È un dono senza resa questa vita, / un debito d’amore / perpetuato abbracciando un altro abbraccio. / Chiunque tu sia ti guardo, / e ovunque tu cammini, io ti seguo: / sarò come uno smuovere d’aria appena. / Cercami dove sono
Angelo Andreotti
(Parole come dita, Mobydick 2011)
Non è il tempo concesso né l’occasione o il destino, ma quel tempo speciale dove trovano spazio al momento giusto le cose che con pazienza e cura sapremo cogliere. Ed è la sofferente-passione che traccia il sentiero di un percorso non previsto, eppure razionalmente introiettato. A tempo e luogo è un momento indeterminato in cui “qualcosa di speciale accade”; traduce il greco Kairos, divinità poco conosciuta, lontana nel suo significato da Chronos e raramente rappresentata. Esso definisce l’essere speciale della cosa, dell’evento, della circostanza della luce, un’opportunità favorevole che oppone il fato all’uomo; deve essere catturato altrimenti non potrà fugge via tant’è che, nelle pochissime sue rappresentazioni, è un giovane che corre con un ciuffo sulla fronte e la parte posteriore della nuca calva.
Dove la compostezza della quercia / squarcia la quiete di quell’orizzonte / abbreviando lo sguardo, e ferma / la dispersione nella lontananza / di una pianura arresa all’infinito…
La quercia ferma lo sguardo, offre la sosta, impedisce il naufragio, apre alla porta del tempo.
È con l’Overture che Angelo Andreotti inizia il suo poemetto spalancando ad un infinito che spaura e cerca un luogo, un punto di riferimento su cui tracciare una rotta poiché l’attimo e la sua intenzione non svaniscano nel tempo. La musicalità trasparente, profonda, sempre presente nelle sue opere, scandisce note di rara intensità ed armonia (dove gli istanti si rubano il tempo) e coglie il desiderio di un orizzonte che sbarri il naufragio della pianura… Dove la casa si sveglia di noi / e inizia il giorno che finì all’aurora, / riconoscendo negli occhi le mani / che tanto hanno pescato dal fondo della notte...
La voce del silenzio si nomina alla soglia del tempo.
La luce diserbò poco a poco la via di casa / e laggiù in fondo vedemmo l’immagine // del luogo in cui saremo andati a nascere.
Per ascoltare la voce di quanto accade ci volle tenerezza. Ed è la tenerezza quella che coglie alla lettura dei versi del poeta, che suona nelle vibrazioni dell’aria, nel volo degli uccelli, nei dormiveglia, nelle parole che come carezze accompagnano il lettore e accorciano la lontananza.
Dipese da un colpo di vento / quel battito d’ali tra i rami / e dentro al petto quell’urto di vita, è come un imprevisto accadere d’armonia con il mondo tutto che s’apre a trasformazioni e sovrapposizioni caleidoscopiche d’immagini e suggestioni. Avverto l’urto del cuore, i mille volti delle cose, le loro trasparenze e altrettante molteplici accoglienze mentre il tempo ri-conosce “il momento”, magari vicino ad un focolare ed è sempre lui a ricordare l’attimo esatto in cui fu immaginato, fino a fondersi con lo spazio, quello del giardino, della soglia, della stanza, dei passi che s’incrociano senza vedersi… da allora… forse da prima che le nubi si lasciarono solcare / dallo spirito bianco di un airone, e il giorno potrà dire venite, è tempo di luce, / è un tempo buono per avere tempo. Un Tempo eveniente / che sconfina dai bordi di ogni istante e rinomina le cose.
Una breve lirica titolata Coda termina la sinfonia iniziata dall’Overture che prosegue, nella seconda parte del poemetto, con un ritmo ascendente le meditazioni del poeta sul tempo restando ad ascoltare / storie che il fiume andava raccontando / in quella sua lingua remota / di noi inconsapevole […] per la nostra appagante indifferenza che s’adagia sulle cose, le nomina, le circonda, le illumina, le bagna, le tocca, ne strappa forme e colori, le muta pur nella persistenza dei ricordi: Le case ricordano, e anche i luoghi lo fanno […] continuamente descrivendo il nostro divenire / che è uno stare nel tempo, durare nel presente [… ] noi siamo la via che andiamo camminando. E quando si perdono i passi, s’incespica, si fa buio e la memoria non racconta di noi… pur nell’attesa anche quello è tempo e sarà respiro che abita la parola.
Nonostante tornino frequenti alcune parole (casa, stanza, sentiero, finestra, soglia), a mio avviso è l’albero che meglio significa tra i suoi rami la poetica di questo libro. Albero che raccoglie voli dai quali è smosso, che respinge, che si piega nel vento e che alza braccia al cielo, che vede il seme nascere e crescere, il tronco diventare grande e creparsi di rughe, nudo d’inverno e aperto alla rinascita di nuove foglie. Scandisce il tempo che non sappiamo dire, accoglie abbracci, giochi, baci respinti e desiderati. È tempo, anzi, è la pelle e l’anima del tempo che odora di secoli, di attimi, di ora e di allora, di sempre.
[...] l’albero / nonostante il vento e la calma di vento, / a tempo e luogo finché vita dura.
Patrizia Garofalo
Angelo Andreotti, A tempo e luogo
Manni, 2016, pp. 96, € 12,00