Grazie alla mostra “Bacco e Arianna di Guido Reni. Singolari vicende e nuove proposte” curata da Andrea Emiliani e in esposizione presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna fino al 15 novembre 2018 (Catalogo NFC edizioni), l’affascinante e complicata storia del famoso dipinto perduto Bacco e Arianna di Guido Reni (1575 – 1642), uno degli artisti più importanti nel panorama europeo del Seicento, si arricchisce con nuovi tasselli, intriganti particolari e interessanti prospettive di confronto.
Infatti, dopo ben quattro secoli dall’esecuzione, torna per la prima volta in Italia, in quest’occasione, il dipinto Bacco e Arianna nell’isola di Nasso, dalla collezione privata dell’Uruguay, che Andrea Emiliani, uno tra i maggiori studiosi di Guido Reni, dopo anni di ricerche ha attribuito a Giovanni Battista Bolognini (1611 – 1688), miglior allievo e collaboratore degli ultimi anni di attività del Reni. Questo quadro, pressoché coevo alla versione commissionata da Papa Urbano VIII per Enrichetta Maria di Borbone, dovette essere realizzato tra il 1640 – 1642 circa nella bottega del Reni.
Così afferma Andrea Emiliani nel catalogo della mostra: «il Bolognini diviene la spalla destra per il lavoro tardo di Guido, e porta la sua collaborazione fino all’esecuzione di una replica – che deve così considerarsi di bottega – della grandissima tela di Bacco e Arianna a Nasso. Sulla base delle numerose testimonianze superstiti, sia pittoriche che grafiche ed incisorie, si può identificare in questo dipinto una copia dall’Arianna a Nasso di Guido Reni. Celebrato dalle fonti, ma sfortunato: esso è giunto vicino alla sua possibile distruzione. La recente tela è copia forse ordinata al Bolognini dallo stesso Reni vecchio».
L’articolata storia delle Nozze di Bacco e Arianna eseguite da Guido Reni per la Corona d’Inghilterra è ben nota per gli studiosi di storia dell’arte.
La complessa vicenda ha inizio nel 1637, con la commissione di Papa Urbano VIII e del cardinale nipote Francesco Barberini a Guido Reni delle Nozze di Bacco e Arianna, ambiziosa opera di imponenti dimensioni, da recapitare alla cattolica Enrichetta Maria di Borbone, moglie del Re d’Inghilterra Carlo I Stuar. La composizione doveva ritrarre il mito antico delle vicende che, perduto Teseo sulla spiaggia deserta di Nasso, assiste al sopraggiungere di Bacco, introdotto da Venere e accompagnato dal consueto corteo. L’opera destinata a onorare il soffitto della camera da letto della Regina, era un omaggio nunziale per riallacciare i rapporti diplomatici in vista di riguadagnare terreno per la causa cattolica nell’Inghilterra anglicana, volendo rappresentare una sorta di allegoria di una ritrovata comunione religiosa tra l’Inghilterra e la Chiesa Cattolica di Roma.
Dopo un lento avio causato da criticità stilistiche e iconografiche, il maestro Reni riesce a terminare l’opera nel 1640, inviandola a Roma. La partenza del dipinto da parte del Papa alla Regina tarda, però, ad arrivare perché ostacolata dai drammatici sviluppi della rivoluzione puritana e della crisi del papato Barberini. La regina Enrichetta è costretta a scappare in Francia, sua terra natale, a causa dei disordini della guerra civile inglese, ma alla corte francese riesce a ricevere finalmente il dono papale. Il dipinto, però, nel 1650 viene venduto, per far fronte alle diverse spese economiche del regno, a Michel Particelli d’Hemery, il quale, secondo la romanzata biografia di Guido Reni contenuta nella Felsina pittrice (1678) di Carlo Cesare Malvasia, lo smembra per agevolare l’immissione nel mercato collezionistico. Da qui risale il frammento della ritrovata Arianna della Fondazione Mahon e in deposito dal 2003 alla Pinacoteca Nazionale di Bologna.
Data la grande notorietà che la rappresentazione di Bacco e Arianna aveva all’epoca, il papato e l’alta nobiltà scelgono di commissionare sempre al Reni dei prototipi del noto dipinto, su scala sia ridotta sia reale. Da qui, infatti, provengono la prestigiosa replica riferita a Guido Reni, Antonio Giarola e Giovanni Andrea Sirani dell’Accademia di San Luca di Roma eseguita per il cardinale Giulio Sacchetti, così come la copia delle Gallerie Barberini e Corsini a Roma, esposte nella suddetta mostra.
Ed è qui che si colloca anche il dipinto attribuito al Bolognini: il grande impiego del prezioso blu di lapislazzuli, a definire la dominante cromatica del dipinto del Bolognini come in quello del Reni, ribadisce che l’artista abbia probabilmente lavorato sotto l’accurata guida del maestro, assecondandone le direttive. Ricostruire la storia e risalire ai vari personaggi di proprietà di questo dipinto non è stata un’impresa facile per gli studiosi: il dipinto fu, infatti, commissionato a Guido Reni tra il 1640-1642 e, successivamente, grazie alla presenza di un sigillo pontificio apposto sulla sua struttura lignea, è giunto al Papato, dal quale fu poi spedito in Inghilterra a Lord Bertram Ashburnham, che scelse a sua volta di venderlo nel 1850, sempre presso Christie’s. Dall’Inghilterra il dipinto arriva in Sud America a Rio de Janeiro, per poi passare per l’Argentina (Buenos Aires) facendo parte di una delle più prestigiose collezione d’arte private del paese, per passare infine in Uruguay, nella collezione privata Montevideo. Quest’ultimo prezioso dipinto inaugura la nuova pagina nella travagliata storia del dipinto perduto del maestro Guido Reni, restituendo allo sguardo l’identità formale della grande “macchina” decorativa che furono le Nozze di Bacco e Arianna.
Come afferma infatti Andrea Emiliani, «questa nuova acquisizione, di carattere privato, non potrà che giovare al riconoscimento della incantevole bellezza» del frammento del dipinto originale di Guido Reni, conservato alla Pinacoteca di Bologna.
Negli ultimi due anni, fra il 1640 ed il 1642, è notizia che Guido arresti quasi del tutto la sua attività: o meglio, la limiti ad una progettualità continua, un abbozzo e un’incompiutezza dove ormai si misura la temperatura del primo romanticismo, delle sue contraddizioni tra universale e individuale. Nata mezzo secolo prima come contaminazione fra mondo cattolico e memoria dell’antico, nella quale stringere le crudezze del presente, l’espressione poetica dell’artista sembra alla fine ribaltarsi in una rappresentazione così personale da essere quasi solitaria nell’Europa di metà Seicento e fra i suoi grandi miti decorativi e ornamentali.
Guido tornerà come profumo, un’anima – piuttosto che un corpo – in tanta parte del sentimento stilistico del Settecento. La sua sarà ricordata come una sensibilità mozartiana da Stendhal. Così, dalla radiosa apparizione dell’eterno mito della bellezza metafisica fra le rovine dell’esistenza, egli toccherà anche le corde della disillusione e della tragedia sentimentale.
Maria Paola Forlani