, qualche mese dopo, il suo diario intitolato IL BIVIO. Effettivamente si trovava in un bivio quando, nel giugno ‘44, la RSI chiamò alle armi i giovani della classe 1926, la sua. «Parte dei giovani aderirono, parte invece si unirono agli sbandati già esistenti sui monti», racconta; ed aggiunge: «L’uomo, se tale, deve scegliere una via, solo il codardo si adagia e sta a guardare».
Giovanni scelse le montagne. Da allora cominciò una lunga, sofferta stagione contrassegnata dal freddo di un inverno particolarmente rigido, dalla fame che rode lo stomaco, dall’isolamento nei monti del chiavennasco, dalle marce forzate per trovare un rifugio sicuro, dalle azioni di sabotaggio e di guerriglia nei confronti dei tedeschi e dei fascisti. Il 1° aprile si trovò con un gruppo a Samolaco San Pietro, dove incontrò Giulio Chiarelli, sempre perseguitato dai fascisti. Si formarono due gruppi: uno, più consistente, guidato da Tiberio (Pietro Porchera, comandante della 90ª Brigata “Zampiero”) col compito di attestarsi sulla Val di Lei, ed un altro, del quale faceva parte Giovanni, avente come base Samolaco. Si ammalò di pleurite, ricevette le prime cure, prima dal Dr. Lavanese (ex marina) e poi dal Dr. Bombaglio di Novate Mezzola. Il 26 aprile ’45, mentre si stava rimettendo, un suo compagno partigiano gli comunicò che era imminente la Liberazione della valle. «Saltai dal letto come un capriolo, così abbandonai la terapia in corso… presi il mitra e, col partigiano che mi aveva dato la notizia, ci unimmo al distaccamento di Caio… Attaccammo la caserma dei tedeschi a Campo… fatti prigionieri i tedeschi… ci recammo a piedi a Chiavenna… ci unimmo ad un gruppo di partigiani armati guidati da Nicola…», ha scritto nel suo diario.
Il 27 aprile, da Pratogiano, scesero verso Chiavenna ed ebbe inizio l’attacco della caserma della Milizia confinaria alla Specola. Dopo una sparatoria i fascisti si arresero. Si arresero anche le Brigate Nere situate all’albergo Nazionale e i tedeschi all’hotel Corradi di Piazza Castello. Tutti ci consegnarono le armi. «Verso le ore 12 mi trovai in piazza Municipio finalmente libero, senza più neve sotto i piedi, in mezzo alla gente che mi salutava con gioia. Non dovevo più nascondermi, basta con le lunghe marce…Dopo arrivarono gli altri partigiani con Tiberio e con i nostri morti caduti nella battaglia dell’Angeloga».
Questo, in estrema sintesi, il racconto, del tutto privo di retorica, ma ricco di contenuto, di un partigiano che ha fatto il proprio dovere fino in fondo, che ha sofferto e combattuto per la Libertà, perché così gli sembrava giusto fare Senza odio, senza rancore. Nel suo diario ha scritto: «Anche i tedeschi e i fascisti combattevano per un ideale, ...e fecero la loro scelta…» Tu, caro Bruno, ne facesti un’altra. Quella giusta. Ti ricorderemo sempre.
Sergio Caivano