Secondo T.S. Eliot (The waste land) “Aprile è il più crudele di tutti i mesi, genera lillà dalla terra morta, mescola memoria e desiderio, desta radici sopite con pioggia di primavera”. Balzano subito alla mente quei versi procedendo nella lettura de Il giardiniere cieco di Guglielmo Aprile, che già nel titolo induce a sofferenza ed anche a chiederci se voglia sottolineare una contraddizione fin dall’inizio. Intrigante questa strana coincidenza, infatti la complessa ma interessante raccolta di Aprile trasuda dolore e sembra raccogliere tutto quello del mondo in cui viviamo. Senza respiro alcuno.
L’occhio che indaga sulla realtà esterna riesce a selezionare solo immagini di decadenza, rovina, violenza, con un registro linguistico che offre chiavi di lettura attraverso “imbratta”, “ruggine”, “zanzare morte”, “latte sporco”, “boccone di fango”, “crepe”, “ossa tritate”, “tanfo”, per citarne solo alcune. Oppure immagini di “Dio che scuote le mosche dalle corna”, o del pensionato che spara ai gatti, o della “tremenda rosa nera/ che incombe, che sorge sui nostri miti paesi”. Oppure sentenze-riflessioni come “uccidi o morirai”.
Attraverso le varie sezioni, Cozze d’allevamento, Sindrome di Cotard, Fitta sotto lo sterno, Le cateratte insonni, La scoperta del cinematografo, si assiste ad un climax ascendente di paura, di desolazione, fino alla catastrofe. Anche i segni che provengono dall’ambiente sono letti in modo drammatico, gli oggetti, le case stesse soffrono, hanno qualcosa di canceroso, e il crollo si fa vicino sempre più.
L’umanità che trascina la sua vita come un gregge guidato da volontà e stimoli creati da altri, non più libera di scegliere e ormai abituata a vivere in questo condizionamento senza nemmeno vederne i limiti, non ha più nessuna ragione per entusiasmarsi. Perde valore il vivere stesso, “vivere diventa assurdo” ma “forse siamo già morti e non lo sappiamo”. È una umanità disorientata, che avrebbe bisogno di ritrovarsi, che invece avanza senza sapere dove è diretta; privo di valore e personalità l’uomo è un animale braccato in cerca di un rifugio, di una tana, senza alcuna fiducia nel futuro: “la prossima vita/ la passeremo a grattare/ filamenti di ruggine e alghe/ dalle carene delle barche in secca”.
Non appare alcuna solidarietà umana né fede a dare respiro, in questa visione allucinante del mondo dove immagini crude si accostano talora con un legame che si percepisce solo nella mente dell’autore, quasi in una sequenza schizofrenica e pertanto surreale.
L’unica sicurezza appare l’infanzia, ma quella è lontana – “la nostra andatura è simile/ a chi ha compreso che l’infanzia è passata per sempre” – e sono scomparse le figure di riferimento che l’hanno resa preziosa, insieme al loro profumo “il profumo che fu/ della maestra ai tempi dell’asilo”.
Se la vita si svuota e diventa assurda, “morire è scrivere l’ultimo verso/ l’ultima parola in fondo alla pagina/ conclusiva, di un best seller mancato”.
Marisa Cecchetti
Guglielmo Aprile, Il giardiniere cieco
Transeuropa, 2019, pp. 64, € 15,00