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Francesco Cecchini. Donald Trump President
11 Novembre 2016
 

Gli Stati Uniti hanno eletto il loro quarantacinquesimo Presidente. Donald Trump ha vinto la partita con 290 voti di grandi elettorali contro i 218 della sua rivale, Hillary Clinton. Un risultato netto, in contrasto con i pronostici e che esprime l’incazzatura degli americani e il loro rifiuto per l’establishment, rappresentato da Hillary Clinton.

La sera dell'8 novembre, gli Stati Uniti hanno vissuto un sisma politico che l’ha messo di fronte alla propria realtà sociale e in contraddizione con l’immagine di super potenza. L’élite americana non è stata in grado di vedere, capire, valutare l’impatto negativo della sua politica neoliberale e intervenzionista sull’intero corpo sociale.

Il voto a Donald Trump è stato un voto sanzione a chi non ha saputo parlare agli strati sociali marginali, o meglio marginalizzati.

Con un tasso di partecipazione del 54,2% su 230 milioni di elettori, il più basso dal 2000, in queste elezioni 2016 Donald Trump ha vinto in stati chiave come Florida, Pennsylvania, Ohio, North Carolina e Iowa e inoltre in città dell’Alaska, Utah, Montana, Idaho, Wyoming, Kentucky, Indiana, Louisiana, Missouri, Georgia, West Virginia, il Tennessee, Oklahoma, Mississippi, South Carolina, North Dakota e Sud, Nebraska, Kansas, Texas, Arkansas, Wisconsin e Alabama.

La sua rivale, Hillry Clinton, ha raccolto i voti del Nevada, Maine, Washington, Oregon, Colorado, Connecticut, Vermont, Maryland, Rhode Island, New Jersey e New York, Massachusetts, New Mexico, Delaware, Washington DC, Virginia, Hawaii, Illinois e California.

Dopo il voto gli Stati Uniti e il mondo intero si sono posti con la domanda: che cosa accadrà ora?

A questa domanda Trump ha dato immediatamente delle risposte che vogliono rassicurare, innanzitutto, ispanici, neri, musulmani, tre componenti della società americana che temono le conseguenze della sua nomina a Presidente. «È tempo per l'America di guarire le ferite della divisione, è il momento di venire insieme come un popolo unito. Sarò il presidente di tutti gli americani».

«Il nostro movimento è composto da americani di tutte le origini. Lavoreremo insieme per ricostruire la nazione».

Durante la sua campagna, Trump aveva promesso ai suoi elettori di inseguire i rifugiati, deportando milioni di immigrati clandestini di America. Va, però, ricordato che, vedendo la spaccatura tra le élite politiche ed economiche e le basi sociali, promise di frenare/superare la disuguaglianza... Denunciò la globalizzazione economica come una calamità che ha provocato molte vittime tra le classi medio/basse. Ha promesso di abbandonare il NAFTA e il TTP, affermando che «Il TPP è un colpo mortale alla produzione negli Stati Uniti».

Trump ha assicurato che abbasserà i prezzi dei farmaci, di risolvere il problema dei senzatetto, farà riforme per la tassazione dei piccoli contribuenti, rimuovere l’imposta federale che colpisce 73 milioni di poveri e aumentare le tasse per gli operatori di Wall Street, specializzati in fondi hedge che fanno fortune.

In politica estera Trump ha lanciato segnali di distensione volendo disegnare una nuova tabella di marcia, minimizzando il ruolo interventista degli Stati Uniti nel mondo e andare all'apertura con la Russia e la Cina. Conta di firmare un'alleanza con Vladimir Putin per la lotta contro l'organizzazione stato islamico, anche se il prezzo sarà di accettare l'annessione della Crimea da parte della Russia.

Dopo l’elezione decine di migliaia di persone al grido di Not My President sono scese in strada in tutti gli Stati Uniti per protestare contro l'elezione di Trump. L’interpretazione della maggior parte dei media è che queste proteste esprimano rabbia e frustrazione per il tonfo elettorale della Clinton.

In alcuni casi, però, sono, anche, un messaggio al “sinistro” Sanders, che abbandonò la partita, dando indicazione di voto per Hillary Clinton, donna dell’establishment e dell’imperialismo americano.

 

Francesco Cecchini


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