Verde, poi giallo, infine nero...
Ai bambini di Addis Abeba, Gambela,
Pinkyo, Opagna e Gomma
Verde, poi giallo, infine nero...
le erbe bruciate per disinfestare
con il fumo, per fertilizzare
la terra, generosa verso la selva,
avara con l'uomo.
Lungo la strada un donna
con un bambino in braccio
e l'altro per mano.
Un uccello dal petto azzurro,
immobile sullo sfondo del cielo.
Si snoda l'asfalto fino al Sudan
e poi geme interrotto
da una guerra non dichiarata.
Impastoia la luce del sole
che cresce, furia muta ab origine.
Quante donne e bambini e ragazze
a piedi nudi ho veduto
in questo viaggio nel centro
del mio malessere, nel nucleo
dell'umanità che vorrei?
Stordito dalle parole, dagli sguardi
e dai sorrisi di quest'infanzia
incontrata per caso, dai canti
che liberano l'energia del Creato,
e si muove ciò che inerte giaceva
nel mio povero cuore,
So che tornerei anche se non so
se sarà più, se sarà mai.
Nel conflitto delle identità
che cosa prevarrà?
Che cosa ci attende oltre le piane
arse, oltre gli acrocori,
oltre il gran mare che divora,
che sveste come mantice d'idra
imbarcazioni di esseri umani in fuga?
Che cosa ci rimane nel senso
della pietas smarrita?
I sorrisi di quei bambini,
le piccole mani tese a stringere
la tua, grande, vetusta, inutile.
Che cosa ci rimane contro l'amorfa
serpe dell'abitudine?
Quei sorrisi e i canti che dimorano
sulle labbra, fra i denti,
come lucenti, pure stelle.
Alberto Figliolia
Cammineranno in Africa i miei scarponi
Cammineranno in Africa i miei scarponi.
Li ruppi in un aeroporto occidentale,
scintillante di negozi griffati.
La suola si era staccata
penzolando come quella sera di novembre
nel corridoio di una dimora di Addis Abeba
mentre fuori risuonava dall'altoparlante
– petulante, struggente, monotono, ieratico, stridulo –
il canto dalla vicina chiesa ortodossa.
Incontrai un sacerdote del Tigrai
– alto, affabile –
sapevamo che aveva bisogno per la sua gente
e gli donai i miei scarponi dalla suola penzolante
che mi avevano seguito per ogni dove.
In fondo bastava soltanto un po' di colla
o di mastice e sarebbero stati come nuovi;
un po' di colla o di mastice, ciò che serve
per riattaccare talora i pezzi e i frammenti
– tale è la potenza dell'illusione! –
delle nostre stesse esistenze.
Ora so. So che cammineranno in Africa
i miei scarponi: altri piedi li calzeranno
per calpestare terra rossa o sabbia
o polvere o fresca erba;
ancora essi saranno preda
della fatica quotidiana,
ma questa pena umana sarà più tenue,
più lieve, perché condivisa dai miei piedi
lontani, spersi in altre geografie
e compassionevoli, solidali
con quegli altri nella latitudine del sole:
i miei e i suoi scarponi...
i miei e i suoi piedi...
fratelli lontani e vicini.
Alberto Figliolia