Ecco che torno, con le suole consumate
e ansia di perdono, al suono delle campane
che spezza la fatica e scuote l’anima,
al silenzio lieve dei monti, ai vapori del fiume
sempre in corsa. Tacciono qui
i rumori malvagi delle lotte assassine, il lamento
e la furia che s’alzano dai fossati dell’odio
e della pena, e canta la città del cuore
le vie scoscese ardenti di papaveri e cardisanti,
l’oro delle ginestre e il guizzare dei ruscelli
tra i ciottoli, il passo del tempo
e dei viandanti. E cerco fra le mura diroccate
il rametto d’ulivo dell’ultima pasqua
– mai più si sgozzino agnelli – e nel lembo d’orto
l’ultimo frutto e semi da trapiantare
altrove, da altre mani, con altri riti,
sulle nuove terre da ingemmare.
Maria Lanciotti