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Wendy Guerra. Rock and Revolution
26 Marzo 2016
 

Lo scorso venerdì la scrittrice cubana ha assistito per la prima volta nella sua vita a un concerto dei Rolling Stones. Questo è l’appassionato racconto di ciò che ha visto all’Avana. (El País)

 

 

La prima volta che ho ascoltato i Rolling Stones è stata oggi, dal vivo, gratis e all’Avana.

Oggi è stata anche la mia prima esperienza di concerto di una tale portata. Fino ad ora, la mia idea di grande spettacolo era rappresentata dai concerti della Nueva Trova, dal rock argentino, dalla salsa o dagli affollati discorsi di Fidel in piazza; oggi però non ascoltiamo il comandante, il microfono se lo sono preso i Rolling Stones.

Benché gli anni heavy del Rock and Roll siano coincisi con quelli duri della rivoluzione cubana, qui era proibito ascoltare qualsiasi cosa ci ricordasse il “nemico”.

I dogmi verde olivo non accettavano questa altra rivoluzione sonora ed estetica, perciò nel ‘66, alla Scuola Nazionale di Arte in cui studiava mia madre, quando si scoprì che lo scrittore Emilio Fernández de la Vega aveva ottenuto nientemeno che un vinile degli Stones, mandando in delirio gli allievi, liberando i loro corpi e le loro menti al calore di Satisfaction, si fece piazza pulita. Gli artisti vennero puniti con un anno di reclusione nel collegio a regime militare capeggiato dalla tristemente nota dottoressa Berta Serguera, protagonista della caccia alle streghe dell’epoca. Che cosa penserebbe la dottoressa nel vedere accamparsi, dalla notte di giovedì, migliaia di cubani che “marcano” la coda infinita per gli Stones?

Le strade che dall’antico Bidet de Paulina Fuente Luminosa arrivano al bar pasticceria La Worderano disseminate di famiglie, cubani di tutte le età e province che hanno scelto di presentare il conto alla storia. Seduti a terra con borse o zainetti carichi di acqua e cibarie hanno aspettato facendo attenzione a che si accendessero le luci per avanzare in processione fino al cuore della Città Sportiva.

Il discorso ufficiale è ancora simile a quello delle “attività politico-ricreative”, cito la nota dell’Istituto della Musica: “È doveroso recarsi al concerto degli Stones con la disciplina e l’entusiasmo che ci caratterizzano”. Il comportamento della polizia in abiti civili o in uniforme è stato diligente e di basso profilo. Non ci sono stati scontri.

Ci hanno permesso di essere, piangere, svenire, abbiamo potuto ballare e urlare fino alla nausea… ma soprattutto rispondere a Mick Jagger quando ci ha chiesto se davvero tutto questo stesse cambiando. – Sì – e – No –.

Troppo giovane per morire, troppo vecchio per ballare il Rock and Roll”.

I veterani sono arrivati di buonora, erano lì nel pubblico, a muoversi furenti come a voler accorciare la distanza dal tempo in cui non si sono potuti mostrare, meglio tardi che mai. A dire il vero erano i giovani a essere in maggioranza in quel mezzo milione di persone concentrate, a delirare.

Era la prima volta che i compagni Stonesincontravano un pubblico che per lo più non li conosceva, né conosceva le loro canzoni. Sembravano extraterrestri atterrati davanti a noi, con vestiti di piume, soprabiti di seta, luci ultraviolette, svariati kili di suoni e quella libertà ed energia travolgente che, a settant’anni, non ha né vuole avere limiti.

L’esotica simbiosi tra il Coro Nazionale diretto da Digna Guerra e l’opera degli Stones ha creato un effetto magico, atemporale

Il modo in cui Jagger ha ripetuto le nostri frasi popolari: “están en talla e “están escapaos, la sua riconoscenza a Cuba per la musica che ha dato al mondo, ogni espressione in spagnolo, il virtuosismo, la gioia con cui ci hanno offerto la loro opera è per me un dono che alleggerisce, in qualche modo, il non vissuto, ciò che ci è stato proibito per un periodo lungo quanto la loro carriera.

Come sarà la politica musicale in futuro? Non lo so, domani è un altro giorno, oggi ho ballato libera, e anche se non sono una rocker, ho prestato il mio corpo a mia madre, l’ho lasciata entrare in me affinché ballassimo insieme, si reincarnasse e gioisse in nome di tutti coloro che non hanno fatto resistenza, in nome dei martiri cubani del Rock and Roll.

 

Wendy Guerra

(da El País, 26 marzo 2016)

Traduzione di Silvia Bertoli


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