Le stragi che oggi hanno insanguinato Bruxelles ci colmano di orrore e di terrore, di lacrime e lutto, di un muto sgomento e di un dolore insostenibile.
Ma questo ennesimo abominevole crimine deve anche aprirci gli occhi, il cuore, la mente.
Ad esso occorre rispondere con la forza della verità, della ragione, dell'umanità.
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La morte di massa che i criminali terroristi portano nel cuore dell'Europa è tragicamente la stessa morte di massa che da decenni le armate legali dei governi occidentali e dei loro sanguinari complici e sicari regionali, ed i prodotti letali dei mercanti di armi, spargono nel vicino e nel medio oriente; e le organizzazioni terroristiche che ora portano nelle nostre città europee un diluvio di sangue sono state allevate dai nostri governi, dalle nostre guerre, dalle nostre armi, e la politica del terrore globale dei poteri imperiali riproducono specularmente sulla scala ad esse accessibile.
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Come ci si poteva illudere che quelle guerre non avrebbero raggiunto anche le nostre case?
Come ci si poteva illudere che i terroristi colà finanziati, armati e addestrati dalle potenze occidentali e dai loro complici regionali non avrebbero prima o poi esteso il loro campo d'azione da quelle terre alle nostre?
Come ci si poteva illudere di essere in un'isola felice, in una campana di vetro, in una torre d'avorio, in una fortezza inespugnabile, quando le tecnologie hanno unificato il mondo e le armi di sterminio sono a disposizione di tutte le mafie così come dell'uomo più solo, più stolto e più disperato? mentre milioni e milioni di esseri umani, già oggi vittime delle guerre e della fame, del terrore e delle devastazioni, delle dittature e della schiavitù, hanno perso ogni loro bene e sono costretti a fuggire attraverso deserti e mari, attraverso paesi e continenti, affrontando la morte – e sovente alla morte soccombendo quando ormai la meta agognata sembrava vicina –, perché i governi dei paesi europei negano loro il primo di tutti i diritti: il diritto a salvare la propria vita, rifiutando ad essi l'approdo in un luogo in cui vivere in pace?
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C'è un solo modo per fermare le stragi: cessare di commetterle e di favoreggiarle.
C'è un solo modo per sconfiggere il terrorismo: scegliere la nonviolenza.
Occorre una immediata politica di disarmo e di proibizione assoluta di produrre, commerciare e detenere armi.
Occorre una immediata politica di smilitarizzazione dei conflitti e di intervento umanitario non armato e nonviolento per salvare tutte le vite.
Occorre contrastare il militarismo, il razzismo e il maschilismo: che sono le reali basi ideologiche e i modelli comportamentali del terrorismo stragista e schiavista (che usa oggi strumentalmente la religione esattamente come appena ieri usava altrettanto strumentalmente le ideologie laiche otto e novecentesche – il patriottismo e il nazionalismo, ma anche il socialismo e l'anarchia).
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L'Italia decida di contrastare le guerre e le stragi, con la drastica riduzione delle spese militari e l'avvio della Difesa popolare nonviolenta e dei Corpi civili di pace, con gli aiuti umanitari ovunque occorrano, con la cessazione immediata della produzione armiera, con la denuncia e l'impegno per lo scioglimento delle alleanze militari terroriste e stragiste (come la Nato), e convochi l'Unione Europea a fare altrettanto.
L'Italia decida di lottare davvero contro il razzismo, accogliendo tutti i profughi e garantendo loro un servizio di trasporto pubblico e gratuito che consenta a tutte le persone l'ingresso in Italia in modo legale e sicuro – e convochi l'Unione Europea a fare altrettanto.
L'Italia decida di lottare davvero contro il maschilismo, innanzitutto applicando pienamente la Convenzione di Istanbul e sostenendo i centri antiviolenza delle donne, e convochi l'Unione Europea a fare altrettanto.
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Alla violenza occorre opporre la nonviolenza.
All'odio che uccide occorre opporre la solidarietà che salva.
Alla barbarie che disumanizza occorre opporre la civiltà che affratella e assorella.
Al male occorre opporre il bene.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Vi è una sola umanità.
Peppe Sini
responsabile del Centro di ricerca per
la pace e i diritti umani di Viterbo