Sia la Poesia che la Fisica hanno a che fare con Spazio e Tempo e in particolare con la disposizione di “cose” in continuo fluire in un vastissimo continuum e cioè gli oggetti propri della fisica (p. es. particelle e galassie) e quelli propri della poesia (parole e silenzi). È evidente in tutto ciò una inconciliabilità intrinseca e connaturata a questa “attività”: stabilire una “posizione” per qualcosa che comunque continua a scorrere a evolvere e mutare: la “luna” di oggi (astro-parola) non è quella che osservavamo-leggevamo ieri.
Una meditazione sullo Spazio-Tempo o su una delle osservazioni più sibilline del tardo Wittgenstein («La filosofia si potrebbe in realtà solo poetare»): questa potrebbe sembrare a prima lettura l’ultima raccolta di Angelo Andreotti, A tempo e luogo (Manni, Lecce 2016), ma leggendo e rileggendo le 60 composizioni divise perfettamente in due parti, ciascuna di 30 poesie, ci si accorge che qui qualunque tempo diventa inabitabile tranne l’istante che
...è una dimora/piena di stanze con porte da aprire/di cui mai abbiamo avuto le chiavi [da Lo specchio, pg. 43];
e che qualunque luogo
...anche quel sentiero/che mille volte abbiamo camminato [da Divergenze III, pg. 35],
si fa inesplorato.
Quindi non di meditazione si tratta ma piuttosto di una fuga dal nostro spazio-tempo che sebbene relativistico ci risulta positivista e accomodante e in quanto…quantistico sicuramente discreto e rassicurante. Ecco cosa è A tempo e luogo: la fuga da una bellissima gabbia dorata che ci tiene stretti nel mondo.
Questo bisogno di evadere dalle nostre possibilità ordinarie, da questa gabbia fatta di abitudini, educazione, circostanze e che si rivela tanto più stretta e tirannica quanto più cerchiamo di uscirne, questo bisogno, dunque, potrebbe essere la nostra esigenza più profonda e per una ragione molto semplice: soddisfare la nostra curiosità di conoscere la gabbia in tutti i suoi dettagli (come la Fisica vorrebbe fare) o all’opposto per eliminare in qualche modo le sue sbarre (come la Poesia consente di fare). In ogni caso ciò che sfugge alla logica, lo fa a giusta ragione.
Noi conosciamo e sperimentiamo il mondo che ci circonda solo a frammenti, piccoli frammenti di spazio e di tempo, il «qui» e l’«ora». Nella nostra esperienza quotidiana , a ben vedere, non c’è niente che corrisponda alla nozione di «ora» di «adesso». È inutile ricordare che le cose che vediamo «ora» sono già cambiate e anzi le vediamo proprio perché cambiano, perché scorrono nel tempo.
Se confrontiamo la nozione di «ora» con quella di «qui» ci rendiamo conto che mentre «qui» designa il luogo dove sta, per esempio, chi legge queste poesie, non certo può indicare il luogo dove queste poesie sono state scritte, dove il poeta parla: «qui», per persone diverse, perciò indica luoghi diversi ma esistenti: nessuno si sognerebbe di dire che le cose «qui» esistono, mentre le cose che non sono «qui» non esistono.
Quando però diciamo, scriviamo, leggiamo «ora» abbiamo l’impressione che le cose che sono adesso esistono e tutte le altre, quelle di prima e quelle di dopo, no. Questi due frammenti di spazio e di tempo, quindi, sembrano essere, a proprio modo, delle mere illusioni: «qui» ci lega ad altre cose esistenti che però non conosciamo; «ora» ci lega soltanto a cose che conosciamo e che sono già cambiate, se non svanite. In ogni caso possiamo immaginare un mondo senza luoghi o viceversa con tanti «qui» ma è difficile immaginare un mondo senza lo scorrere del tempo anche se questo fluire -che Heidegger poneva come primitivo- è assente dalla descrizione del mondo. E questo è tanto più vero oggi che il mondo è diventato solo un grande Qui-Ora e tutto accade così rapidamente da non consentire più di cogliere alcuna… occasione.
Questo flusso non può essere descritto studiato interrogato: può essere solo mostrato, può farci compagnia in ogni momento, può addirittura diventare il nostro stesso essere, ma non può essere descritto in altro modo se non frammentandone gli istanti e distruggendo quindi la sua natura.
Uno dei modi per mostrarlo, questo flusso continuo, è quello di mischiarlo alle parole, cioè ri- buttare nel tempo, nella sua corrente quello che la vita ci ha consentito di pescare. Questo il Poeta lo sa bene:
...Di notte le ore contano di meno/se aggrovigliamo il tempo alle parole [da Il letto sfatto pg. 45]
Un altro dei modi per mostrarlo all’opera e fissarlo nella materia come ha fatto Lisippo che nell’ideare i tratti salienti del Kairos (l’«ora» calata nell’istante imprevedibile) li scolpì come un ciuffo di capelli sulla fronte della sua famosa statua e la calvizie incipiente sulla nuca della stessa, perché il kairos deve essere acciuffato in anticipo e perché, una volta passato, non può essere più riafferrato. Occasione persa!
Se leggiamo le due parti in cui è suddiviso A tempo e luogo subiamo questa straniante sensazione di girare intorno alla statua di Lisippo e di vedere in anticipo questo fluire del tempo attraverso un ritmo dettato da un orbita di parole (frammenti degli anelli di Cronos/Saturno) che
...raccontano storie/ in cui la vita/ per come la sappiamo/ non potrà mai più accadere [da Rincasare II pg. 25]
e dove avvertiamo questo
privilegio di essere presenti/ attraverso le cose// e attraverso le cose/ fare un solo mondo di noi e del paesaggio [da Semplificando pg. 21]
E girando e rigirando intorno alla statua scorgiamo quella chiazza vuota a ricordarci la frons capillata e poi nuovamente rivediamo il ciuffo a ricordarci l’assenza di capelli sulla nuca: sono i momenti nell’orbita del tempo in cui
...l’attesa/è già il compiersi di ogni accadimento [da A tempo debito pg. 44]
E che quindi tutto ciò che è accaduto, ciò che accade e tutto quello che a tempo debito accadrà, non è niente altro che Attesa.
Il compito del linguaggio metaforico della Poesia così egregiamente assolto qui, da (e grazie a) Andreotti, è dunque “solo” quello di mischiare il mondo alle parole, l’esatto contrario di quello che fa il linguaggio analitico della Scienza che vuole appunto separare il mondo dalle parole; frammento dopo frammento e così facendo ha mutato le cose Grandi in piccole e quelle Piccole in grandi creando l’illusione di poter comprendere tutto.
Ma è la Poesia invece che racchiude in sé i tre modi cognitivi dell’essere umano: quello analitico, quello sintetico e, non ultimo quello profetico. E questa sua capacità viene tutta mostrata nella sua potenza senza essere veramente detta; mostrata, nascondendola sapientemente, nelle orbite della seconda parte della raccolta. Numeri (titoli) che non contano (dicono) nulla ma che si rac-contano quali spazio e tempo, mischiando mondo e parole.
A questo punto vale la pena sottolineare un aspetto importante: lo stretto legame che esiste tra il kairos e il calore.
Il fatto è che solo quando fluisce qualcosa di vitale (energia, calore, ardore, respiro…) il passato e il futuro si distinguono. Il calore da un punto di vista statistico è il risultato di infinite interazioni di frammenti che precludono la conoscenza esatta delle cose: è questa inevitabile (santa!) ignoranza che ci dispone alla percezione del fluire delle cose dunque, il movimento che crea memoria, coscienza, pensiero e linguaggio. Proprio come il kairos che è il risultato dell’incontro-scontro di tanti frammenti di «ora».
Dicono i Vangeli che kairos è ciò che Dio ha deciso ed attuato, a Tempo e Luogo. E a tempo e luogo è ciò che la Poesia fa amabilmente per noi.
Giuseppe Ferrara
(da Il Post delle Fragole, 14 aprile 2016)