Le eroine bibliche e della storia antica sono le protagoniste dell’importante mostra londinese (National Gallery) dedicata ad Artemisia Gentileschi Giuditta, Cleopatra, Ester, Susanna e Giaele, raffigurate con soluzioni teatrali e drammatiche da una sensibilità assolutamente femminile. L’esposizione e il catalogo sono a cura di Letizia Treves, mostra aperta fino il 26 luglio 2020.
«Un miracolo della pittura, più facile da invidiare che da imitare», così i contemporanei definivano Artemisia, come si legge a margine di un’incisione di Jérome David tratta da un autoritratto perduto dell’artista. Rientrata a Roma dopo i sette anni fiorentini, la pittrice è ormai una leggenda e sono in molti a volerla ritrarre. Simon Vouet, maestro francese, tra i massimi interpreti del caravaggismo, ce la mostra con pennelli e tavolozza nelle mani, l’abito giallo zafferano dall’elegante fusciacca blu, lo sguardo impavido e i capelli stranamente corti che mettono in mostra la perla dell’orecchino. «È uno dei ritratti più rappresentativi del Seicento europeo», commenta Francesco Solinas, critico d’arte e profondo conoscitore dell’artista. «È un’immagine parlante, che descrive le sembianze e l’intensa natura della donna appena trentenne nella prodigiosa congiuntura del suo primo trionfo romano». L’opera di Vouet, ora esposta alla National Gallery, è l’unico ritratto conosciuto dell’artista nella sua veste quotidiana, fuori dal palcoscenico delle sue protagoniste bibliche. A individuarla con certezza un piccolo gioco enigmatico archeologico che non è sfuggito agli storici dell’arte: il medaglione appeso sul corpetto di raso dove compare un edificio a pianta circolare e la scritta «Mausoleion». Si tratta del Mausoleo edificato ad Alicarnasso dalla principessa Artemisia per il defunto Mausolo, suo fratello e marito. Fu Cassiano dal Pozzo, studioso e collezionista, tra i molti estimatori di Artemisia, oltre che collaboratore dei potenti cardinali Barberini e del Monte a commissionare il ritratto, recentemente acquistato dalla Fondazione Pisa per Palazzo blu ed entrato nelle sue collezioni. Un importante omaggio ad Artemisia e Cassiano che, come Orazio, hanno avuto stretti legami con la città toscana.
Giuditta decapita Oloferne (Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte)
Nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, Giuditta, che escogitò un piano per uccidere il generale assiro vittorioso, incarnava virtù nobili come la castità e il coraggio, ed era associata alla Vergine Maria. Alcuni artisti cinquecenteschi esaltarono la bellezza della giovane vedova che sedusse Oloferne con le sue grazie e con l’inganno lo attirò alla morte, Artemisia, appena diciannovenne, riuscì a creare una delle più credibili e insieme potenti rappresentazioni dell’eroina biblica, fondendo un approccio pragmatico – in che modo due donne potevano sopraffare un uomo – e un insieme compositivo veramente esplosivo, che trasmetteva l’idea del potere femminile, preannunciando la dirompente drammaticità del barocco.
Autoritratto come suonatrice di liuto (Minneapolis Curtis Galleries)
La Suonatrice di liuto fu dipinta a Firenze attorno al 1617-18 ed è il quarto autoritratto della pittrice. Come molti suoi colleghi, sin da giovanissima, l’artista suonava il liuto ed è più volte ipotizzato di riconoscerla nel bellissimo Ritratto di fanciulla che suona il liuto (1608-circa) dipinto dal padre e oggi conservato alla National Gallery di Washington. Amica di Bellerofonte Castoldi, illustre compositore per liuto e tiorba, conosceva bene la musica. Raffigurata nel fulgore dei suoi trent’anni, il quadro ritrae Artemisia con estrema precisione e attinenza al vero, come imponeva la commissione da parte del suo protettore, il cavalier Cassiano dal Pozzo.
Giaele e Sisara (Budapest Szépmüvészeti Muzeum)
Storia dell’Antico Testamento (Giudici IV, 17-24) celebrante la forza e l’efficace dell’azione divina contro il male attraverso i più deboli, la vicenda narra della donna beduina Giaele che uccise nella sua tenda il generale cananeo Sisara, nemico d’Israele. Giaele è in ginocchio, saldamente piantata a terra per sferrare con la massima forza il colpo fatale alla tempia del cananeo. Vestita con sfarzo, l’eroina indossa una veste in seta gialla e corpetto gallonato, ed è ornata di grossi orecchini di perle. La scena è ritagliata in un “piano americano”, di un’estrema concentrazione, un silenzio intimista e una caravaggesca drammaticità dei lumi, assolutamente originali e intensi.
Artemisia ci racconta la storia di questi soggetti mitologici e biblici e ne dà una interpretazione assolutamente femminile. L’artista, in quanto donna, poteva ben capire cosa provavano Susanna e Giuditta ed era capace di riprodurre le sue protagoniste con eccezionale sensibilità e concretezza.
Proprio a questo suo coraggio dobbiamo altre opere di profonda complessità psicologica. Come quando la paura diventa protagonista principale della scena. Non solo nelle molte Susanne che cercano di opporsi ai vecchioni, ma anche nella calda complicità tra Giuditta e l’ancella Abra subito dopo l’uccisione di Oloferne, quando con la testa mozzata adagiata su un cestino, devono uscire dall’accampamento nemico.
Qui si racconta l’ansia e il terrore di essere scoperte in maniera assai più palpabile che nello stesso soggetto dipinto dal padre. Le due opere in mostra e nel catalogo sono messe a confronto. L’immagine del padre è molto raffinata, ma la figlia, comprimendo la composizione, la rende più drammatica con il sangue che esce dal cestino e con quel tocco della mano sulla spalla dell’ancella che sottolinea l’urgenza.
L’esposizione della National Gallery e il catalogo seguono attraverso le opere tutta la vita della pittrice e la sua grandezza di artista temeraria, ardita, spesso contraddittoria nell’ambizione costante di crearsi una rispettabilità, lei che per prima infrangeva le convezioni sociali.
M.P.F.