Non si dovrebbe mai morire
nel buio della notte
o in un giorno assolato
Si dovrebbe morire
in un giorno di nubi
alla luce della pioggia
ogni goccia una lacrima
e altri mondi a balenare
in quelle aguzze o pendule o sferiche o eccentriche
umide trasparenze
oppure
in un giorno di nebbia
in un soave sudario
di piani sussurri dolci gorgoglii lenti scrosci di silenzio
in un letto di consolanti pallide ombre
l'eco dei passi di chi si è amato
nella non consumata memoria del cuore
oppure
nei silenti arcobaleni
ai piedi dell'orizzonte
laddove si generano i mari le isole i sogni la materia nebulosa delle stelle
in quel tempo/luogo in cui ogni tuo atomo vibra
di coscienza e luce
per tornare
polvere nella polvere
acqua nell'acqua
e l'immobilità totale
con il fiato spento
si stempererebbe
nel corpo universale
Il corpo del padre
(A Carmelo Figliolia, Enna 28 agosto 1930 – Milano 29 ottobre 2016)
Non dovresti mai vedere
il corpo del padre invecchiare,
la pelle volgere
in rughe e macularsi...
il corpo del padre raggrinzirsi
– oltre la stessa senilità –
il respiro farsi affannoso,
lo sguardo vagare
in un luogo imprecisato
(ah le stimmate del vuoto!)
e la sua mano cercare la tua
nel soffio antico dell'infanzia...
Allora l'identità è perfetta,
col silenzio dei corpi,
del mistero della genesi:
specchio confuso,
orma di pietra,
eco di stelle.
E ancora ti guardo, padre,
camminare piano con il bastone
e fermarti per riprender fiato,
e i tuoi passi sono i miei,
lenti, metodici, stanchi,
figli di un amore
che non conosce spiegazioni.