“Ci sono più segni che alberi in America. Ci sono più segni che foglie. Per questo penso a me stesso come a un pittore del paesaggio americano” (Robert Indiana)
“Per me la vita dell'artista è la più libera che si possa condurre, e vivere una vita libera è stato il mio primo proposito nel divenire un artista, e non solo il fatto che amo dipingere, che amo disegnare o che lo faccio compulsivamente o qualcosa del genere” (Robert Indiana)
Se avesse preso un centesimo di dollaro, un piccolo insignificante centino, per ogni volta che hanno raffigurato e ripreso il suo LOVE – scultura composta da lettere giganti che formano tale parola (con la O inclinata) – Robert Indiana sarebbe l'essere umano più ricco sulla faccia del pianeta. Altro che J.K. Rowling con il suo Harry Potter! Ma di certo la ricchezza non era fra le priorità di Robert Indiana, aka in origine Robert Earl Clark, nato a New Castle, USA, il 13 settembre 1928.
Così come il nostro si sarà ben fatto un baffo dell'appellativo, pur meritato e corrispondente al reale, di “Icona pop”.
Del resto come definire un artista a tutto tondo – scultore, pittore, scenografo e costumista, allestitore-ideatore – spinto da una potente necessità creativa abbinata al desiderio di raccontare criticamente il mondo? Un idealista pragmatico, un intellettuale senza intellettualismi, un anticonformista senza vezzi, un faber controcorrente e altamente immaginativo, nel quale gli stilemi dell'arte commerciale si sono ricomposti con le contemporanee ansie esistenzialistiche, con quelle di una società liquida (alla Bauman) o in strano arduo divenire, con un fiato anticonsumistico e con la sperimentazione semantica.
Ne sono nate opere d'immensa suggestione, in apparenza semplici, delle “poesie scultoree” – come definite dal loro artefice –, una sorta di monumentali haiku verrebbe da dire. Che si tratti di assemblaggi, pitture, sculture, il campo di basket disegnato per la franchigia NBA di Milwaukee, che usi il legno, l'alluminio e i colori l'effetto iconico, il “messaggio” è potente, diretto, efficace.
L'arte di Robert Indiana è sociale nella sua grandezza e funzionalismo estetico. Ciò che viene ben rappresentato dalla mostra dedicatagli dalla Pinacoteca Comunale Casa Rusca a Locarno visitabile sino al 13 agosto. Nella splendida magione settecentesca si trascorre dalle versioni di LOVE (alluminio policromo, ma anche acquaforte e acquatinta) – «Non avevo idea che LOVE avrebbe catturato tanto l'attenzione. Sembrerà strano, ma non pensavo minimamente di anticipare la generazione dell'amore e gli hippies. Era un concetto spirituale» – alle serigrafie con Marilyn, dai grandi e stilizzati numeri all'installazione Rum run (Piccola barca a remi, legno, vernice dorata, resina, fibra ottica, lana, uniforme “Old Fellows”, 325,1 x 134,6 x 45,7 cm), da The Electric EAT (alluminio policromo e lampadine) a New Glory Banner (olio su tela, 232,4 x 152,4 cm), con le stelle della bandiera americana a disporsi in un simbolico e perfetto (?) cerchio.
Che Indiana sia un artista impegnato e attento è reso peraltro palese dall'emblematico The Calumet (serigrafia, 99 x 81,3 cm, 1971), una speciale dedica moderna alla sventurata epopea dei pellerossa, i primi abitatori del Grande Paese: Hurons, Ojibways, Delawares, Mohawks, Choctaws, Camanches, Pukwana, Shoshonies, Blackfeet, Mandans, Dacotahs, Pawnees, Omahas. Il rosso e il giallo a dominare, cerchi scintillanti e stelle dalla tenue luce in un'armonia sommamente allusiva a storie antiche, quasi perdute nell'oblio collettivo della contemporaneità, nell'assordante indifferenza dell'imperialismo finanziario, ideologia egoistica e distruttrice.
Spettacolare è poi l'acrilico su tela Circus (1977, 261,6 x 297,2 cm), vera materia sognante, e non da meno la struttura Indiana (1979 ca., olio, gesso, ferro, corna, legno, erma, 298 x 91,4 x 61 cm, ruota 280 cm): un'altra dedicazione... alla propria terra d'origine, a coloro che l'abitarono, e forse pure a sé stesso, quasi una dichiarazione ispirativa d'intenti.
E i numeri... Two e Six (alluminio policromo, rispettivamente 198 x 188 x 102 cm e 198,1 x 188 x 96,5 cm) giganteggiano con il proprio significato, dichiarato e recondito, segreto pitagorico e chiave dello scorrere dell'esistere... «I numeri riempiono la mia vita. La riempiono persino più dell'amore. Siamo immersi nei numeri fin dal momento della nascita. Amore? L'amore è come la ciliegina sopra la panna montata. Le nostre stesse vite sono strutturate sui numeri. Compleanni, età, indirizzi, denaro: dovunque ti giri ci sono numeri. La tua camicia ha sei bottoni. La stanza ha quattro pareti. Siamo circondati dai numeri. […] Ogni cosa che facciamo è scandita dai numeri. Ogni giorno, ogni minuto di ogni giorno... to', guarda il mio orologio da polso. Ogni secondo è un numero diverso. I numeri brulicano intorno a noi. Non li riconosci?» Come un 2 o un 6 possono assurgere al rango di poesia...
E che dire dei giganteschi ideogrammi dipinti su tela accostati a una giraffa di stoffa? Incroci e contaminazioni. Un lavoro senza figure umane che richiama continuamente la società umana e i suoi frutti, i suoi guasti, le sue meraviglie.
Alberto Figliolia
Robert Indiana. Pinacoteca Comunale Casa Rusca, piazza Sant'Antonio, Locarno (CH). Fino al 13 agosto 2017.
Orari: da martedì a domenica 10-12/14-17, lunedì chiuso.
Info e prenotazioni: tel. +41 (0)917563185/70; siti Internet www.museocasarusca.ch, www.locarno.ch, www.facebook.com/Pinacotecacasarusca, www.instagram.com/casarusca.