Dov’è il mio ordine di cavalieri?
Dove sono i miei Don Chisciotte?
Dov’è la mia associazione di anime erranti?
Jan Fabre, La storia delle lacrime, 2005
Si è aperta la grande mostra “Jan Fabre. Spiritual Guards”, promossa dal comune di Firenze, evento che si sviluppa tra Forte Belvedere, Palazzo Vecchio e Piazza della Signoria. Si tratta di una delle più complesse e articolate mostre in spazi pubblici italiani realizzata dall’artista e creatore teatrale fiammingo. Per la prima volta in assoluto un artista vivente si cimenta contemporaneamente in tre luoghi di eccezionale valore storico e artistico. Sono esposti un centinaio di lavori realizzati da Fabre tra il 1978 e il 2016: sculture in bronzo, installazioni di gusci di scarabei, lavori in cera e film che documentano le sue performance. Fabre presenta anche due opere inedite, pensate appositamente per questa occasione. L’anteprima fiorentina è stata un evento di straordinario impatto visivo e dai forti connotati simbolici.
Dal 15 aprile, infatti, ben due sculture in bronzo di Fabre sono entrate a far parte – temporaneamente – di quel museo a cielo aperto che è Piazza della Signoria. Una di queste Searching for Utopia, di eccezionali dimensioni, si pone in dialogo con il monumento equestre di Cosimo I, capolavoro rinascimentale del Giambologna; mentre la seconda, The man who measures the clauds (American version, 18 years older), è innalzata sull’Arengario, o Ringhiera, di Palazzo Vecchio, tra le coppie del David di Michelangelo e della Giuditta di Donatello. In entrambe le opere si riconosce l’autoritratto dell’artista, nella doppia veste di cavaliere e di guardiano, come tramite tra terra e cielo, tra forze naturali e dello spirito. Ad una storia dell’arte che si è messa anche a disposizione del potere politico ed economico – come quella di Piazza Signoria con i suoi giganti di marmo (David, Ercole, Nettuno) e con le sue rappresentazioni bibliche, mitologiche o del genius loci (Giuditta, Perseo, Marzocco) – Jan Fabre oppone un arte che vuole rappresentare e incarnare il potere dell’immaginazione, la missione dell’artista come “spiritual guard”. E lo fa in una piazza che dal Rinascimento in poi è stata pensata e usata come agorà e palcoscenico figurativo, che da allora è diventata luogo paradigmatico del rapporto tra arte e spazio pubblico, e dove è stata configurata in modo esemplare la funzione simbolica-spettacolare del monumento moderno.
Sempre dal 15 aprile sono visibili in Palazzo Vecchio una serie di sculture che dialogano con gli affreschi e i manufatti conservati in alcune sale del percorso museale del palazzo, in particolare quelle del Quartiere di Eleonora, assieme alla Sala dell’Udienza e alla Sala dei Gigli.
Tra le opere esposte anche un grande mappamondo (2.50 m di diametro) rivestito interamente di scarabei dal carapace cangiante, la cui forma e dimensione sono state ispirate proprio dal celebre globo conservato nella Sala delle Mappe geografiche, opera cinquecentesca di Ignazio Dandini.
A Forte Belvedere, tra i bastioni e la palazzina sono presenti circa sessanta opere in bronzo e cera, oltre a una serie di film incentrati su alcune storiche performance dell’artista. Le curatrici Melania Rossi e Joanna De Vos, insieme al direttore artistico del progetto Sergio Risaliti, hanno scelto il Forte Belvedere come nucleo tematico dell’esposizione “Jan Fabre. Spiritual Guards”, per le sue caratteristiche spaziali e storiche. Una fortificazione che nel tempo è servita per difendere Firenze dalle minacce esterne, ma anche per proteggere la famiglia Medici in tempo di rivolte cittadine. Un luogo di difesa dall’esterno e dall’interno quindi, che suggerisce un percorso attraverso la vita, le ambizioni e le angosce dei potenti signori Medici e che allude a opposte percezioni e sensazioni umane come quelle di controllo e abbandono, ma anche a bisogni e desideri contrapposti come quelli di protezione armata e di slancio spirituale, così profondi e radicati da condizionare le forme architettoniche e la configurazione dello spazio naturale. Soprattutto qui al Forte Belvedere dove è evidente la necessità di fortificarsi nella consapevolezza di restare pur sempre indifesi.
A comunicare queste ambivalenze che, oltre la storia, costituiscono tutta l’esperienza e la vitalità umana, sono due schieramenti scultorei formati da sette scarabei bronzei posizionati nei punti di vedetta del Forte e da una serie di autoritratti dell’artista a figura intera – tutti di un bagliore dorato che riflette il paesaggio circostante come un alone spirituale – che popolano gli angoli dei bastioni all’esterno della palazzina, circondando la villa Medicea.
Gli scarabei sono angeli di metamorfosi, guardiani-custodi, simboleggiano nelle antiche religioni e nella tradizione pittorica italiana e fiamminga della vanitas il paesaggio tra la dimensione terrena e la vita eterna con il loro continuo movimento.
Allo stesso tempo possiedono una bellissima corazza che mette in luce drammaticamente la vulnerabilità di quel corpo “regale”. E così anche Jan Fabre che si definisce, vive e si esprime come cavaliere della disperazione e guerriero della bellezza, si spoglia e si veste delle sue armi dispiegando nel luogo più alto di Firenze il suo esercito vestito di armature lucenti e cangianti. Una legione che è qui chiamata a raccontare la devozione per la vita, a difendere quella fragile pura bellezza che l’arte è in grado di generare, contro un nemico invisibile che arriva da dentro e da fuori contemporaneamente, sempre pronto a colpire o offendere.
Io sono il cavaliere della disperazione […]
Io sono un’anima
errante
con una voce medievale
che grida nel deserto
del Rinascimento
e aspetta il sale
della nostra acqua corporea
Jan Fabre, La storia delle lacrime, 2005
Maria Paola Forlani