Se è vero, come dice Jacobellis nella silloge A lezione di sogno, che “siamo frammenti di favole”, allora per lui l’esistenza diventa inesistente “tra l’irrealtà del quotidiano e del mistero”. È così distaccata da terra, collocata nel sogno, la vita, che non ci rendiamo conto del farsi degli eventi sotto i nostri occhi?
In realtà della vita egli scopre anche il disagio, ed è ben consapevole che se non vivi pienamente non puoi aspettarti l’oltre, la luce: «Quando arrivi agli orizzonti/ se non hai attraversato la tempesta/ l’arcobaleno/ non può appartenerti». Proprio perché la vita ci porta tempeste e se ne capisce la meraviglia solo a dolore superato -nella accezione leopardiana- proprio per questo l’approdo alla dimensione del sogno resta una via di fuga e di sollievo.
Questa sua ricerca della dimensione onirica non implica infatti una mancanza di presa di coscienza del reale, con le sue storture ed i suoi drammi, con «il disordine inquieto/ che abita il cielo dei vivi», rimane invece un modo per superare e sopportare le tempeste, sviluppando una indispensabile resilienza: «Resistere vuol dire/ esistere ancora/ continuare a vivere/ anche quando l’inverno/ ha inaridito i frutteti/ e gli alberi, muti,/ hanno perso le loro/ parole di foglia:/ se ti pugnala il vento/ non mostrare le ferite».
È trasversale alla silloge -già presente in precedenti raccolte- una diffusa nostalgia di vita, e torna il vento come ladro di tempo. C’è un tendere all’eterno, in una fiducia nella continuità dell’esistenza -vita ed oltre la vita- che cancella la paura della morte quando l’anima “sta crepuscolando” e la candela si consuma.
Appartiene al sogno la possibilità di trovare la chiave per fermare il tempo, o di mascherarlo percorrendolo a ritroso, perché il tempo sarà Atropo che taglierà il percorso senza provarne dolore: «il tempo è la sintesi/ che inverte ogni storia/ ci segue da nemico/ in parallelo». Esserci, nella vita, è un incanto destinato a “rimanere incompiuto”.
C’è un costante recupero di immagini di leggerezza, ma anche di luce, siano esse le nuvole, il canto di un usignolo, un’alba lontana, l’oriente che si incendia, il volo, la luce di lampioni nella nebbia. E soprattutto il cielo, l’infinito da cui lasciarsi riaccogliere, perché ne facciamo parte, siamo suoi brevi momenti: «C’era un breve infinito/ nell’attimo assoluto/ che ti ha attraversato/ ed è dileguato».
Marisa Cecchetti
Gianfranco Jacobellis, A lezione di sogno
Biblioteca dei Leoni, 2018, pp. 190, € 12,00