Ha trascorso due giorni a Siviglia, dove la sera di lunedì 4 ha tenuto una conferenza sui diritti umani a Cuba. Rosa María Payá (L’Avana, 1989) si conferma degnissima erede del lascito ideologico del suo progenitore, Oswaldo Payá, di cui conserva la fede cattolica e un pensiero di denuncia sereno quanto contundente.
– Sogna ancora a occhi aperti che un giorno qualche autorità faccia giustizia per la morte di suo padre?
Non è un sogno. Sono già in possesso di un rapporto della Human Rights Fundation in cui si stabilisce che tutte le prove dimostrano che mio padre è stato assassinato da agenti della sicurezza dello Stato del Governo cubano. La verità è nota. Per il processo giuridico ci vorrà più tempo, ma stiamo cercando nei tribunali internazionali la via migliore dato che la Audiencia Nacional (Corte Nazionale, ndt) ha deciso di non riaprire il caso in quanto il Governo spagnolo ha dato per buono il processo tenutosi a Cuba a cui la mia famiglia non ha nemmeno potuto assistere: è andato bene così.
– Non hanno il minimo dubbio che possa essersi trattato di un assassinio? Non li influenza quella profezia di suo padre: “Hanno detto che mi uccideranno prima della fine del regime, ma io non fuggirò”?
Non sembra: è stato un assassinio. Ci sono le dichiarazioni dei testimoni oculari, i messaggi di testo, i primi verbali della polizia usciti quella stessa notte dall’ospedale… non c’è dubbio che si sia trattato di un attentato.
– Il regime migliora la sua facciata all’esterno: visita del presidente statunitense, arrivo del Papa, Raúl Castro che patrocina la pace della Colombia… all’album mancano pochi elementi.
Sì, il piano funziona. Ora la comunità internazionale dovrà decidere se comprare questa immagine che il Governo vuole vendere ma che non ha nulla a che vedere con il riconoscimento dei diritti fondamentali di tutti i cubani, e nemmeno degli stranieri. Si stanno ponendo le condizioni per la maggior impunità possibile del regime. E non parlo solo degli assassinii di mio padre, di Laura Pollán o delle bastonate, degli arresti arbitrari e della prigione politica: parlo di 11 milioni di cubani che continuano a vivere senza diritti e scappano come si scappa da una guerra. Cuba si sta dissanguando mentre Obama decolla dall’aeroporto internazionale.
– L’ha sorpresa l’evoluzione di Raúl Castro, che ha molta più presa di Fidel?
No, è un piano totalmente elaborato dall’intelligence. Ma la comunità internazionale è anche a conoscenza del record criminale di Raúl Castro e dell’ingerenza del Governo cubano nel resto dell’America Latina. Il Venezuela sta crollando. E tutti quanti criticano il signor Maduro, ma trascurano il fatto di avere un punto d’appoggio molto forte nel governo dell’Avana.
– Obama arriva questo fine settimana a Siviglia. Che cosa gli direbbe se lo incrociasse per un minuto?
La sua visita mi è parsa molto positiva. Per la prima volta dopo molto tempo i cubani hanno potuto ascoltare una persona libera parlare liberamente. E sono felice del fatto che Obama appoggi il diritto a decidere del popolo: che, in questi momenti di tanta negoziazione internazionale, si chieda ai cubani cosa vogliono con un plebiscito. Speriamo che finisca così e che non solo lui, ma la comunità internazionale, compresi Rajoy, Hollande, Mogherini… appoggino lo strumento del plebiscito.
– La fine dell’embargo sta portando qualche cambiamento che lascia sperare?
Il problema dei cubani non è la politica estera degli Stati Uniti. La cosa basilare di cui una persona ha bisogno per avere il pane è la libertà di lottare per ottenerlo, perché il Governo cubano la tiene sotto sequestro da 57 anni. Aumentare le sanzioni economiche è praticamente irrilevante perché la maggior parte dei cubani non ha diritti economici. Alcuni contano sui permessi per avere delle attività, ma questo non li sostiene, ad esempio, nel costituire un’azienda con un imprenditore di Siviglia: questo può soltanto investire con il Governo cubano e con un limite del 49%, perché il regime si appropria per legge del 51%. Il blocco degli Stati Uniti era secondario. La cosa fondamentale è il blocco dei diritti e delle libertà del popolo cubano.
– Aznar a suo tempo ha reclamato un’indagine sulla morte del padre. Ha chiesto una valutazione dell’ex presidente e anche di Mariano Rajoy.
Non sono nata né vivo in Spagna; la politica spagnola preferisco lasciarla agli spagnoli. Tuttavia, per quanto riguarda la coerenza con le libertà fondamentali, con la lotta contro l’impunità e con il rapporto di amicizia che lo univa a mio padre, Aznar è stato realmente di grandissimo sostegno. Purtroppo non posso dire lo stesso di Rajoy e del comportamento del suo Governo negli ultimi anni.
– Ha temuto che Podemos facesse una scalata alle scorse elezioni?
Credo che sia responsabilità del popolo spagnolo scegliere i suoi leader, ma io direi ai miei amici spagnoli di fare molta attenzione a non essere parte di un piano di altri che spagnoli nemmeno lo sono.
Manuel María Becerro
(da ABCdesevilla, 6 luglio 2016)
Traduzione di Silvia Bertoli